Storico, consigliere dei
papi, cancelliere della repubblica fiorentina, umanista finissimo,
scopritore di codici, esperto filologo, Poggio Bracciolini divenne
già ai suoi tempi (1380-1459) rapidamente famoso: un vero e proprio
autore alla moda. Ma la popolarità non gli venne tanto dall’aver
scovato in Germania le Istituzioni di Quintiliano o i sublimi
versi di Lucrezio sulla Natura, quanto dall’aver raccontato — e
in latino — le barzellette dell’epoca: aneddoti, motti di
spirito, disavventure di vescovi, cardinali, stupidaggini di
sempliciotti e malizie di astuti. Il tutto per far divertire il
mondo. L’opera, messa insieme in una quindicina d'anni, prese il
titolo finale di Liber facetiae ed ha avuto ora una nuova
traduzione con testo a fronte (editore Rizzoli, trad. Marcello
Ciccuto, con ritratto di Poggio di Eugenio Garin). L’autore le
aveva definite però «confabulationes», cioè chiacchiere alla
buona, stese per salvare lo spirito «gravato» e spingerlo alla
gioia della distrazione «con qualche sorridente ristoro».
Dentro c’è di tutto:
dalla polemica antiecclesiastica all’episodio salace,
dall’esaltazione della beffa alla ripresa dei temi della
novellistica popolare propri di un Boccaccio o di un Sacchetti, dalla
lite fra le cortigiane alla documentazione semiseria di miracoli e
prodigi, dalle balordaggini dei principi alle arguzie aegli umili. Ma
sopra ogni cosa c’è una sfrenata e gaia sublimazione del sesso.
Uomini e donne, ricchi e poveri, giovani e vecchi, religiosi e laici
non sembrano aver altro per la mente. E la loro potenza in questa
sfera appare ciclopica. Nemmeno l’omerico sommo Giove potrebbe
seguirne le orme. Un precettore ardente «si fa» un’intera
famiglia: moglie, figlie, parenti e domestica. E alla fine serve
anche il marito. Un eremita che dimora presso Pisa si ripassa una
regazzotta «una ventina di volte». E in una sola notte. Un primato
che nemmeno il focosissimo Cesare Borgia riuscirà ad eguagliare,
anche se stando a certe cronache, la prima notte di nozze «fecisse
octo vices successive».
Altri tempi, forse. Ma
sempre gli stessi «maschi» che, tra cacce e amori, trasformano
passeri in cinghiali e baci in corride. Del resto, queste facezie
erano solo il diario delle chiacchiere che i funzionari e i
frequentatori della curia romana si erano scambiati in stanze che
avevano chiamato il «bugiale», cioè un «opificio della menzogna».
Non c’era pietà per nessuno — racconta Poggio — e non si
risparmiava nulla di quanto ci facesse ombra: lo steso papa era
oggetto degli scherzi. E fra i chiacchieroni c'erano personaggi
famosi, come quell’Antonio Loschi che era stato cancelliere di
Giangaleazzo Visconti e, in tale qualità, aveva scritto una
celeberrima «invettiva» contro i fiorentini, meritandosi la
fierissima risposta del grande Coluccio Salutati.
Chiacchiere di «maschi»
vicini al potere, quindi. E vanagloriosi per giunta. Non meraviglia
quindi che la donna sia vista in funzione di questa «confabulazione»
più o meno scurrile. Ma ella stessa vi sale più di una volta a
protagonista, capace di inganno autonomo, di intelligente malizia, di
finissima circonvenzione. E nell’abbraccio finale il piacere è
frequentemente reciproco. Furbizia e inganni sono legittimati, ma
solo se «tutto finisce bene»— come nel Boccaccio — e bene per
entrambe le parti. La lezione dell’autore del «Decamerone» sembra
interamente conclusa.
«I corpi di tutti noi
sono fatti della stessa carne — aveva scritto il fiorentino — e
lo stesso Creatore ha fatto le anime di noi con le stesse forze e le
stesse inclinazioni». Un altro fiorentino, del Quattrocento,
«padrino» della repubblica e protettore di Poggio, Cosimo de
Medici, aveva proclamato: «Bastano due braccia di panno rosso per
fare un uomo dabbene». l.a nobiltà di sangue andava a farsi
friggere. Nel Bracciolini delle «Facezie» questa uguaglianza degli
animi e delle virtù diventa sempre più uguaglianza della natura
umana. Così non ci sono obiezioni se un’ardente matrona vuol far
esperienza degli amplessi di un prete, visto che il marito è stato
così sciocco da rivelargliene le superiori prestazioni. Perché mai
non dovrebbe goderne?
II clima è di gioia
quindi. E poiché, sempre, la gente ha cercato di essere felice, è
naturale che le Facezie. abbiano avuto, ancora prima del 1500,
ben trenta edizioni. Una sorta di primato, magari della scurrilità,
come pensò Erasmo da Rotterdam. Certo alcune facezie sono rozze,
altre grossolanamente lubriche. Il latino di Cicerone non le salva.
Il giudizio di Erasmo però è troppo triste e intollerante. «Poggio
cagnaccio ignorante, indegno di lettura». Ma Poggio lo aveva
giocato, e d'anticipo. Non leggere le mie chiacchiere «addissimo
critico» — aveva scritto — perché io voglio solo lettori
»amabili e vivaci». Se fosse stato in vita avrebbe mandato Erasmo a
quel paese. E di Poggio Cancelliere, scrittore di facezie, è stata
tramandata questa facezia: «Messer Poggio Bracciolini, essendo
cancelliere della Signoria di Firenze, et trovandosi un giorno nella
audienza di Dieci, de’ quali allora era Cosimo; et soprastando i
Dieci per i casi importanti, sonò nona. Udendola messer Poggio,
dixe: “C... in culo a questo popolo: odi nona! io ne voglio ire a
desinare”. Cosimo udendo, dixe: “Maledictus puer centorum
annorum”». Come disse il Medici, era davvero un «maledetto
ragazzo di cent’anni».
L'Unità, 14 maggio 1983
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