Ray Bradbury |
Ray Bradbury, nato in un
piccolo centro agricolo dell'Illinois nel 1920, sulla spinta della
grande depressione degli anni Trenta, si trasferisce in California
con la famiglia, dove la percezione di una realtà così diversa da
quella di provenienza gli fornisce probabilmente lo spunto narrativo
per le sue Cronache marziane, in cui l'esplorazione, lo
scontro tra diverse civiltà, l'assimilazione e infine la conquista
di un nuovo mondo, diventano la metafora della storia e dell'identità
americana.
Nei vari capitoli che
compongono l'opera egli esplora, proiettandole in una dimensione
fantascientifica, le diverse fasi della vicenda americana, sullo
sfondo di un paesaggio non troppo distante visivamente dalle grandi
pianure e dai deserti degli Stati Uniti. Da segnalare le pagine in
cui si descrivono le migrazioni degli afro-americani degli Stati del
Sud verso Marte, alla ricerca di una liberazione a lungo sognata e
finalmente realizzata, lasciando lo sfruttamento e il razzismo al
vecchio mondo.
In generale la
possibilità di riscrivere, attraverso la science fiction, la storia
americana consente a Bradbury quei margini di critica sociale, a
tratti anche radicale, che non sarebbe stata consentita ad altri
narratori. In un periodo storico, parliamo degli anni Cinquanta del
secolo scorso, in cui gli Stati Uniti, usciti vittoriosi dalla
seconda guerra mondiale, si ergevano a leader del pianeta Terra e in
particolare di quella parte del pianeta che si autodefiniva
orgogliosamente «Mondo libero».
La libertà ovviamente
non era garantita a tutti e ovunque, Bradbury lo lascia intendere ma
non osa immaginare un'utopia egualitaria. Allude piuttosto ad un
mondo agrario, inteso come nostalgia di una dimensione comunitaria
dispersa dal progresso tecnologico e dall'ideologia individualista.
Nonostante Bradbury si sia dedicato anche ad altri generi letterari,
la sua fama in Italia resta legata essenzialmente alle sue due
maggiori opere di fantascienza. Con Fahrenheit 451, opera
immersa ancora più a fondo nelle contraddizioni della civiltà di
massa, la fama dello scrittore raggiunge il massimo livello.
In questo romanzo viene
evocato un futuro prossimo dove i libri sono proibiti e la lettura
interdetta, con un apposito corpo di vigili del fuoco che opera in
maniera spietata affinché questa proibizione venga osservata da
tutti i cittadini. L'unico strumento di comunicazione ammesso e
incoraggiato è la televisione, riecheggiando in qualche modo il
famoso romanzo 1984 di Orwell, pubblicato alcuni anni prima.
Bradbury tuttavia non si limita ad una critica dell'eccessiva
diffusione dei media elettronici a danno delle forme di cultura
tradizionali, ma costruisce una sorta di «ideologia salvifica»
intorno al libro che viene eletto a strumento di resistenza e di
conservazione di un mondo che va scomparendo. Nella sua visione
appare netto il contrasto tra la grettezza della società dei consumi
che andava edificandosi e la scomparsa della tradizione custodita
dalla letteratura. Da questo punto di vista è possibile accostare -
seppure con molte riserve - Ray Bradbury a quel filone di
fantascienza sociologica degli anni Cinquanta, i cui nomi più
rilevanti furono Frederick Pohl e Robert Sheckley, senza osare alcun
accostamento a Philip K. Dick.
Notevole è inoltre
l'influenza che ebbe Bradbury sull'industria culturale, dal cinema
che con Francois Truffaut traspose Fahrenheit 451, alla TV
debitrice di molti episodi della serie Ai confini con la realtà,
al fumetto che traspose in immagini disegnate le Cronache marziane
e molti altri racconti.
L'opera di Bradbury
lascia dunque emergere un sentimento di nostalgia per l'America
rurale della sua infanzia, una diffidenza verso tutto ciò che
appariva come segno della modernità e del cambiamento, il terrore
della guerra atomica che permane costantemente sullo sfondo dei suoi
testi migliori. Ma non per questo è un autore che va sottovalutato.
Anche se con un eccesso timore, ha mostrato con acume i rischi di uno
sviluppo irrazionale e senza limiti, la perdita di valori
fondamentali quali la solidarietà e la dimensione comunitaria. La
sua opera ha lasciato tracce ancora evidenti nell'immaginario
contemporaneo. Non ha saputo sognare l'utopia ed è da questo sogno
mancato che forse occorre ripartire per rileggere con gli occhi del
presente le sue Cronache marziane.
“il manifesto”, 7
giugno 2012
Nessun commento:
Posta un commento