Xi Jinping, insieme ad altri familiari, porta a spasso il vecchio padre in un parco di Pechino
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“L'educazione d’un
popolo si giudica / innanzi tutto dal contegno ch’egli tiene per la
strada». Leggevo la traduzione di questo aforisma deamicisiano su un
pannello «pubblicità progresso» nella metropolitana di Shanghai,
meravigliato che il libro Cuore avesse riscosso tanto successo
in Cina. Da noi la frase avrebbe fatto sorridere, ma non in quel
Paese, abituato ai manifesti e agli slogan un tempo dedicati agli
ideali del socialismo, oggi inneggianti ai valori etici confuciani.
Sono espressione di un populismo illuminato e al tempo stesso
autoritario che trae ispirazione da un principio cardinale del
confucianesimo classico, tenuto presente dai governanti di ogni
epoca: il primato del popolo (yi min wei zhu; da questa
locuzione deriva la parola «democrazia», minzhu).
Il principio, elaborato
da Mencio nel IV secolo a.C., ha fissato con chiarezza le priorità
del potere istituzionale: «Il popolo occupa il primo posto, poi
viene lo Stato e per ultimo il sovrano» in un’ottica in cui «il
mondo ha il suo fondamento nello Stato, lo Stato nella famiglia e la
famiglia nell’individuo». In Cina il populismo (mincuizhuyi)
ha mantenuto nei secoli il focus sulla collettività ancor prima che
sull’uomo. Eppure, nonostante le riforme avviate negli ultimi
decenni, in Occidente la Cina è ancora percepita come un Paese
illiberale. Il suo leader, autoritario e accentratore, è paragonato
a un imperatore che governa con pugno di ferro. Rappresenta un
modello invidiato da statisti come Donald Trump ma, mentre il
presidente americano non riscuote un vasto consenso nel suo Paese, Xi
Jinping gode del favore di gran parte dei cittadini, per i quali è
Xi Dada, «Zio Xi».
Come si spiega
quest’apparente contraddizione? La stima e l’affetto di cui Xi
Jinping gode sono dovuti non solo ai buoni risultati conseguiti da
quando è al governo, ma anche a un’abile operazione di propaganda,
volta a ridurre l’enorme distanza che si era venuta a creare tra il
Partito comunista, il solo organo indipendente a cui tutte le altre
istituzioni sono subordinate, e l’uomo comune, a lungo vessato da
burocrati e politici impegnati nella difesa di privilegi ottenuti
illegalmente e ostentati senza alcun pudore. Appena nominato
segretario generale del Partito, Xi ha decretato la fine del «periodo
dell’umiliazione nazionale» imposto dalle potenze straniere a
partire da metà Ottocento e ha annunciando l’inizio di un grande
Rinascimento destinato a riportare la Cina al centro del tianxia,
«ciò che è sotto il cielo», com’era stato fin prima della
Grande Divergenza, promuovendo l’orgoglio nazionale e i valori
patriottici, affinché non solo i cinesi residenti in patria, ma
anche le comunità all’estero si sentano partecipi del processo di
rinnovamento e contribuiscano alla rinascita del Paese e alla
diffusione della sua cultura tradizionale.
Questo sogno identitario
presuppone uno sforzo corale verso un obiettivo comune che
trasformerà il sogno da cinese a globale. Abbiamo così visto il
presidente-di-tutto ergersi a paladino della globalizzazione e del
libero mercato in un momento in cui i rappresentanti delle grandi
economie liberiste sembrano voler andare in direzione opposta, farsi
promotore di grandiosi progetti infrastrutturali destinati a cambiare
gli assetti geopolitici ed economici del pianeta, realizzare quanto
promesso, ma non mantenuto, dai suoi predecessori: combattere i
soprusi della casta, moralizzare istituzioni e Paese, cercare di
eliminare corruzione ed eccessi di una classe burocratica e politica
che aveva spadroneggiato in ogni settore delfamministrazione pubblica
e dell’esercito. Ma anche limitare alcune libertà individuali e
controllare, e in caso reprimere, forme eccessive di dissenso.
Nonostante la fitta
agenda di impegni, eccolo nei panni del figlio devoto a passeggio con
la madre nel parco o ripreso dai telefonini dei clienti di un
affollato ristorante mentre mangia, inatteso, tra la gente (in pochi
minuti le immagini sono arrivate ovunque) o protagonista dei racconti
del tassista che l’ha avuto come cliente e ha colto l’occasione
per parlargli di inquinamento e dei problemi del proprio lavoro.
Eccolo infine ritratto sui gadget di stile maoista e sulla copertina
dei libri che riportano i suoi discorsi o raccolgono le citazioni dai
classici ch’egli inserisce nei suoi scritti, al pari dei letterati
di un tempo che sapevano coniugare la cultura con l’impegno sociale
e istituzionale. Il populismo con caratteristiche cinesi può anche
lasciarci perplessi, però funziona.
La Lettura - Corriere della Sera, 8 luglio 2018
La Lettura - Corriere della Sera, 8 luglio 2018
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