Con la discesa della sonda Chang'e-4 sulla parte nascosta della Luna, il programma spaziale della Cina segna un altro importante successo, le cui implicazioni vanno al di là dell'esplorazione del nostro satellite, ma coinvolgono le politiche spaziali internazionali e aprono la strada a nuovi scenari di collaborazione, in cui l'Italia ha già un ruolo di primo piano
Dalle 3:26 ora italiana
del 3 gennaio 2019, la sonda cinese Chang’e-4 è posata sul suolo
lunare. Ma, a differenza di tutte le precedenti missioni lunari, per
le quali il luogo di allunaggio aveva una linea diretta di
comunicazione con il nostro pianeta, per questa missione l’Agenzia
spaziale cinese ha scelto una sfida molto più grande: far arrivare
la sonda sulla faccia nascosta della Luna.
Il nostro satellite,
infatti, essendo molto vicino alla Terra, ha il periodo di
rivoluzione sincronizzato con il periodo di rotazione, per cui ci
mostra sempre la stessa faccia. Di conseguenza, ci è impossibile
osservare direttamente il cosiddetto far side, il lato lontano, che
per questo motivo è definito “faccia nascosta”.
Inoltre, il punto di
allunaggio di Chang’e-4 è fra i più interessanti di tutta la
superficie lunare: la parte meridionale del cratere da impatto Von
Kármán, di circa 180 chilometri di diametro, a sua volta compreso
all’interno del bacino Polo Sud-Aitken: nelle vicinanze del polo
sud lunare, appunto, cioè la regione dove precedenti missioni hanno
rivelato la presenza di ghiaccio d’acqua in superficie.
Un luogo, quindi, dove
qualcuno ha già ipotizzato la costruzione della prima base lunare,
data la prossimità con un potenziale serbatoio di acqua per
soddisfare i diversi bisogni degli abitanti della base.
Ma non solo. Il bacino
Polo Sud-Aitken – un’imponente struttura di quasi 2500 chilometri
di diametro e profonda 13 chilometri – è il cratere da impatto più
antico di tutta la superficie lunare e fra i più estesi di tutto il
sistema solare.
La missione prevede
quindi di esplorarlo anche con un piccolo rover, Yutu 2, rilasciato
dal lander proprio allo scopo di indagare il suolo del cratere e
tracciarne la storia. (Il primo Yutu - "coniglio di giada"
in cinese - si trova sull'altro lato della Luna dal dicembre 2013,
con la missione Chang'e-3.)
A dare rilievo allo
sbarco cinese c'è anche l'aspetto tecnologico. Per abilitare le
comunicazioni con la Terra, infatti, la missione, nel suo complesso,
doveva prevedere anche l’immissione in orbita lunare di un
satellite capace di svolgere la funzione di ponte radio fra il lander
nascosto alla vista e i ricevitori terrestri.
Il satellite Queqiao (in
cinese, letteralmente "ponte di gazze") è infatti già in
orbita da alcuni mesi, e può anche essere interpretato come il primo
passo verso una possibile rete di satelliti per telecomunicazioni
lunari, proprio come quelle che avvolgono lo spazio attorno al nostro
pianeta. Intanto ha già dato prova di funzionare alla perfezione,
inviando a Terra le prime immagini della faccia nascosta che il
lander ha ripreso poco dopo l’allunaggio.
Ma l'aspetto forse più
interessante del successo di Chang'e-4 riguarda le politiche spaziali
e i rapporti internazionali nel loro complesso.
Nello stesso anno in cui
gli Stati Uniti si avviano a celebrare in pompa magna il
cinquantesimo anniversario della missione Apollo 11, quella che portò
i primi uomini a calpestare il suolo lunare, la Cina lancia infatti
una nuova importante sfida a tutti i paesi impegnati nella conquista
dello spazio e, in particolare, della Luna: la cui “riconquista”
umana è vista da tutti come il prossimo passo, da farsi prima di
qualunque altra conquista spaziale, il cui obiettivo principale è
naturalmente il pianeta Marte.
Terminata la “corsa
allo spazio” della Guerra Fredda, che, a partire dal 1° ottobre
1957, con il lancio del primo satellite sovietico Sputnik 1, vide
impegnati gli Stati Uniti in una sfida a distanza con l’Unione
Sovietica per dimostrare la propria superiorità scientifica e
tecnologica e quindi l’eventuale superiorità del proprio modello
di sviluppo, lo spazio non è più da tempo appannaggio di due
nazioni.
L’Europa, il Giappone,
l’India e molti altri paesi hanno politiche spaziali. Ma gli Stati
Uniti sanno che lo sfidante più temibile è sicuramente la Cina, il
terzo paese in assoluto ad aver mandato nello spazio degli astronauti
(“taikonauti”, per distinguerli dagli astronauti occidentali e
dai cosmonauti russi) con tecnologie proprie, ad aver fatto
atterraggi morbidi sulla Luna con sonde robotizzate, ad aver messo in
orbita delle stazioni spaziali, e, infine, il primo ad aver posato
con successo una sonda sulla faccia nascosta della Luna.
Grazie a queste sue
capacità ha già attratto collaborazioni con diversi altri paesi per
portare avanti le proprie politiche spaziali. Non è un caso, per
esempio, che a bordo della missione Chang’e-4 ci siano strumenti ed
esperimenti frutto di collaborazioni con ricercatori olandesi,
tedeschi, svedesi, sauditi.
Anche l’Italia ha
attive importanti collaborazioni con la Cina in ambito spaziale. A
febbraio scorso, per esempio, è stato lanciato il satellite CSES
(China Seismo-Electromagnetic Satellite), noto in Cina con il nome di
Zhangheng 1, per il monitoraggio dei terremoti dallo spazio, che a
bordo monta uno strumento realizzato da ricercatori italiani. Ma la
collaborazione Italia-Cina potrebbe in futuro portare anche nostri
astronauti sulla stazione spaziale cinese attualmente in preparazione
(Samantha Cristoforetti ha già trascorso periodi di addestramento
con i colleghi cinesi).
La firma dell'accordo tra
l'Agenzia spaziale italiana (ASI) e la China Manned Space Agency
(CMSA) per nuove sperimentazioni scientifiche a bordo della Stazione
spaziale cinese nell’ambito del volo umano. L’intesa è stata
firmata a Pechino nel 2017 dal Presidente dell’ASI, Roberto
Battiston, e dal Direttore Generale di CMSA, Wang Zhaoyao, in
occasione della visita di stato del Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella. (CCTV/ASI)
Questa è una tipica
dimostrazione di quello che viene definito soft power, ovvero la
capacità di un Paese di dimostrare in maniera assertiva e non
aggressiva la propria forza economica e politica e di attrarre quindi
l’interesse di altre nazioni, accrescendo la propria reputazione,
in contrapposizione all’uso dell’hard power, cioè la forza
militare o l’impiego, a livello diplomatico, di minacce o sanzioni.
Tutti gli analisti sanno
che la riconquista umana della Luna, e ancora di più, la conquista
di Marte, saranno frutto di un’opera congiunta di più nazioni, e
non più dell’impegno tecnologico di una sola. Anche negli Stati
Uniti c'è questa consapevolezza. Tuttavia, nel 2011, basando la
decisione su motivi di sicurezza nazionale, il Congresso legiferò in
modo da impedire alla NASA di attivare accordi bilaterali con la Cina
e questo naturalmente impedisce l’avvio di qualunque tipo di
collaborazione fra Stati Uniti e Cina nell'ambito dell’esplorazione
spaziale.
Ma alcuni analisti
commentano che, nonostante i rapporti fra Stati Uniti e Russia non
siano idilliaci, fra i due paesi è attiva ormai da anni una proficua
collaborazione per le missioni spaziali civili. Basti pensare che,
terminata nel 2011 l’epoca dello space shuttle, al momento l’unico
veicolo capace di portare nuovi equipaggi sulla Stazione spaziale
internazionale è la navicella russa Sojuz.
Lo stesso, pensa
qualcuno, in fondo potrebbe accadere anche con la Cina, e la speranza
di molti è che gli impedimenti legislativi vengano meno – anche
se, in epoca Trump, sembra piuttosto difficile – o che si possano
aggirare, ovviamente in maniera legale.
D’altra parte, l’atto
del Congresso non vieta nettamente la stipula di collaborazioni fra
la NASA e l’Agenzia nazionale cinese per lo spazio (CNSA), ma ne
subordina l’attivazione all’approvazione del Congresso stesso.
Ecco perché alla NASA già qualcuno auspica che questa
collaborazione possa già partire dalla prossima missione robotizzata
cinese diretta verso la Luna, la Chang’e-5, programmata per il
lancio alla fine del 2019, che ha come obiettivo principale il
prelievo di un campione di materiale lunare e il suo trasporto verso
la Terra.
Un’occasione carica di
significato – per la NASA e le altre agenzie spaziali – se si
pensa che l’ultima volta che è stato riportato a terra materiale
lunare risale alla missione sovietica Luna 24, del 1976.
dal sito di “Le Scienze
– Edizione italiana di Scientific American”, 4 gennaio 2019
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