Un ragionamento ordinato
e comprensibile con l'indicazione di soluzioni praticabili. Tutto da
leggere. (S.L.L.)
Come ogni estate si
infittisce il flusso dei migranti nel Mediterraneo verso l’Europa.
Prima lungo le rotte balcaniche, oggi – di nuovo – lungo la rotta
libica. E, oggi come ieri, i morti durante le traversate si contano a
migliaia. A fronte di ciò la vulgata è che bisogna finirla con il
buonismo e prendere atto che per rifugiati e migranti non c’è
posto né in Italia né in Europa, se non in quote minime. E, “a
difesa dell’Europa”, rispuntano muri e reticolati (talora reali,
talaltra metaforici ma non meno gravi). Eppure la pratica del
rifiuto, lungi dal fondarsi su dati e fatti, poggia su luoghi comuni,
falsi, chiacchiere che acquistano dignità di argomenti solo grazie
alle ripetizioni ossessive di imprenditori dell’odio e della paura,
non sufficientemente confutate dai “benpensanti”. I dati sono
noti: lo scorso anno in Italia, per la prima volta da quasi un
secolo, il numero dei residenti è diminuito di oltre 60.000 unità.
In altri termini: gli arrivi dei migranti che si stabilizzano nel
nostro Paese e i nuovi nati non compensano i decessi e le emigrazioni
degli italiani (pari ormai, ogni anno, a circa 100.000). Ciò
significa che, senza migranti, la nostra popolazione crollerebbe
negli anni e subirebbe un invecchiamento senza precedenti con
conseguenze devastanti in termini economici, sociali, di sviluppo.
Dov’è, dunque, l’invasione di nuovi barbari proclamata da
politici e giornalisti senza scrupoli?
Sul versante di
provenienza dei migranti la situazione è altrettanto nota: guerre e
disuguaglianze crescenti stanno provocando nel mondo – soprattutto
in Africa e in Medio Oriente – un vero e proprio esodo: 60 milioni
di per-sone in fuga alla ricerca di rifugio, secondo l’Onu, nel
solo 2014, l’esodo più rilevante dalla fine della seconda guerra
mondiale. Orbene, di quei 60 milioni la stragrande maggioranza si
sposta nei paesi vicini a quello di chi fugge o ai confini del
Mediterraneo (in particolare, tra questi ultimi, la Turchia e il
Libano), mentre nell’intera Europa, in tutto il 2015, sono arrivati
complessivamente non più di un milione di profughi (di cui circa
150.000 in Italia). Una goccia in una popolazione dell’Unione
europea di 500 milioni (e dell’Italia di oltre 60 milioni di
abitanti).
Ragione e buon senso
(prima ancora che senso di fratellanza o motivi umanitari) dicono,
dunque, una cosa univoca: che un governo razionale dei flussi
migratori nel nostro continente è esattamente l’opposto di quello
che si prospetta, fondato sulla (promessa) predisposizione di aiuti
economici ai paesi di provenienza (per eliminare le ragioni della
fuga dei migranti) e sulla realizzazione di giganteschi campi di
accoglienza ai confini dell’Europa (oggi in Turchia, domani in
Libia).
Scontata l’importanza e
la necessità, nel lungo periodo, di politiche internazionali giuste,
rispettose e lungimiranti, è evidente che, nei tempi brevi e medi,
il refrain degli aiuti nei paesi di origine è solo un vecchio
ritornello di stampo colonialista che, anche quando (in verità assai
di rado) proposto in buona fede, non tiene conto del fatto che nei
paesi di origine dei migranti in cerca di rifugio umanitario (Siria,
Iraq, Palestina, Eritrea, Somalia, Su-dan, Afganistan…) e nella
stessa Libia sono in atto guerre civili risalenti, per lo più
alimentate da politiche e armamenti occidentali, e che non si vede
come eventuali aiuti economici ai governi potrebbero andare a
beneficio di popolazioni sconvolte dai conflitti. Parallelamente la
realizzazione di campi di accoglienza (o, più esattamente, di campi
di concentramento) ai confini dell’Europa non risolverebbe in alcun
modo il problema, ma semplicemente lo occulterebbe per qualche tempo
(regalando, nel contempo, somme enormi a governi che violano ogni
giorno i più elementari diritti umani).
Per governare
efficacemente e in modo equo i flussi migratori qui e ora è
necessario intervenire su altri piani. Due in particolare: creare
corridoi umanitari per consentire a donne, uomini e bambini in fuga
di raggiungere i paesi europei a cui aspirano (eliminando
l’anacronistica e ingiustificata previsione del trattato di Dublino
che li costringe alla permanenza nel paese di primo approdo) e
prevedere, negli Stati di arrivo, permessi di soggiorno provvisorio
per motivi umanitari idonei che consentano un lavoro regolare e la
possibilità di spostamento all’interno dei paesi di Schengen. A
chi defini-sce questa scelta economicamente insostenibile è agevole
rispondere con i fatti: il numero di chi cerca rifugio in Europa è,
come si è visto, modesto; gli arrivi clandestini sarebbero
disincentivati in misura massiccia se non in toto; il carattere
regolare e programmato dei flussi consentirebbe politiche di
accoglienza organizzate e strutturate; i costi, per i paesi di
destinazione, sarebbero di gran lunga inferiori a quelli oggi
sostenuti per il pattugliamento del mare e per il finanziamento dei
campi di accoglienza ai confini del continente.
Il problema – va detto
con chiarezza – non sta nei migranti ma nella mancanza di politiche
adeguate nei loro confronti. Mancanza che crea un circolo vizioso di
incomprensione e di rifiuto assai rischioso per l’intero sistema di
convivenza tra popoli e individui.
Narcomafie – N.4 Estate
2016
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