Christa Wolf |
«Bisognerebbe essere un
uomo» usava ripetere a se stessa Valeska, «una donna addottorata
che viveva nella città di Berlino e lavorava in un istituto di
scienza dell'alimentazione». Se lo ripeteva perché le piaceva, sì,
andare a letto col marito Rudolf, «che faceva il suo stesso
mestiere»: ma era logorata dal fatto che egli non sopportasse «una
donna che si dia delle arie» e, soprattutto, che avesse insaziabili
pretese di ordine domestico senza accettare, da parte sua, di muovere
un dito. Tuttavia il ritornello se lo veniva dicendo senza troppa
convinzione, tanto per sfogarsi con se stessa. Ed ecco che invece si
ritrova uomo. Seguono infinite complicazioni e un lieto (e
sarcastico) fine.
Katharina, invece, che
«lavorava nel settore ricerche di una grande industria ed era
considerata una valente collaboratrice», non ripeteva a se stessa
proprio niente. Accettava il suo ruolo così com'era, anche per
economia di sentimenti. Addirittura «ne traeva gradevoli
implicazioni»: per esempio un gioco matematico — un «modello» —
dalla stesura del bucato.
Aveva per amico un
camionista, Albert. Quando, di colpo, si ritrova maschio, non sta lì
a meravigliarsi. Va al pratico. Prima, «seduto al tavolo di cucina,
aveva cominciato a prender nota degli oggetti che la nuova situazione
rendeva urgentemente indispensabili: mocassini, pigiama, una giacca
di pelle, calze, biancheria, cigarillos, maglioni e un paralume
diverso». Poi, «decise, prima di addormentarsi, di pensare al suo
nome. Albert non avrebbe trovato di meglio che Max, e non era poi
così male. Dunque, Max». Quando Albert torna con il suo camion, non
si meraviglia nemmeno lui. I due spalano insieme il carbone per 1'
inverno e avvitano i bulloni del camion, da amiconi.
La Protagonista
dell'Esperimento, infine, non ha un nome. E' una scienziata anche
lei: e si sottopone volontariamente a una trasformazione di sesso in
laboratorio mediante «Petersein (prezzemolo, n.d.r.) masculinum
199». Interrompe però di colpo l'esperimento quando si accorge che
sta, sì, diventando, «indifferente come un vero uomo: ma mi
coglievano ancora attacchi dell'antica inquietudine». (Inquietudine,
va da sé «scioccamente» femminile).
Le tre donne-uomo sono le
eroine di altrettanti racconti, Fulmine a del sereno (che dà
il titolo alla raccolta), La buona novella di Valeska e
Mutazione, scritti rispettivamente dalle tedesche orientali
Sarah Kirsch, Irmtraud Morgner, Christa Wolf, appena pubblicati dalla
Tartaruga (pagg. 109, lire 6.800). Mutano sesso: ma mancano talmente
di ambiguità che è difficile chiamarle «ermafroditi».
A differenza del magico
Orlando di Virginia Woolf (che, tra l'altro, nasce di sesso maschile,
mentre questi personaggi vengono al mondo come donne) non hanno nulla
di fiabesco, né di incantato, né di quella «eterna adolescenza»
dell'ermafrodito, appunto, di cui ha parlato anche Ida Magli in
questa pagina, proprio a proposito dell'Orlando. Intanto, sono
tutte fra i trenta e i quarant'anni. Poi — ad eccezione
dell'«indifferente» Katharina-Max (un'indifferenza, la sua,
tutt'altro che casuale, da «maschio-robot») — appartengono tutte
a un sesso puntigliosamente definito in ogni contorno: sono donne.
Oltre che donne, sono femministe: e tanto profondamente da non aver
bisogno di manifesti e dichiarazioni di principio. Il femminismo, in
loro, è una pianta che ormai ha attecchito e butta nuovi germogli.
Questi germogli consistono, soprattutto, di una ironia secca e
continua, come colpi di mitragliatrice. Le voci di queste donne si
immaginano roche, aspre «berlinesi» come quella di Jenny delle
Spelonche. Berlino, d'altronde — una Berlino iperrazionalizzata dal
socialismo «reale» dell'Est e dall'algore della scienza, a cui
tutte e tre le donne sono legate — è presente di continuo fra le
righe.
Si tratta di un universo
culturale lontanissimo da quello della Woolf (dove, malgrado Virginia
fosse al centro della
'fortezza' Bloomsbury, quasi tutti le davano torto: si pensi alla
freddezza, condita di qualche sarcasmo, che accolse Le tre
ghinee). Qui, invece, diventare androgini — cioè entrare, per
un essere umano nato femmina, nell'universo maschile — non è più
una fantastica avventura nel mito, nella favola o nell'inconscio. È
solo un viaggio nello squallore di un ruolo culturale e sociale.
Vissuto, si badi, con razionalità assoluta, con totale mancanza di
vittimismo e con quell'ironia brusca, spietata di qui si diceva:
tratti che ben poco hanno a che fare con lo stereotipo di una
letteratura «al femminile» ingenua, narcisistica, autobiografica.
È ben vero che di questa
diversa letteratura, fino ad oggi, non ce ne è stata molta. Con i
loro esercizi sull'Ermafrodito, queste tre scrittrici ci dicono che,
ormai, esiste una letteratura femminista adulta, una letteratura che
comincia a costruire una sua metafora. In questo caso, una metafora
di Berlino. E, per essere ancora più precisi, di Berlino Est: ma la
«berlinitudine» è così forte, che c'è da chiedersi se dall'altra
parte del muro questi racconti sarebbero poi stati tanto diversi.
“la Repubblica”,
ritaglio senza data, ma 1981
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