Hyppolite Delaroche, Ritratto di Gregorio XVI (1844) |
La Roma raccontata dal
Belli è la Roma dei sei papi che regnarono ne settantadue anni in
cui egli visse, anni di enormi agitazioni, di movimenti politici, di
va-e-vieni tra occupazioni militari e restaurazioni, in una città
sordida e spopolata, abitata da plebi tra le più incolte e ciniche
che ci fossero allora in Italia.
Belli ritrae questa città
che si lascia vivere con indolenza mentre si diffonde la
consapevolezza che lo Stato della Chiesa è diventato ormai un
anacronismo. Già in un sonetto del 32 (Li punti doro) Belli
scrive: Cusì viengheno a dì li giacubini, / ar gran sommo
pontefice Grigorio: / che te fai de li stati papalini, / dove la vita
tua pare un mortorio?. Non fu così facile, comunque. Ancora nel
1862 trecento vescovi reclamarono che il potere temporale era una
necessità voluta direttamente dalla provvidenza divina. Affermazioni
impegnative, un anno dopo la proclamazione dell'Unità dItalia.
Quando Giuseppe Gioachino
nacque, sul soglio di Pietro sedeva Pio VI papa Braschi, non malvagio
ma certo inadeguato ai cataclismi di quegli anni: prima la
Rivoluzione, poi la folgore di Napoleone. Nel 98 il Direttorio fa
occupare Roma e deporre il papa. “Fatemi morire a Roma”, implora
il pontefice. “Può morire dove vuole”, gli rispondono. Morirà
in carcere nella fortezza di Valence. Anche il suo successore Pio VII
deve fare i conti con Napoleone, che lo fa deportare, mentre Roma
conosce l'occupazione francese (1808). Per i romani, umiliazione a
parte, non è gran male. La presenza degli occupanti dà una scossa a
una città che l'amministrazione pontificia ha conservato in
condizioni quasi medievali: obelischi e basiliche in un tessuto
urbano ridotto a melmoso villaggio.
Dopo la sconfitta di
Napoleone a Lipsia, il papa può tornare a Roma dove rientra il 24
maggio 1814, accolto trionfalmente. La furia restauratrice di alcuni
cardinali che vogliono cancellare ogni traccia degli occupanti,
arriva al punto da chiedere l'abolizione dell'illuminazione stradale
introdotta dai francesi. Salva tutti dal ridicolo il genio di Ercole
Consalvi, segretario del papa, politico sommo. Nato in una città
meno degradata, sarebbe stato un Metternich. In un paese più
consapevole della sua storia sarebbe diventato comunque un mito, come
Talleyrand.
Pio VII regna per quasi
un quarto di secolo, il suo successore, Leone XII, solo sei anni.
Bastano per darci l'immagine dun papa terrorizzato dai tempi,
ferocemente restauratore. È lui che durante l'anno Santo del 25, fa
impiccare in piazza i due carbonari Targhini e Montanari. Quando papa
Della Genga morì, apparve questo cartello: “Ora riposa Della
Genga, per la sua pace e per la nostra”. Eppure il Belli ne rievoca
anni dopo il mortorio, con uno dei suoi attacchi più teneri: Iersera
er papa morto c'è passato, / propi avanti al cantone de Pasquino....
Venti mesi soltanto (tra il 29 e il 30) resta sul trono il suo
successore che per distinguersi da lui s'affretta a chiamarsi Pio
VIII. In un sonetto del 1° aprile 29, all'indomani dell'elezione,
Belli ne dileggia la malferma salute: Ha un erpeto pe tutto, nun
tiè denti, / è guercio, je trascineno le gambe.... Gregorio
XVI, papa Cappellari, bellunese, regnante dal 31 al 46, è il papa
centrale nella vita e nella poesia del Belli, il personaggio
principale della sua umana commedia. A papa Grigorio il poeta dedica
ben 25 sonetti, tra i quali alcuni dei più riusciti. Reazionario
anche lui, ma forse proprio per questo gli piaceva. Gregorio è il
papa che nell'enciclica Mirari vos (1832) definisce tra
l'altro un vaneggiamento che ognuno debba avere libertà di
coscienza, a questo nefasto errore conduce quell'inutile libertà
d'opinione che imperversa ovunque...
Di Gregorio, il Belli
celebra a modo suo l'elezione. Il sonetto del 2 febbraio 31, appena
chiuso il conclave, attacca festoso: Senti, senti Castello come
spara. / Senti Montecitorio come sona. / E segno chè finita sta
cagnara, / er papa novo già sbenediziona. Stranamente invece,
Belli non ne racconta la morte che avviene il 1° giugno 46. In quel
periodo il poeta non scrive e i ricordi di Gregorio arrivano più
tardi, in autunno, in un sonetto nel quale Belli deride l'ultimo papa
della sua vita: Mastai Ferretti, Pio IX, intanto arrivato sul trono
di Pietro. Un papa giudicato prima liberale poi traditore, destinato
a patire la repubblica del 49 e la breccia di Porta Pia nel 70. E il
Pio IX di fama liberale del primo periodo che Belli racconta in un
sonetto del gennaio 47, con un attacco grandiosamente reazionario:
No, sor Pio, pe smorzà le turbolenze, / questo qui non è er modo
e la magnera. / Voi, padre santo, nun n'avete cera, / da fa er papa
sarvanno le apparenze. / La sapeva Grigorio l'arte vera / de risponne
da Papa a l'insolenze: / Vonno pane? Mannateje indurgenze; / vonno
posti? Impiegateli in galera.
Questa era Roma.
“la Repubblica”, 9
febbraio 1991
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