Emilia Bassano:
ecco il nome della
famosa «dama bruna»
l'amante italiana di
William Shakespeare,
scoperta da un
professore inglese.
Ma c'è di più: un
classico triangolo
Per anni gli studiosi di
Shakespeare si sono arrovellati sul più grande mistero della vita
del poeta, e cioè sulla vera identità della «dama bruna», figura
dominante dei suoi ultimi sonetti, una donna che gli fece patire i
tormenti della passione e della gelosia, tanto da ridurlo in uno
stato di «folle delirio». Nel gruppo di sonetti che vanno dal
numero 127 al 152, Shakespeare parla di questa donna, senza mai
rivelarne il nome. Dice solo che era «bruna», e che era una
bellezza «nera». Sappiamo di lei che suonava il liuto con grazia e
abilità e che, a seconda dell'umore, era infelice, seducente,
orgogliosa, infedele, cattiva.
Ora tuttavia pare si sia
fatto un passo avanti (benché ancora moito controverso) verso la
soluzione di questo mistero. Uno dei più eminenti studiosi del
periodo elisabettiano, Alfred Leslie Rowse, settantaseienne
oxfordiano, il più grande esperto inglese di Shakespeare, basandosi
sulla lettura dei taccuini di un certo Simon Forman, oscuro medico e
astrologo del XVII secolo, è giunto alla convinzione di avere
scoperto la vera identità della «dama bruna». A quanto sostiene
Rowse, si tratterebbe di Emilia Bassano, figlia illegittima di
Battista Bassano, un musicista italiano che viveva alla corte della
regina Elisabetta.
La scoperta di Rowse ha
entusiasmato un altro giovane studioso inglese, Roger Prior, della
Belfast University: è lui che ha riportato alla luce tutta la storia
della famiglia Bassano. Secondo Prior, questa famiglia giunse in
Inghilterra da Venezia, durante il regno di Enrico VIII. Con tutta
probabilità si trattava di ebrei italiani, originari della cittadina
di Bassano, dalla quale fuggivano per sottrarsi alla persecuzione
religiosa.
Ma in che modo Emilia
Bassano sarebbe venuta in contatto con William Shakespeare? E quando?
Per capire le risposte che Rowse dà a queste domande, sarà bene
rifarsi un momento alla giovinezza di Shakespeare.
Quando viveva a
Stratford, una cittadina a centotrenta chilometri da Londra,
Shakespeare, secondo le sue stesse parole, era un ragazzo di
«temperamento vivace» e «allegro», allegro al punto che all'età
di diciotto anni mise incinta una zitella del paese, Ann Hathaway, di
otto anni e mezzo più vecchia di lui. «Willy», naturalmente, fece
il proprio dovere e la sposò. Cinque mesi più tardi, nel maggio del
1583, Ann mise al mondo la loro primogenita, Susanna, e venti mesi
dopo un paio di gemelli, Hamnet e Judith.
Il grande balzo in avanti
della sua carriera (abbandonati figli e moglie) avvenne nel 1590-91,
quando fu ammesso alla corte del conte di Southampton, che a quel
tempo aveva sì e no diciassette o diciotto anni, ma, come molti
nobili dell'epoca, manteneva in casa sua una corte di attori, poeti e
musicisti. A lui Shakespeare legò una parte del suo destino. Di
Henry Wriothesley conte di Southampton, secondo Rowse, si sa che
aveva una vita sessuale tutt'altro che limpida. A lui Shakespeare
dedicò un verso del sonetto 108 che recita: «Tu sei mio, io sono
tuo». Fu Oscar Wilde il primo a tirar fuori la storia che fra i due
esistesse un solido rapporto omosessuale. «Ma Wilde aveva, come
dire, un certo interesse a sostenere la tesi dell'omosessualità.
Invece quello fra il poeta e il conte, se fu amore, fu solo
platonico», spiega Rowse.
Il periodo trascorso alla
corte di Southampton fu invece la vera «università» di
Shakespeare. Era infatti un circolo colto, raffinato «nel quale
poteva trovare rispondenza la natura del poeta». Nelle sue opere,
dice Rowse, spesso Shakespeare sottolinea quanto dovesse a questa
esperienza, che fu di cardinale importanza nello sviluppo della sua
personalità. Bisogna anche considerare il fatto che nel 1592 e nel
1593 a Londra c'era la peste e perciò tutti i teatri erano chiusi.
Se non fosse stato per la sua posizione di attore, commediografo e
poeta in casa del conte di Southampton, Shakespeare non avrebbe avuto
modo di sostentarsi e forse nemmeno di sopravvivere.
Fu anzi proprio alla
corte di Southampton, sostiene Rowse, che Shakespeare conobbe Emilia
Bassano nel 1591 o 1592. Fu quindi in casa del conte che il poeta si
innamorò di lei, ci andò a letto e finì poi per scoprire con
orrore che quella donna lo aveva coinvolto in un pericoloso triangolo
amoroso con lo stesso giovane conte. Ma vediamo ora cosa ha scoperto
Rowse a proposito di Emilia Bassano.
Circa cinque anni dopo, e
precisamente nel 1597, pare che Emilia abbia consultato il medico e
astrologo Simon Forman, per farsi predire se suo marito, un certo
Alphonso Lanier, di origine francese, sarebbe stato nominato
cavaliere e se lei di conseguenza sarebbe diventata una dama. Forman,
con l'occasione, entrò anche lui a fare parte della folta schiera di
amanti di Emilia, e scrisse nei suoi taccuini qualche breve
annotazione su di lei. Questi taccuini sono oggi conservati a Oxford,
nella Bodleian Library. Rowse ebbe già occasione di consultarli
circa un quarto di secolo fa, senza tuttavia riuscire a cogliere, a
quella prima lettura, l'importanza della figura di Emilia Bassano,
anche perché si trattava di pagine zeppe di simboli astrologici e di
passaggi farraginosi e confusi. Nel 1972 Rowse tornò a studiare
questi manoscritti e fu allora che il personaggio di Emilia Bassano
gli balzò agli occhi in tutto il suo rilievo.
Emilia aveva raccontato a
Forman di avere avuto una vita infelice. Suo padre, il musico di
corte Battista Bassano, era morto nel 1576, senza avere mai sposato
sua madre, una donna inglese di nome Margaret Johnson. Alla morte del
padre, Emilia era dunque una bimbetta di sei anni. Nel 1587, un anno
prima dell'impresa dell'Invencible Armada, le morì anche la
madre. Emilia rimase quindi orfana a soli diciassette anni. Dotata
d'un certo talento musicale e d'un bel paio d'occhioni bruni
all'italiana, Emilia non ebbe difficoltà a entrare alla corte della
contessa di Kent. Qui venne subito notata da uno dei più potenti
nobili inglesi, Henry Carey, figlio di Maria, sorella di Anna Bolena,
e quindi cugino primo di Elisabetta. La regina lo aveva nominato lord
Hunsdon e ne aveva fatto il lord Ciambellano del suo regno.
Nel 1588, anno
dell'impresa dell'Invencible Armada, lord Hunsdon era stato
mandato a Kent per occuparsi dei problemi della difesa. Hunsdon era
già un uomo di mezza età, un soldataccio dai modi rudi. Emilia
Bassano aveva allora diciotto anni e, divenuta l'amante di Hunsdon,
rimase sua compagna per parecchio tempo. Quando Emilia restò
incinta, il lord Ciambellano si affrettò a farla sposare con un
musico di corte. Come la stessa Emilia raccontò a Simon Forman,
«finché era stata l'amante di lord Hunsdon, il lord Ciambellano,
era vissuta con grande fasto. Ma una volta rimasta incinta, era stata
costretta a sposare un menestrello».
Questo menestrello, un
personaggio abbastanza simile al padre di Emilia, era un musicista di
corte di nome Alphonso Lanier. Originariamente doveva chiamarsi
Alphonse, dato che la famiglia era recentemente emigrata in
Inghilterra da Rouen. Mentre i Bassano rimasero in Inghilterra per
generazioni, i Lanier emigrarono ben presto negli Stati Uniti, dove
infatti il nome Lanier esiste ancora. Ad esempio il vero nome del
commediografo Tennessee Williams è Thomas Lanier.
Poco dopo il matrimonio
forzato con Alphonso Lanier, che non amava, Emilia Bassano,
cortigiana frivola e ancora giovanissima, venne in contatto con
Shakespeare. Tanto Alphonso Lanier che Shakespeare erano infatti
legati alla corte del duca di Southampton. Questo è il punto che
Rowse ha potuto accertare mediante altre fonti. Rowse è perciò
convinto che Emilia Bassano sia diventata l'amante di Shakespeare nel
1591 o 1592. Il poeta fu attratto da lei non solo per il suo fascino
sensuale, ma anche per le ingiustizie che Emilia aveva patito nella
sua vita. Shakespeare, sostiene Rowse, esprime molto bene la
situazione nel distico di chiusura del sonetto 150: «Che se l'esser
tu indegna in me risvegliò amore / Tanto io più degno d'esser da te
amato». L'indegnità di Emilia consisterebbe nel fatto che era stata
cacciata dal lord Ciambellano, aveva fallito come dama di corte e
aveva messo al mondo un figlio bastardo.
Rowse crede anche
d'individuare nella quarta commedia di Shakespeare, Pene d'amor
perdute, scritta nel 1593, un ritratto del poeta nel personaggio
di Byron e di Emilia nel personaggio di
Rosaline, descritta assai
più bruna di quanto non ammettessero i correnti canoni della
bellezza femminile e perciò nata «per far bello il nero».
Nell'anno precedente,
cioè nel 1592, quando si trovava alla corte di Southampton ormai da
un anno ed era già innamorato di Emilia, ammesso che Rowse abbia
ragione, Shakespeare scrisse due commedie, precisamente I due
gentiluomini di Verona e La bisbetica domata. La prima
ambientata a Verona e la seconda a Padova. Visto che Emilia era
discendente da una famiglia veneta, questa coincidenza porta con sé
un'altra serie di interessanti supposizioni. La cosa è tanto più
notevole se si pensa che Romeo e Giulietta (1594-95) si svolge
a Verona e che tanto Il Mercante di Venezia (1596) che Otello
(1605) sono ambientati a Venezia. Anzi, possiamo arrivare a dire che
tutte le opere «italiane» di Shakespeare, fatta eccezione per i
drammi storici, come il Giulio Cesare, sono ambientate nel
Veneto, compresa La dodicesima notte (composta nel 1601)
descritta come se si svolgesse in Illiria.
Naturalmente Emilia
Bassano non era l'unica fonte d'informazione per queste ambientazioni
in Italia. Shakespeare potrebbe avere letto anche la History of
Italy di William Thomas e un libro di racconti intitolato Il
Pecorone. Anche Giovanni Florio, tutore del conte di Southampton,
discendeva da una famiglia ebrea italiana, e potrebbe avere
contribuito ad arricchire le nozioni di Shakespeare sul Rinascimento
italiano. Del resto a quel tempo in Inghilterra molta gente colta
parlava l'italiano, compresa la regina Elisabetta. Il fatto comunque
che tutte queste commedie siano ambientate nel Veneto e che il tema
dell'ebreo italiano compaia nel Mercante di Venezia
costituisce per lo meno un legame preciso con la presenza di Emilia
Bassano alla corte di Southampton. Anzi, nel Mercante di Venezia
c'è perfino un personaggio che si chiama Bassanio.
La relazione amorosa tra
Shakespeare e la «dama bruna» non ebbe un lieto fine. Dagli ultimi
sonetti si capisce che lei lo tradì in modo da suscitare nel poeta
grande ansia e angoscia. Il sonetto 144 ci racconta come andarono le
cose.
«Due amori io posseggo,
conforto e dannazione, / Che a modo di due spiriti mi governano
ognora, / Uomo d'alta bellezza l'angelo mio migliore, / Donna di mal
colore il dèmone malvagio. / A tosto suadermi all'inferno, quella
donnesca peste / L'angiol mio buono dal mio fianco seduce, / E a
corrompere adopra quel santo in un demonio».
I due amori, afferma con
certezza Rowse, sono il conte di Southampton, che Shakespeare nel
fiorito linguaggio dell'epoca chiama «l'angiol mio buono», e Emilia
Bassano, «la donnesca peste» con la sua «fosca libidine». Se
l'interpretazione di Rowse è esatta, Emilia Bassano avrebbe iniziato
il giovane conte ai piaceri del sesso e Shakespeare, che aveva allora
ventinove anni contro i ventidue di Emilia e i diciannove del conte
di Southampton, non solo fu sconvolto dalla gelosia, ma si preoccupò
anche moltissimo per la propria posizione personale in casa di
Southampton, tanto più che il conte aveva una madre molto severa e
attaccatissima al figlio. Shakespeare si preoccupava anche di quali
sarebbero state le reazioni del conte e del pericolo che contraesse
qualche malattia venerea da una donna così infedele.
Nel 1596 Shakespeare
aveva lasciato la corte del conte di Southampton per diventare
azionista della compagnia teatrale del lord Ciambellano, proprio quel
lord Hunsdon che era stato un tempo l'amante di Emilia Bassano e che
era il padre del suo figlio bastardo. «Sarebbe divertente immaginare
gli sguardi che i due si scambiarono», commenta Rowse. A quel tempo
Shakespeare nutriva una grande ostilità nei confronti della sua ex
amante. Negli ultimi sonetti infatti fa spesso allusione al colore
straordinariamente «scuro» della donna come metafora per indicare
il nero della sua anima e della sua morale. Tant'è vero che il
distico di chiusura del sonetto 147 suona così: «Che chiara io t'ho
giurata e bella ti ho creduta / Tu, nera come l'inferno, come la
notte oscura».
Non esiste nessuna prova
che dopo d'allora Shakespeare e la sua «dama bruna» si siano più
incontrati. Il marito Alphonso salpò con una spedizione su una nave
al comando del conte di Southampton, nella speranza di diventare
finalmente cavaliere. Il 17 maggio del 1597 Emilia Bassano Lanier si
recò infatti nello studio di Simon Forman per farsi predire la
fortuna, per farsi dire cioè se il marito sarebbe mai diventato
cavaliere e lei dama. Fu appunto così che Forman annotò la visita
nei suoi taccuini, quegli stessi taccuini che Rowse ha riaperto più
di 375 anni dopo, a Oxford, per scoprirvi l'esistenza di Emilia
Bassano.
Ma Rowse non s'è
accontentato di scoprire semplicemente l'esistenza di Emilia. Infatti
ha trovato e messo insieme quattro volumi di manoscritti, le uniche
copie rimaste d'un notevole volume di versi scritto e pubblicato da
questa donna. Il libro aveva un titolo molto curioso, Salve Deus
Rex Judaeorum (Salve Dio Re degli ebrei). Sul frontespizio
di questo libriccino, datato 1611, c'era un indice: 1) Passione di
Cristo. 2) Apologia di Eva in difesa delle donne. 3) Le
lacrime delle figlie di Gerusalemme. 4) Salutazione e dolore
della Vergine Maria.
Questo volumetto in versi
era insomma il primo trattato femminista di tutta la storia della
letteratura inglese, anzi possiamo a buon diritto dire della
letteratura mondiale. Emilia Bassano aveva riversato in quelle pagine
tutto il rancore accumulato contro gli uomini, e nella prefazione se
la prende con «quegli uomini d'indole malvagia, che dimentichi
d'esser nati da donne, allevati da donne, e che se non fosse per le
donne il genere umano si estinguerebbe... disprezzano come le vipere
il grembo che li ha nutriti».
In fondo Emilia non aveva
tutti i torti a sentirsi tanto amareggiata. Lord Hunsdon, il padre di
suo figlio, non solo l'aveva costretta a sposare un uomo che non
amava, ma aveva permesso al marito di dilapidarle anche la dote che
era riuscita a farsi assegnare dal lord Ciambellano. Così per lo
meno raccontò a Simon Forman, che a sua volta non mancò di annotare
che Emilia era una donna di carnagione molto scura. Nei suoi taccuini
per la verità Forman non fa il minimo accenno a un rapporto tra
Emilia Bassano e Shakespeare. Probabilmente Shakespeare costituiva
solo un episodio marginale nella vita di Emilia, una vecchia fiamma
che suscitava ancora in lei qualche risentimento. Dopo tutto il poeta
aveva scritto pubblicamente della sua «fosca libidine». È vero che
i sonetti di Shakespeare non vennero pubblicati che nel 1609, ma già
prima di questa data circolavano in manoscritto nella cerchia di
Southampton.
È toccato quindi a
Shakespeare avere l'ultima parola. Le sue opere infatti sono state
conservate e consacrate come la più grande produzione letteraria
della storia, mentre il poema di Emilia, in 240 stanze, e con quel
suo strano titolo, vendette pochissime copie e sparì poi
rapidamente, inghiottito dall'oblio. Rowse, che lo ha riscoperto
tanti secoli dopo, sostiene che il maggior merito del poema è se non
altro di dimostrare che Emilia Bassano «era una donna molto colta,
che aveva letto ampiamente la Bibbia e tutti i classici preferiti del
Rinascimento».
Che sia stata quindi
questa donna a sussurrare i racconti «italiani» all'orecchio del
suo geniale e affascinato amante? Racconti della sua infanzia, dei
suoi vari parenti di Bassano, che servirono la corona inglese per
oltre cento anni, come musici di corte, dopo essere fuggiti dalla
città natale (come ha scritto Roger Prior) dopo la Lega di Cambrai,
nel 1516, quando gli ebrei furono banditi da Bassano.
L'Europeo, 23 Febbraio 1981
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