La storia, scritta da una
specie egocentrica come Homo sapiens, non poteva che trattare
di guerre, accordi, invasioni e scomparse di imperi in cui solo gli
uomini stessi sono protagonisti, deuteragonisti e semplici comparse.
Eppure uno sguardo un po' più freddo avrebbe potuto permetterci di
capire che per buona parte della nostra vicenda “che conta” siamo
stati accompagnati da altre specie, che hanno profondamente
modificato il nostro comportamento, il nostro impatto sul pianeta,
persino il nostro modo di pensare e di evolvere. Anche qui, però,
quando si tratta di parlare degli animali domestici o addomesticati
la prospettiva è sempre centrata su di noi. L'uomo, si dice, ha
trasformato uno o più selvaggi predatori in buoni amici, l'uomo ha
completamente cambiato la natura aggressiva di un enorme erbivoro e
lo ha fatto diventare una specie di macchina da carne e latte, l'uomo
ha plasmato la forma di un piccolo abitante delle steppe asiatiche in
un “nobile animale” protagonista di leggende. La trattazione è
comune a molti libri anche di alto livello, come l'ormai classico
Storia naturale della domesticazione dei mammiferi, di Juliet
Clutton-Brock (Bollati Boringhieri, 2001).
Il libro Addomesticati
(L'insolita evoluzione degli animali che vivono accanto all'uomo,
ed orig 2015, trad. dall'inglese di Francesca Pe', Bollati
Boringhieri, Torino 2016) invece restituisce la storia a uno scenario
più simile alla complessa realtà. Scritto dal divulgatore Richard
Francis (che però ha - e si nota - una formazione in neurobiologia)
segue passo passo, con scansione quasi enciclopedica, la storia delle
interazioni tra molte specie e la nostra. Si va dal cane al gatto al
cavallo alle renne, fino ai roditori e alla nostra stessa specie:
vedremo come.
Il libro parte però da
una piccola ma interessante vicenda, quella delle volpi di Dimitry
Belyaev. Anche se si svolge tutta nel secolo scorso, e solo in
Siberia, racconta molto di quanto accadde nel passato ad alcune
specie che abbiamo accanto. Belyaev, un genetista isolato durante lo
stalinismo nella fredda Novosibirsk, colpevole di darwinismo e
mendelismo in un'epoca dominata dal lamarckiano (circa...) Lysenko,
fu ridotto ad allevare volpi da pelliccia (che sono le comuni volpi,
Vulpes vulpes, con un manto folto e a volte grigio perla). Ma,
scienziato fino in fondo, continuò a cercare nei suoi animali tutti
i principi dell'evoluzionismo più classico. Il suo obiettivo era
avere prima di tutto animali poco aggressivi e quindi facili da
maneggiare, ma il susseguirsi delle generazioni portava con sé anche
tutta una serie di modifiche non volute nel corpo delle volpi e non
solo nella loro mente: orecchie flosce, coda abbassata, mantello
molto variabile, a macchie bianche e nere. La selezione per la
mansuetudine aveva, in breve, trasformato le volpi da pelliccia in
animali dal mantello colorato e la coda bassa: in una parola, molto
simili ai cani. Tutta la storia di Belyaev e delle sue ricerche è
raccontata da un affascinante libro, How to Tame a Fox (and Build
a Dog), di Lee Alan Dugatkin, appena uscito - 2017 - da
University of Chicago Press.
Con estrema cura e
precisione, tanto che il libro può a volte risultare enciclopedico,
Francis cerca di
illustrare come lo stesso
percorso di addomesticamento di Belyaev possa essere rintracciato
anche nel passaggio da un animale selvatico a uno domestico. Come è
accaduto nel passaggio (durato ovviamente decine di migliaia di anni,
non qualche decennio) da lupo a cane. Raccontato dall'autore, il
processo non è più un freccia che va dal lupo al cane grazie alle
capacità/necessità dell'uomo, ma un'inestricabile interazione tra
selezione naturale e artificiale, tra lupi che si avvicinano
volontariamente agli accampamenti e uomini che scelgono i più docili
tra gli animali che si aggirano nei villaggi. Quando questo sia
avvenuto è, anche al momento della stesura del libro, piuttosto
misterioso. Pare che sia stato un processo a due stadi, in cui a una
prima domesticazione in Europa o Vicino Oriente circa 30.000 anni fa
se ne è aggiunta una seconda, circa 15.000 anni fa, nel Sud della
Cina. L'animale derivato da questi avvenimenti era non troppo
dissimile all'antenato lupo; il vivere accanto all'uomo ha però
allentato per così dire la selezione naturale e l'animale che ne è
derivato ha un mantello variabile, è più piccolo di un lupo, e
rispetto a quest'ultimo decisamente multiforme. È interessante
notare come il grande rimescolamento e la selezione spinta verso il
numero di razze oggi esistenti sia avvenuto però solo negli ultimi
due secoli. A questo riguardo Francis non può fare a meno di
stigmatizzare la volontà di alcuni allevatori che spingono razze
molto desiderate, spesso da compagnia, verso canoni estetici che
potremmo chiamare deviati, che selezionano strutture corporee
grottesche e che portano a una morte precoce e spesso dolorosa. Un
esempio sono i cani dal muso schiacciato come il carlino o il
bulldog, che hanno notevoli difficoltà respiratorie.
Un fondamentale fattore
nella domesticazione del lupo è stata la sua spiccata socialità,
che potrebbe averne facilitato l'interazione con una specie
differente ma altrettanto sociale, come la nostra. Per questa ragione
non è vero, per esempio, che il cane consideri il “padrone” come
un lupo alfa del proprio branco e lo rispetti e obbedisca per quello.
Anzi, proprio questa è la particolarità della domesticazione del
cane; la convivenza con l'uomo ha profondamente cambiato la
psicologia di una specie, facendo sì che la comprensione delle
esigenze e stati d'animo dell'altra specie siano una sua
caratteristica peculiare. Il cane, in definitiva, è l'unica specie
che ci capisca veramente.
Non si può dire lo
stesso per l'altro importante animale domestico, il gatto. L'origine
come cacciatore solitario permette ai gatti un'autonomia psicologia
ignota ai cani, e una relativa noncuranza dello stato d'animo del
padrone. Anche in questo caso, la sua presenza nelle nostre case non
è dovuta solo a un'esigenza umana (la cattura dei roditori che si
nutrono delle derrate immagazzinate) ma alla presenza casuale e
opportunistica del gatti selvatici, molto probabilmente della
sottospecie africana, attorno alle nostre case. Le modifiche della
specie selvatica, come accadde per il lupo, sono state importanti, ma
neppure lontanamente paragonabili a quelle cui abbiamo sottoposto il
cane. Lo stesso copione di coesistenza, cooptazione e collaborazione
è molto probabilmente avvenuto anche per altre specie addomesticate,
dalla gallina al maiale alla pecora.
Quello che emerge
dall'analisi di Francis è che nei processi di domesticazione è
sempre stata importante l'interazione tra vari aspetti. La dimensione
temporale, per esempio, perché più tempo un animale passa accanto
all'uomo più viene modificato. Ma anche la struttura sociale,
l'attitudine alla collaborazione anche con altre specie, la
flessibilità genetica (una variabile piuttosto sfuggente, in
realtà), l'utilità per l'uomo e, perché no, anche il fattore
Bambi, l'aspetto più o meno infantile della specie originaria.
In questo, Addomesticati
potrebbe essere affiancato a una parte importante, quella che
riguarda appunto la domesticazione, di un altro classico della
divulgazione, Armi, acciaio e malattie (Einaudi, 1997). Nel
volume l'autore, Jared Diamond, descrive quelli che secondo lui sono
i fattori etologici per cui alcune specie (il cavallo, per esempio,
che può vedere l'uomo come “padrone”) sono state addomesticate e
altre (come la zebre, i cui maschi sono aggressivi e mordaci nel
periodo degli amori), sono riusciti a sfuggire al giogo dell'uomo.
Anche se dal punto di
vista della divulgazione è un vero capolavoro, Addomesticati
è un'opera in cui la genetica la fa da padrone e potrebbe essere, in
alcuni passi, non facilissima da capire. Per esempio la parte finale,
in cui Francis applica i principi della storia della domesticazione
alla nostra specie. Che, secondo lui (e non solo) si è
autoaddomesticata, assumendo per esempio i caratteri giovanili propri
di alcuni degli animali che ci accompagnano.
La mole, la scansione e
la profondità degli argomenti fanno di Addomesticati un libro
che rimarrà nel novero delle opere da leggere e tenere come punto di
riferimento anche per anni a venire.
L'Indice, marzo 2017 –
L'illustrazione è di Bianca Urbinati
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