L'ottimo Sandro Portelli
in pochi tratti riesce a rievocare un tempo e un mondo, e a
collocarvi la figura di un uomo di tenace concetto che è stato un artista
straordinario. Da leggere. (S.L.L.)
Pete Seeger (1919-2014) da giovane |
L'artista che quando
serviva «c’è sempre stato».
In Kentucky con i
minatori,
nell’opposizione al
Vietnam,
nelle proteste su Kosovo
e Iraq.
Storia e mito del
«comunista perfetto»
Una sera di novembre del
1931, “Aunt” Molly Jackson, ostetrica e moglie di minatore, si
presentò a un'assemblea a Straight Creek, al confine fra Bell e
Harlan County, Kentucky. C'era un drammatico sciopero in corso e
l'assemblea era stata promossa da una delegazione di scrittori vicini
alla sinistra, venuti da New York, e guidata da Theodore Dreiser
(l'autore di Sister Carrie e An American Tragedy).
Invece di parlare, Molly Jackson cantò una canzone che aveva scritto
su un'aria tradizionale: Kentucky Miner's Hungry Ragged Blues,
il blues stracciato e affamato della moglie di un minatore del
Kentucky. Dreiser rimase folgorato.
Forse possiamo datare da
quel momento, dalla scintilla scoccata dall'incontro fra il grande
scrittore e la grande cantante tradizionale, la nascita del folk
revival - la consapevolezza urbana, con un segno democratico o
radicale, della presenza alternativa e dell'importanza culturale e
sociale della musica popolare del mondo rurale. In quegli stessi
anni, i musicisti vicini alla sinistra si arrabattavano alla ricerca
di una musica rivoluzionaria al servizio della classe operaia. La
cercavano soprattutto nell'avanguardia e nei modelli colti sovietici,
e non ottenevano grandi risultati, né sul piano della qualità
artistica né su quello della ricezione da parte dei proletari. Nel
gruppo, però, c'era anche il musicologo Charles Seeger, che qualcosa
sulla musica popolare aveva capito. E Charles Seeger aveva un figlio
adolescente, di nome Pete.
Theodore Dreiser,
intanto, aveva portato Molly Jackson a New York, testimone vivente
della lotta dei minatori di Harlan (cantava: «i padroni vanno a
cavallo, noi ci trasciniamo nel fango», «la loro bandiera è a
stelle e strisce, la nostra ha il colore del sangue») e della loro
cultura. Molly, finita in lista nera e bollata come comunista, non
poté più tornare in Kentucky. Presto, anche loro costretti
all'esilio, la raggiunsero a New York sua sorella Sara Ogan («odio
il sistema capitalistico», cantava), suo fratello Jim Garland
(«facciamo sprofondare questo marcio sistema nei pozzi più profondi
dell'inferno»), Tillman Cadle, anche lui cantore e militante
sindacale.
Un altro ragazzo, di nome
Alan Lomax, e un'antropologa di nome Elizabeth Barnicle, facevano il
percorso a rovescio e da New York andavano in Kentucky a ritrovare
sul posto le radici del canto di Molly Jackson e della sua gente. Nel
1936, Charles Seeger portò suo figlio Pete a un raduno di suonatori
di banjo all'interno dello stato di New York, e Pete rimase folgorato
a sua volta. Inevitabilmente, il clan di Molly Jackson e quello dei
Seeger si incontrarono, in nome della comune passione politica e
musicale (si incontrarono anche con Alan Lomax e con Elizabeth
Barnicle, docente universitaria che finì per sposare il minatore
disoccupato Tillman Cadle).
Nel frattempo, Alan Lomax
e suo padre John avevano portato a New York un ex forzato della
Louisiana, di nome Huddie Ledbetter, detto Leadbelly. E l'attore Will
Geer (lo abbiamo visto in Corvo rosso non avrai il mio scalpo)
aveva invitato a casa sua a New York un poeta chitarrista comunista
vagabondo dell'Oklahomae della California, di nome Woody Guthrie.
Abitavano tutti insieme, in una specie di comune stracciata e
affamata, in una soffitta del Greenwich Vìllage chiamata Almanac
House. E lì li andavano a trovare e suonare insieme il
diciottenne Pete Seeger, sua sorella Bess Hawes, un basso profondo
predicatore battista comunista dell'Arkansas di nome Lee Hays, e
altri ancora. Nel 1939, nello storico concerto From Spiritual to
Swing alla Carnegie Hall, c'erano Molly Jackson e i suoi accanto
a Duke Ellington e altri grandi della musica nera.
Ad Almanac House
scattò l'altra scintilla: si misero tutti insieme, intellettuali
di sinistra urbani e musicisti proletari sradicati, e cominciarono a
portare questa musica - che nessuno a New York aveva mai sentito -
dovunque ci fosse qualcuno disposto ad ascoltarla. I loro primi album
erano dedicati alle canzoni dei marinai, a quelle dei pionieri
contadini, e soprattutto alle canzoni di lotta del movimento operaio.
La canzone-firma veniva anche quella da Harlan County, l'aveva
scritta Florence Reece (moglie di minatore licenziato e in lista
nera) sull'aria di una canzone gospel, e diceva: «A Harlan County
non puoi essere neutrale, o stai col sindacato o sei un sicario dello
sceriffo». È una della due-tre canzoni che il movimento operaio
americano ricorda ancora.
Pete Seeger con Bob Dylan negli anni 60 del Novecento |
Nel 1982, nell'ultima
grande manifestazione sindacale contro la politica reaganiana,
Florence Reece la cantò dal palco, mezzo secolo dopo. E mezzo secolo
dopo, sul palco accanto a lei, c'era Pete Seeger.
C'era di nuovo Pete
Seeger su un altro palco, davanti al monumento a Lincoln, stavolta
accanto a Bruce Springsteen, a cantare una canzone di Woody Guthrie,
il giorno dell'inaugurazione di Barack Obama nel 2009. Oggi che Pete
Seeger compie novantanni, e tutto il meglio della musica americana si
appresta a festeggiarlo, quello che fa effetto è la straordinaria
durata della sua musica e della sua passione: sono settantanni che
Pete Seeger è in prima linea dove bisogna essere, coi minatori del
Kentucky negli anni '30, nella campagna elettorale del candidato si
sinistra Henry Wallace nel 1948, con il movimento dei diritti civili
(è stato lui a farci conoscere We Shall Overcome) negli anni
'50 e '60, nell'opposizione alla guerra in Vietnam negli anni '60 e
'70 («se vuoi bene allo zio Sam - cantava - aiuta i soldati che
stanno in Vietnam: riportali a casa, riportali a casa»), nel
movimento ambientalista, nella coscienza internazionalista, nella
protesta sul Kosovo e sull'Iraq... L'ultima voltas che l'ho visto dal
vivo era davanti al World Trade Center, e cantava: «Money makes the
world go round», sono i soldi che fanno girare il mondo.
Ma non è solo questione
di cause giuste e di cuore grande e generoso.
Tutto questo è stata
musica - una musica senza pretese eppure indimenticabile,
apparentemente semplice e profondamente sapiente, che non serviva
tanto a farci ammirare il musicista quanto a farci capire e
condividere le canzoni e il loro significato. E a farcele cantare,
facendo nostra la storia di Molly Jackson, di Leadbelly, di Woody
Guthrie. Tra le tante cose di cui gli siamo grati, forse la più
importante è che grazie a lui e al suo esempio, anche tanti di noi
hanno trovato la propria voce.
“alias – il
manifesto”, 3 maggio 2009
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