Riparlare oggi della
figura di Costantino può apparire anacronistico. C’è qualcosa
ancora da dire su un personaggio su cui sono stati scritti fiumi di
parole? Alessandro Barbero, invece, nel suo ultimo, importante lavoro
intitolato Costantino il vincitore (Salerno) sostiene il
contrario. Che su Costantino c’è ancora tanto da scavare e da
raccontare. Basta non essere pedissequi e seguire una prospettiva
originale e metodologicamente avvincente. Così Barbero accantona la
storiografia sedimentata nel tempo, spesso caotica e fuorviarne,
ricca di episodi che fanno ormai parte della vulgata (ricordate la
visione della Croce con la scritta in hoc signo vinces?), ma
spesso fondati su «un mero montaggio di congetture». E sceglie, da
par suo, un’altra strada. Irta di insidie, ma filologicamente
corretta, che è quella di riprendere le fonti originarie, convinto
che «ogni testimone coevo ha una sua versione degli avvenimenti che
non dipende solo dalle informazioni fattuali di cui dispone, ma anche
e soprattutto dal suo orientamento culturale e ideologico».
Barbero riprende le
testimonianze più varie, da quelle letterarie — dei panegiristi
come degli ideologi, tra cui emerge Eusebio di Cesarea — a quelle
materiali della propaganda costantiniana, al corpus delle leggi
promulgate durante il suo regno, alle lettere e agli editti imperiali
relativi alla vita della Chiesa e alle sue controversie interne,
riportati dai polemisti cristiani del IV secolo, fino alle orazioni e
ai manuali di storia composti nei decenni successivi alla sua morte,
prima che il mito sovrastasse il ricordo dei contemporanei.
Più che da biografo,
Barbero lavora da investigatore. Con una domanda di fondo: le fonti
su Costantino, cosa raccontano? Sostanzialmente, parlano di quattro
momenti. Il primo, di ascesa, come figlio di Costanzo, tetrarca di un
Impero romano diviso in quattro, il meno accanito nella persecuzione
dei cristiani, che lo portò a raggiungere il titolo di Augusto e a
scontrarsi con Massenzio, fino alla fatidica battaglia di Ponte
Milvio (312), momento che si ammanta di un alone leggendario, con un
comandante assistito dalle potenze celesti. Il secondo è di
ripartizione del potere con gli altri due Augusti, Licinio e
Massimino, con l’alleanza stretta tra Costantino e il primo dei
due; finché Licinio non liquida Massimino e l’impero è, ormai,
affare loro, di Costantino e Licinio, che regnano beneficando
largamente i cristiani, cui si spalanca un’epoca nuova, di
prosperità. Il terzo è l’epoca dello scontro con Licinio, che
termina con la vittoria di Costantino solo dominus dell’impero
ormai unificato, che associa al potere il figlio, Crispo. Il quarto è
il tempo dell’assestamento e della politica dinastica e religiosa,
con l’eliminazione del figlio Crispo e della moglie Fausta; la
definizione di una successione (Costantino jr., Costanzo e Costante);
l’attenzione crescente verso le comunità cristiane; e l’impegno
per ricucire le violente spaccature che dividono le Chiese d’Africa
e d’Egitto con la convocazione del Concilio di Nicea (325); fino al
suo battesimo e alla morte come membro della Chiesa.
Narrata così, la storia
di Costantino non presenterebbe novità e si offrirebbe al lettore
quasi priva di fascino, secondo una direttrice che parte dall’ascesa
politica e arriva fino alla sua adesione al cristianesimo. Però,
avverte Barbero, il percorso fu tutt’altro che lineare, con
continui andirivieni, scompensi, cambiamenti che solo la tradizione e
la vulgata hanno appiattito, fino a regalarci un’immagine, uniforme
e incontrovertibile, di un sovrano che abbraccia la fede senza
ripensamenti.
Riprendo un solo esempio
nell’enorme mole di materiale presente nel libro e relativo alla
numismatica. Le innumerevoli monete coniate durante il regno di
Costantino costituiscono una fonte importante «per costruire il
flusso della comunicazione politica indirizzata dall’imperatore ai
sudditi». Cosa rivelano? La fortissima comunicazione simbolica e
l’assoluta autorappresentazione. Con delle prospettive inattese. Ci
si aspetterebbe, ad esempio, dopo la battaglia di Ponte Milvio,
svolta della nuova epoca, l’utilizzo dei simboli cristiani. E
invece sulle monete non c’è la Croce, ma il dio Sole. Più di metà
di tutte le monete messe in circolazione a nome di Costantino fra la
vittoria di Ponte Milvio e il decennio successivo sono insomma
dedicate al Sole che è, parole di Barbero, «l’invincibile
compagno dell’imperatore, segno inequivocabile di una scelta
religiosa clamorosamente ostentata e certo popolare».
Verrebbe da dire: e le
visioni cristiane? E il signum raccontato da Lattanzio a Ponte
Milvio? E la cristianizzazione dell’imperatore? La cartina di
tornasole monetaria è in definitiva l’indizio forte di una
complessa, se non tormentata, vicenda politico-religiosa, dove
convivono a lungo ai vertici del potere decise forme di sincretismo,
visto che monete d’oro con rappresentazioni del Sole riportate in
un programma iconografico impegnativo (il Sole che incorona
Costantino o gli dona la vittoria) sono pervenute ancora per il
biennio 324-325, quasi nella fase cruciale del Concilio di Nicea.
Questo è solo un
esempio, ma nel volume se ne possono enumerare tanti altri, come
quello relativo all’Arco romano di Costantino sul quale, chiosa
Barbero, «vista la proliferazione degli studi si ha l’impressione
che, su di esso, anziché saperne di più ne sappiamo di meno».
Testimonianze da cui scaturisce in definitiva un personaggio
impossibile da ricomporre in maniera unitaria. Un Costantino mai
simile a se stesso, abilissimo a manovrare la propaganda, prima
tollerante e quasi alla ricerca di una prospettiva religiosa
sincrética poi persuaso, negli ultimi anni di vita, di essere stato
accompagnato e protetto dal Dio cristiano. Una memoria (e una
propaganda) imperiale che non si cristallizza con la sua morte, ma
tende a plasmarsi ulteriormente. Col rafforzarsi delle leggende su
apparizioni celesti e in hoc signo vinces. Mentre il ricordo
di tanti contemporanei — pagani come cristiani — di un tiranno
dispotico, autocratico, violento nel linguaggio e nei fatti, evapora
e sfuma nel mito della lebbra che colpì l’imperatore, guarito
dall’intervento salvifico di papa Silvestro. Leggenda che è il
palinsesto su cui si elabora la costruzione della Donazione di
Costantino e della respublica cristiana medioevale.
“la lettura –
Corriere della Sera”, 22 maggio 2016
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