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Episcopalizzazione. Solo 62 i laici in Vaticano, senza ius soli e senza ius sanguinis (Gian Guido Vecchi)

Giovanni Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano

Una volta qui nascevano anche i bambini», ti raccontano con un velo di malinconia, appena varcata Porta Sant’Anna. Come in una delle città invisibili di Italo Calvino, diversa è la realtà e il discorso che la descrive. Film e opere letterarie hanno fatto del Vaticano un luogo mitico. E del resto, dalla Sistina alla Loggia di Raffaello, la bellezza di un patrimonio artistico senza eguali mostra che secoli di Storia, quella con la maiuscola, sono passati da qui. Ma c’è un mondo piccolo, quotidiano, che pochi conoscono. Un mondo che sta cambiando e in parte sparendo, peraltro. «Negli Anni Settanta la parrocchia aveva due squadre di calcio, pullulava di ragazzi e ragazze, c’era il biliardino...». Padre Bruno Silvestrini, agostiniano, è il «parroco» del Vaticano dal 2006. Battesimi, cresime, matrimoni, la chiesa al confine con l’Italia è assai richiesta, a Sant’Anna arrivano da tutto il mondo. Al pomeriggio si vedono alcuni dipendenti vaticani recitare i Vespri prima di rientrare a casa. Però di parrocchiani propriamente detti, cittadini vaticani laici, ce n’è sempre meno. Gli svizzeri e le loro famiglie, più che altro, ma quello è un mondo a parte, tra la caserma e gli appartamenti degli ufficiali.
Per il resto, i cittadini laici sono sempre più rari. Ruoli di primo piano come il comandante della Gendarmeria, Domenico Giani, o il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian. Qualche responsabile di servizi meno visibili ma necessari. Gli ultimi dati, forniti al Corriere e aggiornati ad aprile, registrano 605 cittadini, di cui 439 abitanti nello Stato, e 199 residenti. Tra i cittadini si contano solo 26 laici (a parte i 105 militari) e 36 laiche, 62 in tutto compresi mogli, figlie e figli delle guardie svizzere. A loro si aggiungono 6 uomini e 16 donne residenti ma non cittadini. Non che i numeri siano mai stati consistenti, ma la riduzione è evidente e progressiva. Ottant’anni fa, nel censimento del 31 dicembre 1936, c’erano 746 cittadini e tra questi 94 sacerdoti, 37 religiosi e 615 laici con 324 coniugati tra uomini e donne.
Per orientarsi, bisogna considerare che siamo nello Stato più piccolo, e strano, del mondo. La Città del Vaticano è una monarchia assoluta ed elettiva. Il Papa ne è il sovrano e riunisce in sé tutti i poteri, ovvero «ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario». Il che si riflette sull’ordinamento dello Stato nato con il Trattato Lateranense del 1929. Di dimensioni poco più che simboliche, 44 ettari, lo Stato ha tuttavia lo scopo essenziale di «assicurare l’indipendenza reale e visibile» del Papa e quindi «garantire la libertà della Sede Apostolica».
Chiaro che la legge sulla cittadinanza non somigli a nessun’altra sul pianeta. Cittadini e residenti sono provvisori. La cittadinanza è data (o tolta) dal Papa o dai suoi delegati, punto. Non c’è «ius soli» né «ius sanguinis»: si è cittadini «durante munere», in via provvisoria e finché dura il proprio ruolo nello Stato a servizio della Santa Sede, e non perché nati nel territorio; anche i figli di chi ha la cittadinanza, di norma, restano cittadini finché lo sono i genitori e non oltre il diciottesimo anno. In base all’ultima legge CXXXI del 22 febbraio 2011, oltre al Papa (più il Papa emerito, dal 2013) sono cittadini vaticani i cardinali residenti, i diplomatici della Santa Sede o coloro che risiedono nello Stato «in ragione della carica o del servizio».
L’esodo dei laici dura dagli anni Settanta, spiega il parroco di Sant’Anna. «Si fece la scelta di mandarli in appartamenti della Santa Sede fuori dal Vaticano, la maggior parte delle famiglie traslocò e i pochi che sono rimasti hanno ormai i figli grandi, man mano se ne vanno...». Chi è rimasto vive in una dimensione particolare, ogni servizio a portata di mano. La casa, l’assistenza sanitaria, il pronto soccorso. I leggendari bancomat in latino, «inserto scidulam quaeso ut faciundam cognoscas rationem», ovvero «inserisci per favore la scheda per accedere alle operazioni consentite». E poi la farmacia, il supermercato, un negozio di oggettistica, abbigliamento e tabacchi, tutti felicemente alieni da tassazione come l’ambitissima pompa di benzina. Per fare la spesa bisogna avere l’«annonaria», riservata ad abitanti e dipendenti più amici e parenti: il disincanto dei romani l’ha soprannominata «la tessera dello zio prete». In compenso i cancelli chiudono all’una e un quarto di notte e riaprono alle 6 meno un quarto. E se uno va a teatro, a cena fuori, per i fatti suoi? «Suona il campanello e uno svizzero gli apre», si spiega. «Però prendono il nome».
Certo l’andamento demografico si accompagna a una tendenza alla «clericalizzazione» dello Stato anche nel governo e nelle posizioni di responsabilità. Dal 1929 alla morte, nel ‘52, fu Governatore dello Stato un laico, il marchese Camillo Serafini. Alla fine del secolo un altro marchese, Giulio Sacchetti, è stato «delegato speciale» al vertice del Governatorato. Oggi non c’è più nulla di simile.
Giovanni Maria Vian ricorda ancora «quando da bambini, negli anni Cinquanta, si giocava con i miei fratelli nei Giardini». Altri tempi. «Lo Stato fu costituito con metodo e personale laico ma progressivamente, a partire da Giovanni Paolo II, si è in effetti clericalizzato. Può darsi che alcuni laici non fossero all’altezza, ma è vero che per molti compiti non ci sarebbe bisogno di preti. C’è anche una tendenza alla “episcopalizzazione”, come se per certi ruoli si dovesse per forza diventare vescovi». Un paradosso, dopo il Concilio. E pensare che Papa Francesco, l’anno scorso, evocava il «Santo Popolo di Dio» contro i guasti del «clericalismo», fino ad esclamare: «Ricordo la famosa frase, “è l’ora dei laici”, ma sembra che l’orologio si sia fermato».

Corriere della Sera, 4 giugno 2017

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