“Mi stupisce lo stupore”, spiega Marco Revelli riferendosi all’accoglienza ricevuta dalle dichiarazioni del ministro Di Maio a proposito dei gilet jaunes. “Mi sembra naturale che i 5Stelle cerchino di accreditare una fratellanza con i gilet gialli. Può restituire loro un po’ della freschezza perduta: in pochi mesi di governo hanno dilapidato buona parte della loro carica di protesta. In Francia emerge un movimento ambivalente e contraddittorio, che tuttavia esprime una rivolta sociale politica dal basso e per certi aspetti ricorda il radicalismo delle origini dei 5Stelle. Come può stupire l’interesse del capo politico dei grillini? È evidente che non può che fargli bene intercettare un po’ del vento di protesta”.
Un’unione
possibile? I leader dei gilet jaunes danno risposte contraddittorie.
Mi
pare che i grillini sottovalutino il fatto che i populismi di nuova
generazione sono attraversati da forme più o meno esplicite di
nazionalismi o radicamento nazionale che li rendono poco compatibili
con alleanze trasversali, se non con operazioni di assemblaggio di
mosaici molto traballanti. Si aggiunga che ai francesi l’Italia non
è simpatica. I gilet gialli non hanno interesse a imparentarsi con
una forza politica che perde progressivamente la spinta propulsiva
originale.
Andare al governo
fa sempre perdere l’innocenza, no?
Certo.
Ma che i 5Stelle la perdessero con tanta rapidità e lasciandosi
divorare dal socio di minoranza non era così scontato. Oggi, davanti
all’impoverimento della componente sociale della politica del
governo, si risponde accentuando la disumanità del programma
securitario e xenofobo: l’avevamo messo in conto ma non in questa
dimensione. La cifra del governo gialloverde è l’ostentazione del
disumano, più che la tutela dei diritti sociali.
È ragionevole
immaginare che in vista delle elezioni europee i 5Stelle cerchino
alleanze fuori dai confini nazionali. Di Maio ha detto di aver
incontrato i polacchi del Kukiz’15, i croati di Zivi zid e i
finlandesi di Liike Nyt.
Sì,
ma teniamo separate le due questioni. I gilet gialli sono a livello
europeo il fenomeno più interessante degli ultimi mesi, per tenuta
ed estensione. Sono la vera spina nel fianco di una tecnocrazia
europea incredibilmente sorda e cieca. È così stupido ridurre il
movimento alle sue ali estreme, black bloc
e casseur che ci sono,
ma non sono certamente la componente determinante. Il guaio è che
non si è ancora preso coscienza del fatto che nel secondo decennio
del nuovo secolo non esistono conflitti sociali puliti. Qualsiasi
conflitto sociale si apra è attraversato da ambivalenze, da
rivendicazioni che erano state tradizionalmente della sinistra
sociale e da altre forme di chiusura che appartengono alla destra.
Perché accade
questo?
Perché
si è scomposta la struttura di classe della società, le culture
politiche sono state dismesse e le ideologie non aggregano più. Io
continuo a considerare salutari i conflitti, quelli non cruenti
naturalmente, perché una società senza conflitti è morta, è una
palude senza vento. La democrazia si alimenta di conflitti sociali. E
oggi il conflitto è ambiguo: questo significa che chi è affezionato
alla democrazia non può né liquidarli né demonizzarli. Certo, sono
politicamente molto difficili da gestire perché non hanno una natura
costituente, ma destabilizzante nei confronti del potere. E il potere
francese, Macron, merita di essere esserlo.
C’è molta
differenza tra l’espressione del dissenso in Italia e Oltralpe. Si
dice che i francesi sanno fare le rivoluzioni e noi no, ma
contemporaneamente loro non molto tempo fa hanno votato un
Manchiurian candidate e qui invece hanno vinto le forze anti-sistema.
Il
voto a Macron ha due forti connotazioni: da una parte l’esprit
republicain che ha impedito a
molti di votare Marine Le Pen, e dall’altra parte il messaggio di
discontinuità con il passato lanciato da Macron che ha generato
un’illusione di cambiamento. Un sogno che per la maggior parte dei
francesi è svanito: sono rimasti a sostenerlo i ceti affluenti,
Macron è davvero les président des riches.
Un monarca con la puzza sotto al naso rispetto al suo popolo.
Cosa pensa
dell’Internazionale della democrazia diretta, evocata da Di Maio?
Mi
pare una boiata pazzesca, come direbbe Villaggio. La strategia
europea di Di Maio mi sembra difficilmente praticabile. Questi
movimenti di protesta dal basso non sono facilmente articolabili su
scala politica. Lasciando da parte i finlandesi di Liike Nyt, che
sono davvero altra cosa, i croati e i polacchi che Di Maio vorrebbe
riunire in un ipotetico eurogruppo sono, e qui scomodiamo invece
Cochi e Renato, tacchi dadi e datteri. I polacchi sono una formazione
conservatrice con un programma di estrema destra. I croati di Zivi
zid sono un gruppo che ha come programma politico la difesa degli
ultimi e come obiettivo impedire gli sfratti. Non si capisce cosa
c’entri con i polacchi o i finlandesi che sono un movimento
iperliberista. Mi pare un’accozzaglia di forze che hanno come
comune denominatore solo qualche riferimento movimentista.
Il
Fatto, 11 gennaio 2019
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