Arturo Michelini e Giorgio Almirante |
A Perugia, nella sala
della Domus Pauperum di via Garibaldi, rinnovata ed accogliente, ma
con audio pessimo, si è svolta il 5 dicembre scorso la “giornata
di studi” sui Neri in una provincia “rossa” (sottotitolo
Destre e neofascismo a Perugia dal dopoguerra agli anni Settanta)
che l'Istituto per la Storia dell'Umbria Contemporanea ha organizzato
con il patrocinio dell'Università di Perugia e del Comune. Nel
dépliant di presentazione si poteva leggere un tortuoso ragionamento
che vale la pena di riportare per intero: “La fine della
contrapposizione ideologica comunismo/anticomunismo, facendo venir
meno la conventio ad excludendum ai danni delle ali estreme
dello schieramento politico, ha consentito da tempo l’ingresso sia
degli eredi della tradizione comunista sia di quella neofascista
nell’area di governo a livello nazionale e locale. Tale evoluzione
ha avuto riflessi positivi sulla storiografia che ha cominciato a
indagare il fenomeno delle destre in Italia fuori da una logica
improntata alla semplificazione e/o alla demonizzazione. In un quadro
che vede un generale progresso delle conoscenze relative al fenomeno
delle destre, il tema del neofascismo in Umbria è stato poco
studiato, sommerso dalla retorica della 'regione rossa', la stessa
che ha condotto anche a una rimozione dell’esperienza del ventennio
fascista”.
Al di là del linguaggio
allusivo e un po' criptico, quel che il testo proclama e festosamente
saluta è la fine dell'antifascismo. Anche in Umbria. Il racconto che
in filigrana vi si legge riporta alla memoria gli approcci degli anni
90 e – in particolare – il discorso di insediamento come
presidente della Camera dei Deputati di Luciano Violante (1996). L'ex
magistrato, divenuto esponente di punta dei Ds, chiedeva “uno
sforzo di comprensione”, una riflessione sui ragazzi e le ragazze
di Salò, con lo scopo dichiarato di allargare i “confini di un
sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e
fondamentale fatto di vivere in questo Paese”. Ma in Umbria,
secondo gli organizzatori del convegno di via Garibaldi, gli appelli
allo sdoganamento, anche storiografico, del neofascismo erano caduti
nel vuoto ed erano piuttosto continuate le discriminazioni, le
demonizzazioni e le rimozioni.
Nel convegno non sono
mancate comunicazioni utili, come quella di Alessandro Sorrentino
sulle pagine locali dei quotidiani (si proclamavano indipendenti, ma
non mancavano – nel caso del “Tempo” di Roma sistematicamente
– di fiancheggiare le attività del MSI e, in particolare, della
destra studentesca); è il tono – in ogni caso – a far la musica
e il tono lo hanno dato le due relazioni iniziali, diverse ma
complementari nei contenuti e convergenti nella finalità: la
riabilitazione del fascismo, del neofascismo e del postfascismo.
Il primo dei relatori,
Giuseppe Parlato, insegna in una Università di Studi Internazionali
di Roma, di indirizzo cattolico conservatore, che fino a qualche anno
fa si chiamava “San Pio V” e di cui si parlò a proposito di
lauree facili. Si è specializzato nella storia del neofascismo, con
libri sulla “fiamma tricolore” e la cura di una mostra sul MSI,
organizzata dall'omonima fondazione. Nella relazione ha raccontato di
un Michelini, segretario della fiamma tricolore, deciso ad inserire
il suo partito nel sistema politico dell'Italia repubblicana,
severissimo contro i dissidenti interni e di un Almirante, più
antisistema e – proprio per questo – paradossalmente più
inclusivo, capace nello stesso tempo di favorire il rientro del “radicale” Rauti, fondatore di “Ordine nuovo”,
e l'apertura della Destra nazionale con monarchici, liberali
conservatori e clericali. Ha parlato, attraverso i casi di Trieste,
Genova e Reggio Calabria di un Msi plurale e sottolineato
l'importanza di convegni come questo di Perugia (il primo in Italia,
a suo dire) tesi a ricostruire la vicenda dei “neri” nei
territori. Ha soprattutto lamentato la carenza di documenti, citando
una frase di Mussolini diretta allo storico Gioacchino Volpe (“i
fascisti la storia non la scrivono, la fanno”), ma ancor più
raccontando vittimisticamente di una comunità assediata, con il
terrore della messa fuorilegge e in cui si evitava, per scelta di
vigilanza, di documentare.
La seconda relazione
portava le firme di Alessandro Campi, il biografo di Mussolini che a
Perugia è stato presenza influente come docente universitario,
editorialista e direttore della Fondazione Cassa di risparmio, e
del suo allievo Marco Damiani, che ha soprattutto analizzato i flussi
elettorali. La tesi è che nel capoluogo umbro (e non solo lì) la
continuità del fascismo come blocco moderato, caratterizzato
dall'anticomunismo, non è da individuarsi nel solo Movimento Sociale
ma in un arco di forze variegato che opera in partiti diversi, ma nel
cui elettorato c'è una certa osmosi. Questo spiega, per esempio, il
rafforzamento del MSI a scapito della DC come risposta alla riforme
agrarie degli anni 50 e 60 o anche il grande peso a Perugia di
Alleanza Nazionale all'interno della prima coalizione berlusconiana,
il Polo della Libertà. La relazione di Campi e Damiani, ha trovato completamento nella comunicazione di Leonardo Varasano,
ricercatore storico e presidente forzitaliota del Consiglio Comunale
di Perugia, che ha raccontato le scelte di alcuni notabili fascisti
perugini nel postfascismo: chi nel Movimento sociale, chi nel Pli,
chi nella Dc, chi negli apparati dello Stato, ma tutti a modo loro
coerenti con un passato mai rinnegato.
In
questa storia si affacciano qua e là le relazioni della destra nera
o nereggiante con i ceti proprietari, coi corpi separati dello stato
- con gli ambienti più retrivi della magistratura, con le gerarchie
militari, con i servizi segreti, con la burocrazia, per esempio –
ma sono come annacquati, anzi annegati in questa sorta di
“normalizzazione del fascismo e del postfascismo”, in cui
scompare anche l'uso spregiudicato dei fascisti in funzione della
conservazione dell'ordine interno ed internazionale: nomi come De
Lorenzo, Miceli, Birindelli, per esempio, sono tabù. Così il
fascismo, da San Sepolcro ad oggi, è tutt'altro che il “male
assoluto”, e i suoi figuri sono figure da cui si può persino
imparare: Varasano non si è vergognato di esibire una qualche
commozione nell'aver ereditato la scrivania che era stata di un
Uccelli, podestà di Perugia.
Insomma
questa più che una giornata di studio è parsa un'operazione
politica ed è stupefacente che, per calcolo o per distrazione,
all'ISUC l'abbiano avallato, soprattutto in tempi in cui la
rivalutazione storica del fascismo contribuisce a intorbidare un
clima politico nazionale e internazionale caratterizzato da razzismi
e venti di guerra.
micropolis, dicembre 2018
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