Il breve saggio è del 2000. Non mi
pare che la diffusione capillare di nuove forme di comunicazione lo
abbia invecchiato, forse lo ha reso addirittura più attuale. (S.L.L.)
1. La fotografia è, innanzitutto, un
modo di vedere. Non l'atto di farlo.
2. È il modo ineluttabilmente
«moderno» di vedere, che privilegia progetti di scoperta e di
innovazione.
3. Tale modo di vedere, che ha ormai
una lunga storia, incide profondamente su ciò che siamo abituati a
notare e a a cercare nelle fotografie.
4. Il modo di vedere moderno consiste
nel vedere per frammenti. Abbiamo l'impressione che la realtà sia
sostanzialmente illimitata, e la possibilità di conoscenza infinita.
Ne consegue che tutte le limitazioni, tutti i principi unificatori
debbano essere ingannevoli, demagogici; nel migliore dei casi
provvisori e, a lungo andare, quasi sempre falsi. Vedere la realtà
alla luce di determinati principi unificatori ha l'innegabile
vantaggio di dare forma alla nostra esperienza. Ma al stesso tempo -
così ci insegna il modo di vedere moderno - nega l'infinita varietà
e la complessità del reale. E di conseguenza reprime la nostra
energia, e il nostro diritto a ricostruire ciò che desideriamo
ricostruire: la nostra società, le nostre identità. Liberatorio, ci
viene detto, è osservare quanto più è possibile.
5. In una società moderna, le immagini
prodotte dalle macchine fotografiche forniscono la principale via
d'accesso a realtà di cui non abbiamo esperienza diretta. Si
presuppone che ognuno di noi riceva e registri un numero illimitato
di immagini di ciò che non vive in prima persona. L'apparecchio
fotografico definisce per noi quel che accettiamo di considerare
«reale» e sposta continuamente in avanti il confine del reale. Si
ammirano in particolare quei fotografi che rivelano verità nascoste
su se stessi o su quei conflitti sociali poco seguiti dai mezzi
d'informazione che hanno luogo in società vicine o lontane da dove
vive chi li osserva.
6. Nel modo moderno di conoscere,
devono esserci immagini perché qualcosa diventi «reale». Le
fotografie identificano gli eventi. Conferiscono importanza a un
evento e lo rendono memorabile. Perché possa divenire oggetto di un
largo interesse, una guerra, un'atrocità, un'epidemia, o una
cosiddetta calamità naturale deve arrivare alla gente attraverso i
vari sistemi (dalla televisione a internet ai giornali e alle
riviste) che diffondono immagini fotografiche tra milioni di persone.
7. Nel modo moderno di vedere, la
realtà è innanzitutto apparenza, e in continuo mutamento. Le
fotografie registrano l'apparenza. La registrazione fotografica è
registrazione del mutamento, della distruzione del passato. Essendo
moderni (e se abbiamo l'abitudine di guardare fotografie siamo, per
definizione, moderni), capiamo che ogni identità è una costruzione.
L'unica realtà irrefutabile - e il migliore indizio per comprendere
un'identità - è il modo in cui appariamo.
8. Una fotografia è un frammento, un
barlume. Accumuliamo barlumi, frammenti. Ciascuno di noi immagazzina
nella propria mente centinaia di immagini fotografiche che può
ricordare all'istante. Tutte le fotografie aspirano a diventare
memorabili, vale a dire, indimenticabili.
9. Nell'ottica della modernità, il
numero dei dettagli è infinito. Le fotografie sono dettagli.
Pertanto, assomigliano alla vita. Essere moderni significa vivere
affascinati dalla indomita autonomia del dettaglio.
10. Conoscere significa, innanzitutto,
riconoscere. Il riconoscimento è la forma di conoscenza che oggi
viene identificata con l'arte. Le fotografie delle terribili crudeltà
e ingiustizie che affliggono la maggior parte della popolazione
mondiale sembrano dire - a noi che siamo privilegiati e relativamente
al sicuro - che dovremmo indignarci e desiderare che si faccia
qualcosa per mettere fine a tali orrori. Ma ci sono anche fotografie
che sembrano reclamare un'attenzione di tipo diverso. Nel caso di
questo corpus di opere che continua ad arricchirsi, la fotografia non
è una forma di invito alla mobilitazione sociale o morale, il cui
fine è quello di indurci a partecipare e ad agire, ma è
un'avventura dello sguardo. Osserviamo, prendiamo nota, riconosciamo.
È un modo più distaccato di guardare. E il modo di guardare a cui
diamo il nome di arte.
11. L'opera di alcuni dei migliori
fotografi socialmente impegnati viene spesso criticata se appare
troppo simile all'arte. E la fotografia considerata come arte può
attirare critiche analoghe: ottunde la nostra capacità di
partecipazione. Mostrandoci eventi, situazioni e conflitti che
potremmo deplorare, ci chiede di mantenere un certo distacco. Può
mostrarci qualcosa di davvero orripilante, ma solo per metterci alla
prova e stabilire cosa riusciamo a guardare, cosa dobbiamo accettare.
O, più semplicemente, ci invita - e ciò vale per gran parte della
più ammirata fotografia contemporanea - a contemplare la banalità.
A contemplarla e ad apprezzarla, facendo ricorso a quell'abitudine
all'ironia ormai così sviluppata e consolidata dalle surrealistiche
giustapposizioni di fotografie che caratterizzano le mostre e i libri
più sofisticati.
12. La fotografia - forma suprema di
viaggio, di turismo - è il principale mezzo moderno per ampliare il
mondo. In quanto forma d'arte, la fotografia tende ad ampliare il
mondo specializzandosi in soggetti ritenuti provocatori,
trasgressivi. La fotografia può dirci: esiste anche questo. E
quello. E quell'altro. (E tutto è «umano».) Ma che fare di ciò
che in tal modo conosciamo, se davvero si tratta di conoscenza,
dell'identità, dell'anormalità, di mondi ostracizzati o
clandestini?
13. Chiamatela conoscenza, chiamatelo
riconoscimento - di una cosa possiamo stare certi rispetto a questo
modo così moderno di fare qualsiasi esperienza: il vedere, e
l'accumulazione dei frammenti di ciò che vediamo, non potrà mai
avere fine.
14. Non esiste una fotografia
definitiva.
In Nello stesso tempo, Mondadori, 2008
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