Quando, nel dicembre
2000, terminò l'Anno Santo per dare luogo a un anno profano, non
pochi commentarono “era ora!”: l'ininterrotta serie di raduni,
beatificazioni, esternazioni del papa polacco, aveva stancato. Ho il
sospetto che quest'Anno Santo straordinario che il papa argentino ha
dedicato alla misericordia sia venuto a noia persino a lui, e prima
del suo esaurimento. La previsione che intorno al Giubileo si
mobilitassero diocesi, parrocchie e associazioni e dal basso si
costruisse movimento e proselitismo si è rivelata sbagliata.
L'apertura di porte sante diocesane, gli eventi giubilari locali per
categoria o per paese avrebbero dovuto far crescere attenzione e
partecipazione di base; ma non è stato così e persino in Umbria,
ove alla guida della diocesi del capoluogo e della Conferenza
episcopale c'è un bergogliano di ferro, il cardinale Bassetti,
l'Anno Santo è diventato routine, celebrazione
rituale riservata ai praticanti più assidui. Mentre scrivo si sta
svolgendo a Perugia un “Giubileo dei commercialisti”, organizzato
dall'Ordine insieme all'archidiocesi. Si tratta di un incontro col
vescovo ausiliare e di una conferenza. Il “corrierino” parla di
mobilitazione: credo che esageri.
Neanche le iniziative
“centrali” dell'Anno Santo, quelle che coinvolgono direttamente
il papa, sembrano andare meglio: più che rafforzare il progetto
riformista, pare che l'affossino. L'accelerata canonizzazione in
questo settembre di una figura come Teresa di Calcutta, la suora
amica dei peggiori reazionari, convinta della “santità della
sofferenza”, è segno evidente di “continuismo”. Lo slogan di
Bergoglio sembra essere diventato quel “rinnovamento nella
continuità” ch'era caro a Togliatti, del tutto inadeguato in un
tempo come l'attuale per una istituzione in crisi. Imitare il Wojtyla
trionfante sul comunismo che occupava il centro della scena mediatica
e si legava a potentati d'ogni tipo mentre Marcinkus si dedicava
all'alta finanza e rimpinzava i dignitari e, nello stesso tempo,
pretendere una chiesa sobria per rappresentare i poveri è illusione
senza fondamento. La stessa oratoria del papa argentino, che aveva
colpito per lo shock tra la monotonia del dire e la forza del
detto, oggi non sorprende più nessuno: le immagini forti come
“guerra a pezzi”, “cimitero Mediterraneo” appaiono aria
fritta, il papa, in realtà, galleggia.
Uno degli eventi più
esplicitamente wojtiliani previsti dall'Anno Santo è stato il
remake, a trent'anni di distanza, della preghiera che il
polacco recitò in Assisi per la pace, in contemporanea con
rappresentanti delle tante religioni del mondo. Si inventò una
formula, “spirito di Assisi”, quello che da allora pretende di
far aleggiare nel mondo la Comunità di Sant'Egidio, una fratellanza
laica di “cattolici perbene” fondata – tra gli altri –
dall'ex ministro Andrea Riccardi con il prelato Vincenzo Paglia come
assistente spirituale. Dal 1987 quelli di Sant'Egidio – che
praticano una sorta di diplomazia parallela e complementare a quella
vaticana - organizzano ogni anno in una città diversa un convegno
interreligioso per la pace, pieno di preti d'ogni confessione,
politici, studiosi, nel quale si dialoga e si mandano appelli. Nel
frattempo le guerre nel mondo continuano, semmai si moltiplicano ed
intensificano e i mercanti d'armi fanno ottimi affari. E anche il
dialogo tra religioni procede tra difficoltà.
Ad Assisi in ogni caso
tra il 18 e il 20 settembre si sono svolti – collegati tra loro –
due eventi affidati all'organizzazione della Diocesi, delle Famiglie
francescane, di Sant'Egidio: due giorni di convegno sul tema Sete
di pace e un giorno dedicato
alla visita del papa Francesco, alla preghiera interconfessionale,
alla consegna a un gruppo di ministri e ambasciatori di vari paesi di
un appello firmato da uomini di religione. Per tre giorni una città
clericalizzata: come se non bastassero i tanti frati e suore
abitualmente residenti, s'è affollata di preti preti d'ogni tipo.
Sull'organizzazione
non son mancate le lamentele. Come spesso accade in queste
circostanze, permessi e accessi negati a chi ne avrebbe i titoli e –
nello stesso tempo – falle nella cosiddetta sicurezza. Sullo sfondo
la sostanziale emarginazione di realtà religiose importanti come la
Pro Civitate Christiana o la Comunità di Bose e una piccola guerra
tra gli organizzatori. Abbiamo sentito il fotografo semiufficiale dei
frati lamentarsi dello strapotere di Sant'Egidio: “Domani, per
fortuna, comandiamo noi”. Forse, all'indomani, c'è stata una più
equa divisione delle postazioni fotografico, ma, sul piano mediatico,
il predominio di Sant'Egidio non è stato scalfito.
Nel
giorno d'apertura, domenica 18, “L'Avvenire”, organo dei vescovi
italiani, titolava in prima pagina Un altro mondo,
pubblicando sul tema
due editoriali: uno con la firma del Patriarca ortodosso di
Costantinopoli, Bartolomeo, detto “Papa nero” per il colore dei
paramenti, l'altro di Andrea Riccardi, fondatore di Sant'Egidio.
All'interno c'è un'intervista con il sindaco di Assisi, Stefania
Proietti, che proclama: “La nostra città vuole essere ancora
alleata del Papa”. Proietti ha di recente confermato una vecchia
delibera contro la richiesta di elemosine nelle vicinanze delle
chiese, forse perché preferisce gli Ordini francescani, mendicanti,
ai mendicanti disordinati; in ogni caso è donna di chiesa e c'è chi
già la chiama “Santa”, mentre altri la sospettano nostalgica
dello Stato pontificio. Nella tre giorni deve essersi trovata bene,
visto che funzionava il SPQR nella interpretazione del Belli: Solo
preti qui regneno; solo preti, o
similpreti come quelli di Sant'Egidio.
Su
gli altri quotidiani e nel tv trovano posto, oltre a Riccardi, altri
esponenti della Comunità, Marco Impagliazzo, Augusto D'Angelo e
altri. Mi dicono che è una sorta di pressing mediatico per non so
quale riconoscimento papale. È freddino solo il Tg1, forse c'è
dietro una guerra tra preti.
Il
programma del triduo è stato denso. Domenica 18 pomeriggio assemblea
al Lyrik degli Angeli alla presenza di Mattarella. Tra gli interventi
la presidente Marini che rivendica la “francescanità”
dell'Umbria, il presidente della Repubblica Centroafricana, il
patriarca Bartolomeo e Zygmunt Bauman, il sociologo della “società
liquida” che sembra dar credito alle professioni papali di
ecologismo solidale contenute nella enciclica Laudato si'
Dice: “Se si vuole la pace
bisogna ridurre le disuguaglianze”.
Lunedì
è giorno di tavole rotonde. Religiosi ed esperti in varie location
ragionano di
casa comune, d'Aleppo, dei migranti eccetera. È anche il giorno
dell'Arcivescovo di Costantinopoli, Bartolomeo, di cui si celebrano i
25 anni dall'insediamento. Nella mattinata il patriarca, nella
cattedrale di Perugia, ha partecipato a una preghiera con il
cardinale Bassetti e i vescovi dell'Umbria e trovato il modo per
ricordare nel suo perfetto italiano che a Perugia si conserva
l'anello della Madonna, la “madre intemerata” che nella gerarchia
celeste assai superiore ai Serafini e ai Cherubini. Un amico
cattolico con cui scambio il rituale segno di pace mi fa notare i
sette candelabri dell'arredo: “Prima erano solo sei, ma ora la
nostra città è sede cardinalizia”. Alle 11 Bartolomeo è alla
stranieri, per una laurea honoris causa.
Nel pomeriggio la sua figura è al centro del panel
con la collocazione più prestigiosa, la Sala Papale del Sacro
Convento, presieduto dall'Arcivescovo di Cantebury, con la
partecipazione del cardinale Kasper, di Riccardi, del viceministro
Giro, di un tal Rosen, rabbino emerito d'Irlanda. Sulla soglia si
pavoneggia Paglia, il gerarca ciociaro, compiaciuto dei pupilli di
Sant'Egidio: elegantissimo guarda dall'alto in basso Piemontese, suo
successore nella diocesi di Terni.
Durante la tavola rotonda tutti a
tessere l'elogio del gran pope
di Costantinopoli, ecumenico ed ecologista. La grande festa per
Bartolomeo serve però a mascherare un fallimento. Ad Assisi erano
presenti 500 leader religiosi a pregare, ma le figure di primo piano
erano poche e defilatissimi erano musulmani e protestanti. Il Dalai
Lama che nel 1986 era stato tra i protagonisti non è stato invitato,
come egli stesso spiega in una intervista al “Messaggero”: “Sarei
venuto volentieri”. Il Vaticano sta trattando con la Cina: lo
spirito di Assisi con il Dalai Lama non funziona.
Arriva
infine il giorno del Papa. Ha mandato messaggi da Roma: tuonava
contro i “preti alla moda”, diceva che viene in Assisi solo per
pregare. Scende dall'elicottero a mezzogiorno agli Angeli, va a
pranzo al Sacro Convento, con rappresentanti religiosi e profughi di
guerra. Nel pomeriggio, dopo la preghiera (ciascuna religione a modo
suo e in un luogo diverso), è il momento dei discorsi: il vescovo
Sorrentino, il Custode del Sacro Convento, il patriarca Bartolomeo,
Riccardi che esalta lo “spirito di Assisi”. Il papa sembra
infastidito, come lo era prima, quando Impagliazzo cercava di
guidarlo nel breve tragitto da compiere a piedi. Quanto a lui non dice niente di
nuovo: ripete che chi usa la religione per giustificare guerra e
terrorismo lo fa a sproposito. Non sembra affatto entusiasta della
cerimonia. A noi è sembrata deludente e inconcludente, come tutto
l'Anno giubilare.
"micropolis", 27 settembre 2016
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