Corte dei medici è
una pizzeria-ristorante catanese ove i curatori di “Sorprendente
Sicilianità”, Marco Celeschi, architetto, Melita Leonardi,
docente di letteratura, sono soliti incontrare le personalità
siciliane che intervistano, ed è per questa ragione anche il titolo
di una rubrica del sito. (S.L.L.)
Lucia Sardo, una delle
più apprezzate attrici di teatro e di cinema in Italia, una vera e
propria onewoman show, capace di animare un palcoscenico da
sola, per ore, grazie all’incantesimo che solo un talento
straordinario può creare, è venuta a trovarci alla Corte dei medici
e ha risposto, con la verve che la contraddistingue, alle nostre
domande.
Quando inizia il
tuo sogno di fare l’attrice?
Che fossi un’artista,
l’ho sempre saputo. Fin da bambina, danzavo e ballavo. Devo dire
anche che a casa mia, in tutti i familiari, c’era una vena
artistica. Facevo delle scenette e, un anno, mi ricordo che mia
sorella maggiore andò a Roma e mi portò in regalo delle scarpette
da ballo. Ogni giorno, mi mettevo sulle punte e cercavo di imitare
quello che vedevo in televisione. Quando
sono cresciuta, avrei voluto frequentare il Liceo artistico, ma i
miei genitori erano assolutamente contrari. Fui iscritta al Liceo
scientifico a Lentini.
Una tortura,
insomma. E come è andata questa vicenda?
Nel modo più ovvio: fui
bocciata. La mia famiglia preferì allora l’Istituto Magistrale a
Palagonia. Non ho un ricordo bello di quegli anni. Ho attraversato un
periodo di ribellione. Oltretutto, mia madre stava male.
Ma, alla fine,
anche gli anni della scuola si chiudono...
Sì. Fu una liberazione!
Sono riuscita a realizzare quello che desideravo di più: andare via
dal paese. Era una realtà troppo ristretta e mi sentivo prigioniera.
La meta qual era?
Roma?
No. Decisi di frequentare
il Magistero all’Università Cattolica a Milano. Mio fratello,
molto più grande di me, già viveva in un paese lì vicino.
Oltretutto, erano anni in cui trovare un lavoro era abbastanza
facile. Nell’Istituto dove insegnava mio fratello cercavano
personale per il doposcuola e ho dato la mia disponibilità; ma,
fatto ancora più casuale, si ammalò la segretaria della scuola e il
preside mi offrì di sostituirla. Quel lavoro, che sarebbe dovuto
durare qualche mese, divenne definitivo. Lascio l’Università e
comincio, visto che guadagnavo bene, a pensare di riprendere la mia
vena artistica. A quel tempo avrei voluto dipingere. Avevo anche
progettato di iscrivermi all’Accademia, ma il lavoro mi stancava
parecchio e vivevo con il mio compagno dell’epoca. Non ero,
tuttavia, felice. Avevo attacchi di panico. A quel tempo non esisteva
un nome per definire questa patologia. Pensavo di star impazzendo. E
poi mi ammalai seriamente. Finii in ospedale.
Potremmo dire che
stavi somatizzando quel malessere?
Lo possiamo dire, eccome!
Ma la mia fortuna e la mia guarigione arrivarono per caso. Un’amica
mi chiese di accompagnarla alla presentazione di un corso di teatro.
Lei, dopo un poco, andò via. Io rimasi.
Devi ringraziare
questa amica. Ma l’amore per il teatro è stato subito così forte
da farti superare ogni paura?
Devo dire di sì. Grazie
al corso ho conosciuto il Teatro di ventura, la mia futura compagnia,
e Silvio Castiglioni, che la dirigeva, che è stato il mio maestro.
Subito mi ha proposto di lavorare con lui ad un’opera di Molière,
Il medico per forza, nel quale avrei interpretato la balia.
Ma come avresti
fatto con il lavoro, il tuo fidanzato, la casa?
Ho lasciato casa, lavoro
e fidanzato e, devo dire, che mi sono ritrovata, in un batter
d’occhio, in Emilia Romagna a vivere l’avventura più bella che
possa accadere ad un essere umano. Con i membri del Teatro di ventura
abbiamo fondato l’Istituto di Cultura Teatrale che aveva lo scopo
di raccogliere e sviluppare, nel corso di tutto l’anno, gli stimoli
del festival estivo e di favorire la preparazione del festival
seguente grazie al lavoro di un gruppo di teatro stabile. Sono stata
con loro per sei anni. Grazie al Festival di Sant’Arcangelo di
Romagna, ho potuto conoscere i più grandi maestri del teatro
contemporaneo: Jerzy Grotowski, Eugenio Barba, Ryszard Cieslak,
Katsuko Azuma, Sanjukta Panigrhai, Peter Brook. Ho incontrato anche
Ferruccio Merisi, uno dei direttori del Festival, che ancora oggi è
uno dei miei più cari amici.
Come si diventa
attore?
Il mio è stato un
addestramento militare. Un lavoro sul corpo incredibile. Macinavo
chilometri di corsa nei boschi. Ma per il tipo di proposta che
volevamo realizzare era l’unica strada.
Anni esaltanti,
bellissimi, ma, a quanto capisco, non sei rimasta con loro.
No. Ad un certo punto, ho
sentito che era un’esperienza conclusa e ho cercato altro. Sono
partita per la Francia grazie a dei contatti che avevo. Arrivo a
Digione e inizio a costruire uno spettacolo, Storia di Matilde,
che si è rivelato un grande successo e con il quale ho girato tutta
l’Europa. Interpretavo sei personaggi in scena che descrivevano
Matilde e, infine, arrivava la protagonista.
Francia, Europa in
giro per anni e quando torni in Italia?
Sai, nella mia vita ci
sono volontà e caso. Probabilmente desideravo tornare in Italia, ma
l’occasione si materializzò, un giorno, a Roma: dopo lo
spettacolo, mi avvicina un signore, Bruno Grieco, il responsabile
culturale per il teatro del Partito comunista, che mi propone di
portare il mio spettacolo alla Feste dell’Unità e inizio un’altra
fase della mia vita artistica.
Siamo arrivati ai
primi anni Novanta, la Sicilia sembra lontanissima dalla tua vita,
dal tuo lavoro. Pensavi mai di tornare a vivere qui?
Ma, aspetta, abbiamo
parlato ancora dei primi anni – Lucia ride in quel modo così
caratteristico – ora ci arriviamo. Nei primi anni Novanta, conosco
il mio futuro marito, Marcello. Abbiamo iniziato a lavorare insieme
come attori e poi lui ha scelto di dedicarsi alla regia.
Ma com’è che vi
siete conosciuti?
Ehi, ma sei curiosa! Vuoi
proprio sapere tutto! Allora ci ha presentati il grande Mimmo
Cuticchio, il puparo palermitano con cui mio marito, allora,
lavorava. Comunque, innamorata, sposata, abbiamo deciso di avere un
bimbo. A quel punto, il desiderio di tornare e di far vivere mio
figlio in Sicilia anche con la mia famiglia è diventato un’idea
concreta.
Mi trasferisco di nuovo
e, colpo di scena, il cinema entra nella mia vita. Aurelio Grimaldi
cercava un’attrice per il film La discesa di Aclà a
Floristella. Aurelio, all’epoca, era giovanissimo e io lo avevo
scambiato per un membro della produzione. Gli chiesi pure di aiutarmi
a ripassare la parte. Da lì è iniziata una lunga collaborazione con
altri film.
Con un red carpet a
Cannes, mi sembra
Ero l’unica attrice con
in mano un sacchetto, avevo messo le scarpe di ricambio, non si sa
mai (Lucia mi lancia un’occhiata buffissima), ma un’amica se n’è
accorta e me l’ha sequestrato. Direi che ha fatto bene
(l’intervista si interrompe per le risate).
Ma posso aggiungere
che il bello deve ancora venire?
Lo puoi dire sicuramente
perché vengo a sapere che Marco Tullio Giordana organizza un provino
per I cento passi, nel frattempo avevo anche l’impegno con
Giuseppe Tornatore (Malena ndr) e dovevo girare un episodio
della serie Montalbano. Un delirio!
Ma hai scelto
Felicia Impastato e sei diventata un simbolo in tutto il mondo.
Sì, è stato un incontro
veramente unico che ha condizionato la mia carriera successiva ma che
non rimpiango. Non lo posso rimpiangere. A parte lo straordinario
successo,il film è stato proiettato anche in tutte le Università
americane e ho ricevuto i complimenti di Hillary Clinton.
In che senso la tua
carriera è stata condizionata?
Beh, mi proponevano
sempre film e personaggi dello stesso tipo. Ma non mi interessa fare
lo stesso film a vita. Subito dopo ho optato, infatti, per il primo
film di Franco Battiato, Perduto Amor, che mi ha permesso di
conoscere un uomo straordinario e un caro amico. Dopo ho girato anche
una commedia di Carlo Verdone, Che
colpa abbiamo noi!
Ma il tuo legame
con Felicia Impastato è continuato con grande interesse e successo.
Sì, è vero. Ho voluto
narrare il dopo della storia di Felicia. Ho scritto La madre dei
ragazzi per raccontare la sua attività di testimone contro la
mafia e la sua battaglia per dare giustizia alla figura di suo
figlio.
Lucia Sardo, oggi,
cosa ti e ci aspetta (ci dobbiamo fermare perché i clienti del
tavolo accanto al nostro, dopo aver tentato in tutti i modi di
captare la nostra conversazione, si lanciano in una serie di
complimenti indirizzati a Lucia)?
Avrò una lunga serie di
impegni: un film, Picciridda, tratto dal libro di Catena
Fiorello. Uno spettacolo, Rondine, allo Stabile di Catania. Un
altro, Chi vive giace, chi muore si dà pace, di Roberto
Alajmo allo Stabile di Palermo e una ripresa, a Milano, del mio caro
La madre dei ragazzi.
Un’energia
veramente invidiabile, ma come fai?
Ti rispondo che non lo so
ma anche che lo so: recitare mi fa sentire bene!
Su queste parole si
chiude la nostra intervista a Lucia Sardo che ringraziamo per la sua
gentilezza e disponibilità.
Dal sito “Sorprendente
Sicilianità”, 9 Dicembre 2018
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