Il medievista inglese
Chris Wickham ha indagato soprattutto vicende italiane, anche se,
soprattutto nell'ultimo decennio, ha prodotto anche importanti opere
di sintesi. Mi è parsa interessante questa breve intervista sul suo
lavoro. (S.L.L.)
Il medievista Chris Wickham, docente a Oxford (1950) |
Nei
suoi libri di sintesi degli ultimi anni, a partire da Framing the
Early Middle Ages, ha incluso organicamente nell’orizzonte
comparativo l’Oriente, da Bisanzio ai domini musulmani, arrivando
ora fino alla Russia. In che modo questo ampliamento di prospettiva
ha cambiato la sua visione della storia europea? Quali elementi ha
privilegiato, quali altri ha messo in secondo piano nella costruzione
del quadro?
In un certo senso, non è
cambiato molto: dagli anni ottanta ho sempre scritto articoli
comparativi, sull’impero romano, sull’Islanda, sulla Cina, oppure
sul califfato. Infatti ho sempre voluto mantenere due registri nella
mia ricerca: uno, molto analitico, a volte troppo, sulla storia
italiana nelle sue varianti multiformi di storia locale e regionale;
e uno sui problemi generali, a volte molto generali, della storia
medievale.
Usando il secondo
registro, non mi è mai sembrato che l’Europa in sé fosse un campo
di studio privilegiato; l’Italia guarda a tutto il Mediterraneo, il
Mediterraneo guarda verso l’Oriente, e la Cina (per quanto la
capisca, visto che non leggo il cinese) mi ha sempre affascinato. In
effetti, L’Europa nel medioevo è il solo libro che io abbia mai
scritto sull’Europa in quanto tale. Cosa ho messo in secondo piano?
Beh, in un certo senso niente: sono uno storico sociale e la
dimensione sociale porta con sé l’economia, la cultura, la
politica. Forse mi sento meno a mio agio con una storia strettamente
religiosa e intellettuale, ma ho cercato comunque di integrarle.
In
questo ultimo libro (L'Europa nel Medioevo, Carocci, 2018)
storia politica e strutture sociali ed economiche si intrecciano in
modo complesso. Come cambia fra alto e basso medioevo il rapporto fra
i due piani?
Su questo punto ho
provato a essere esplicito nel libro. Almeno per quanto riguarda
l’Europa occidentale, credo che il punto di svolta sia stata la
cristallizzazione delle strutture del potere locale, avvenuta durante
un “lungo” XI secolo in gran parte del continente europeo. Non
ogni potere centralizzato ne venne minato, ma tutti hanno dovuto, da
allora in poi, confrontarsi con alternative locali all’autorità
dei re e di altri sovrani. I poteri centrali affrontarono questa
sfida in modi diversi: con una fiscalità più forte ed eserciti
pagati; con parlamenti che – si sperava – avrebbero portato un
consenso più diffuso all’esercizio del potere; ecc. Ne emerse alla
fine del medioevo una sfera pubblica più attiva e più
autoconsapevole, uno sviluppo che ritengo particolarmente importante
per la storia europea.
L’Europa nel
medioevo è un libro pensato
per un pubblico mondiale. Da specialista di storia italiana, le
chiediamo uno sforzo di mise en perspective differente: qual è il
posto dell’Italia nella storia del medioevo europeo?
Ci sono tante risposte
possibili a questa domanda. Si sa benissimo che l’Italia alla fine
del medioevo era politicamente più frammentata della maggior parte
delle regioni europee (anche se la Germania lo era di più). Aveva
inoltre uno sviluppo economico, soprattutto dopo il 1200, più
complesso e dinamico della maggior parte dell’Europa, anche se le
Fiandre all’inizio di quel periodo, la Germania meridionale e la
Francia settentrionale dopo, conobbero un iter simile. Ma credo che
soprattutto un elemento sia stato peculiare nella storia italiana,
attraverso tutto il medioevo: l’Italia medievale era un paese –
o, meglio, una grande regione – interamente dominata dalle città.
Forse può sembrare un luogo comune, ma non è per questo meno vero.
In nessun’altra parte d’Europa le città avevano così tanto
potere autonomo, già nel regno italico prima del secolo XII, per non
parlare dei secoli successivi. Né era molto diverso nelle regioni
del Sud e nella Sicilia (cioè a est e a sud della linea
Ancona-Roma), anche se lì le città, meno numerose, erano veramente
protagoniste, diciamo venti anziché cinquanta. Una città è meno
facile da dominare da parte di una sola persona; c’è una tendenza,
anche se non sempre attiva, a creare strutture di governo locale più
collettive. E una città può in sé stessa dominare il suo contado
in maniera più pervasiva. Non è un caso che i modelli di fiscalità
europei più efficaci del basso medioevo – a eccezione almeno
dell’impero ottomano – fossero proprio quelli delle città
italiane, come pure molti degli strumenti più complessi di governo
locale. Ciò rende molto particolare la situazione italiana, per
tutto il medioevo.
L'Indice, gennaio 2019
Nessun commento:
Posta un commento