9.10.16

“La sai l'ultima sui Medici?”. Le facezie di Poggio Bracciolini (Gianfranco Berardi)

Storico, consigliere dei papi, cancelliere della repubblica fiorentina, umanista finissimo, scopritore di codici, esperto filologo, Poggio Bracciolini divenne già ai suoi tempi (1380-1459) rapidamente famoso: un vero e proprio autore alla moda. Ma la popolarità non gli venne tanto dall’aver scovato in Germania le Istituzioni di Quintiliano o i sublimi versi di Lucrezio sulla Natura, quanto dall’aver raccontato — e in latino — le barzellette dell’epoca: aneddoti, motti di spirito, disavventure di vescovi, cardinali, stupidaggini di sempliciotti e malizie di astuti. Il tutto per far divertire il mondo. L’opera, messa insieme in una quindicina d'anni, prese il titolo finale di Liber facetiae ed ha avuto ora una nuova traduzione con testo a fronte (editore Rizzoli, trad. Marcello Ciccuto, con ritratto di Poggio di Eugenio Garin). L’autore le aveva definite però «confabulationes», cioè chiacchiere alla buona, stese per salvare lo spirito «gravato» e spingerlo alla gioia della distrazione «con qualche sorridente ristoro».
Dentro c’è di tutto: dalla polemica antiecclesiastica all’episodio salace, dall’esaltazione della beffa alla ripresa dei temi della novellistica popolare propri di un Boccaccio o di un Sacchetti, dalla lite fra le cortigiane alla documentazione semiseria di miracoli e prodigi, dalle balordaggini dei principi alle arguzie aegli umili. Ma sopra ogni cosa c’è una sfrenata e gaia sublimazione del sesso. Uomini e donne, ricchi e poveri, giovani e vecchi, religiosi e laici non sembrano aver altro per la mente. E la loro potenza in questa sfera appare ciclopica. Nemmeno l’omerico sommo Giove potrebbe seguirne le orme. Un precettore ardente «si fa» un’intera famiglia: moglie, figlie, parenti e domestica. E alla fine serve anche il marito. Un eremita che dimora presso Pisa si ripassa una regazzotta «una ventina di volte». E in una sola notte. Un primato che nemmeno il focosissimo Cesare Borgia riuscirà ad eguagliare, anche se stando a certe cronache, la prima notte di nozze «fecisse octo vices successive».
Altri tempi, forse. Ma sempre gli stessi «maschi» che, tra cacce e amori, trasformano passeri in cinghiali e baci in corride. Del resto, queste facezie erano solo il diario delle chiacchiere che i funzionari e i frequentatori della curia romana si erano scambiati in stanze che avevano chiamato il «bugiale», cioè un «opificio della menzogna». Non c’era pietà per nessuno — racconta Poggio — e non si risparmiava nulla di quanto ci facesse ombra: lo steso papa era oggetto degli scherzi. E fra i chiacchieroni c'erano personaggi famosi, come quell’Antonio Loschi che era stato cancelliere di Giangaleazzo Visconti e, in tale qualità, aveva scritto una celeberrima «invettiva» contro i fiorentini, meritandosi la fierissima risposta del grande Coluccio Salutati.
Chiacchiere di «maschi» vicini al potere, quindi. E vanagloriosi per giunta. Non meraviglia quindi che la donna sia vista in funzione di questa «confabulazione» più o meno scurrile. Ma ella stessa vi sale più di una volta a protagonista, capace di inganno autonomo, di intelligente malizia, di finissima circonvenzione. E nell’abbraccio finale il piacere è frequentemente reciproco. Furbizia e inganni sono legittimati, ma solo se «tutto finisce bene»— come nel Boccaccio — e bene per entrambe le parti. La lezione dell’autore del «Decamerone» sembra interamente conclusa.
«I corpi di tutti noi sono fatti della stessa carne — aveva scritto il fiorentino — e lo stesso Creatore ha fatto le anime di noi con le stesse forze e le stesse inclinazioni». Un altro fiorentino, del Quattrocento, «padrino» della repubblica e protettore di Poggio, Cosimo de Medici, aveva proclamato: «Bastano due braccia di panno rosso per fare un uomo dabbene». l.a nobiltà di sangue andava a farsi friggere. Nel Bracciolini delle «Facezie» questa uguaglianza degli animi e delle virtù diventa sempre più uguaglianza della natura umana. Così non ci sono obiezioni se un’ardente matrona vuol far esperienza degli amplessi di un prete, visto che il marito è stato così sciocco da rivelargliene le superiori prestazioni. Perché mai non dovrebbe goderne?
II clima è di gioia quindi. E poiché, sempre, la gente ha cercato di essere felice, è naturale che le Facezie. abbiano avuto, ancora prima del 1500, ben trenta edizioni. Una sorta di primato, magari della scurrilità, come pensò Erasmo da Rotterdam. Certo alcune facezie sono rozze, altre grossolanamente lubriche. Il latino di Cicerone non le salva. Il giudizio di Erasmo però è troppo triste e intollerante. «Poggio cagnaccio ignorante, indegno di lettura». Ma Poggio lo aveva giocato, e d'anticipo. Non leggere le mie chiacchiere «addissimo critico» — aveva scritto — perché io voglio solo lettori »amabili e vivaci». Se fosse stato in vita avrebbe mandato Erasmo a quel paese. E di Poggio Cancelliere, scrittore di facezie, è stata tramandata questa facezia: «Messer Poggio Bracciolini, essendo cancelliere della Signoria di Firenze, et trovandosi un giorno nella audienza di Dieci, de’ quali allora era Cosimo; et soprastando i Dieci per i casi importanti, sonò nona. Udendola messer Poggio, dixe: “C... in culo a questo popolo: odi nona! io ne voglio ire a desinare”. Cosimo udendo, dixe: “Maledictus puer centorum annorum”». Come disse il Medici, era davvero un «maledetto ragazzo di cent’anni».


L'Unità, 14 maggio 1983

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