“Molti anni dopo, di
fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si
sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva
condotto a conoscere il ghiaccio». Oppure. «Il giorno che
l'avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5,30 del mattino per
andare ad aspettare il bastimento con cui arrivava il vescovo. Aveva
sognato di attraversare un bosco di "higuerones" sotto una
pioggerella tenera...».
Se volessimo fare un
gioco della torre letterario per scegliere l'attacco romanzesco più
bello degli ultimi vent'anni, l'estremo, lacerante dilemma non
potrebbe che essere tra l'inizio di Cent'anni di solitudine e
quello di Cronaca di una morte annunciata (e anche i titoli
non scherzano).
La ricetta degli attacchi
di Màrquez contiene quasi sempre gli stessi ingredienti, soprattutto
la morte. Con immagini di morte (i lugubri avvoltoi) inizia appunto
L'autunno del patriarca, con l'odore della morte (le
esalazioni del cianuro) comincia L'amore ai tempi del colera.
Ma, detto questo, la domanda resta: qual è l'attacco più bello di
Màrquez? Nelle prime, indimenticabili righe di Cent'anni di
solitudine suonano inconfondibili i rintocchi che preannunciano
la gloria letteraria e il destino favoloso del libro. Ora lo
sappiamo, Buendia non sarà fucilato. Santiago Nasar invece verrà
ucciso senza scampo: il libro inizia quando è già finito. Cronaca
di una morte annunciata, in questo senso, è un romanzo postumo,
mentre Cent'anni di solitudine è un libro che, in realtà,
non finisce mai.
L'EUROPEO / 2 MAGGIO 1987
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