Ben Gurion e Stalin |
«Durante
l'ultima guerra il popolo ebraico ha patito tremende e indescrivibili
sofferenze… Il fatto che nessuno Stato dell'Europa occidentale sia
stato capace di garantire i diritti elementari del popolo ebraico e
di proteggerlo dalla violenza fascista, spiega il desiderio degli
ebrei di costituirsi uno Stato proprio. Sarebbe ingiusto non prendere
in considerazione questa circostanza e negare al popolo ebraico il
diritto a realizzare le proprie aspirazioni… ». A pronunciare
questo discorso appassionato a favore del diritto degli ebrei di
costituire un proprio Stato in Palestina fu Andrej Gromyko,
rappresentante permanente alle Nazioni Unite e viceministro degli
Esteri dell'Unione Sovietica. Era il 4 maggio 1947 e l'Urss,
vittoriosa nella Seconda guerra mondiale e già impegnata nel
confronto con l'Occidente, aveva identificato nel Medio Oriente,
ancora nella sfera di influenza di una debolissima Gran Bretagna, uno
dei settori in cui misurarsi con gli ex alleati. Sia Londra sia gli
Stati Uniti, un po' per gli interessi petroliferi in comune con i
governi arabi, un po' per i tradizionali (e romantici) legami che
soprattutto gli inglesi, da Lawrence d'Arabia in poi, avevano con le
monarchie della regione, un po' per la diffidenza che gli ebrei
palestinesi imbevuti di socialismo ispiravano al dipartimento di
Stato di Washington, non erano affatto favorevoli alle aspirazioni
sioniste. E così Mosca fece la scelta opposta.
Per
chi è nato nel dopoguerra ed è cresciuto leggendo sui giornali dei
grandi scontri arabo- israeliani, soprattutto quelli del 1967 e del
1973, è difficile pensare che ci sia stato un momento storico in cui
Usa e Urss avevano ruoli opposti rispetto a quelli tradizionali di
sponsor, rispettivamente, di ebrei e arabi. Eppure la grande mole di
documenti, alcuni dei quali inediti, raccolti dal giornalista e
storico russo Leonid Mlecin nel libro Perché Stalin creò
Israele (Sandro Teti Editore,
pp. 207, e 17, a cura di Luciano Canfora, introduzione di Enrico
Mentana, traduzione di Svetlana Solomonova) non lasciano ombra di
dubbio. Il georgiano di Mosca, mentre in patria perseguitava gli
ebrei (e le altre nazionalità) in nome della russificazione
dell'Urss, sulla scena internazionale fu «l'ostetrico» che fece
nascere Israele: furono Urss, Ucraina, Bielorussia, Polonia e
Cecoslovacchia, nella votazione definitiva all'Onu, a far pendere la
bilancia a favore della spartizione della Palestina in due Stati
autonomi, uno ebreo e l'altro arabo. E fu Stalin a consentire a
Praga, appena entrata nell'orbita sovietica, di vendere armi moderne
all'Haganah, in netta inferiorità di fronte agli eserciti arabi
nella guerra del 1948. «Oggi non ho più dubbi: lo scopo dei
sovietici era estromettere l'Inghilterra dal Medio Oriente», scrisse
Golda Meir, ambasciatore a Mosca, poi ministro degli Esteri e infine
primo ministro di Israele.
La
rottura tra Tel Aviv e Mosca arrivò poco dopo la vittoria degli
eserciti ebraici e l'affermazione definitiva di Israele, e fu rapida,
come racconta Mlecin: Stalin, sempre a caccia di nemici interni
nell'orwelliana ossessione di tenere il suo popolo in perenne stato
d'assedio per compattarne la volontà antioccidentale, lanciò la sua
campagna contro «la cricca» dei medici ebrei e aumentò le
restrizioni all'emigrazione degli ebrei sovietici. La stampa
israeliana lo attaccò duramente, nonostante la prudenza del governo
di Tel Aviv. Ma Stalin, semplicemente, non poteva concepire l'idea di
una stampa libera e vide dietro gli attacchi la mano di Ben Gurion e
dei suoi. Poi ci fu un attentato all'ambasciata sovietica di Tel
Aviv, la rottura delle relazioni diplomatiche e lo scivolamento di
Israele nell'orbita americana. I diplomatici israeliani lasciarono
Mosca il 20 febbraio 1953. Pochi giorni dopo Stalin moriva. Ma la
frattura tra Israele e l'Urss non venne più ricomposta.
Corriere
della Sera 10 gennaio 2009
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