A gennaio dello scorso
anno, Luigi Ippolito, corrispondente da Londra per il Corriere della
Sera, prendendo spunto da un'iniziativa legislativa del governo
inglese, espose in un articolo i gravi problemi di inquinamento che
l'uso massiccio della plastica negli imballaggi e nell'usa e getta
determina e le misure in vari paesi prospettate per ridurlo
considerevolmente. Il pezzo andrebbe aggiornato, ma non mi pare che i
passi avanti fatti nel mondo attenuino la gravità del problema. Non
parliamo dell'Italia. (S.L.L.)
La premier Theresa May ha
annunciato ieri la creazione nei supermercati di corridoi liberi
dalla plastica, ha proposto una tassa su tutte le confezioni monouso,
incluse posate e cannucce, e ha esteso a tutti i negozi la tassa di
cinque centesimi sui sacchetti di plastica, già in vigore nei
supermercati. Per dare il buon esempio, gli uffici governativi
dovranno fare a meno di piatti e posate di plastica, mentre parte dei
13 miliardi di sterline (circa 15 miliardi di euro) di aiuti allo
sviluppo saranno destinati a ripulire gli oceani. «Dobbiamo ridurre
la domanda di plastica — ha detto la May — ridurre la quantità
di quella in circolazione e migliorare il livello di riciclo. Agiremo
a ogni passaggio della produzione e del consumo».
A partire dagli anni
Cinquanta nel mondo sono state fabbricate oltre 8 miliardi di
tonnellate di plastica: una cifra destinata a quadruplicarsi nei
prossimi trent’anni. La gran parte di questo materiale finisce nei
fiumi e negli oceani: la conseguenza è che nel mondo un milione di
uccelli e almeno 100 mila tartarughe e altri mammiferi marini muoiono
per aver ingerito plastica o per esserci rimasti impigliati. Nel
canale della Manica, un pesce su tre che viene pescato contiene
plastica: e perfino nella fossa delle Marianne, il punto più
profondo del Pacifico, sono state trovare creature che avevano
ingerito particelle di plastica.
Sulla scia del governo di
Londra, le regioni del Regno Unito hanno annunciato provvedimenti
simili: la Scozia metterà al bando la produzione e la vendita dei
cotton fioc di plastica, dopo che le sue spiagge sono state inondate
di bastoncini.
Anche l’Europa si
muove: Bruxelles sta considerando una tassa comunitaria sulla
plastica. Il commissario al Bilancio Guenther Oettinger ha comunicato
che il provvedimento sarà varato in maggio, anche se non è stato
ancora deciso se il balzello sarà a carico dei consumatori o dei
produttori. Ma il fronte più difficile della battaglia resta quello
cinese. Già dieci anni fa Pechino aveva provato far pagare i
sacchetti di plastica, ma mercati e negozi hanno praticamente
ignorato la disposizione. Lo sviluppo tumultuoso di questi ultimi
anni ha dato il colpo di grazia all’ambiente: basti pensare alla
popolarità delle consegne di cibo a domicilio, che nelle città
hanno raggiunto i 20 milioni di ordini al giorno. Se si calcolano tre
contenitori di plastica per ogni consegna, abbiamo 60 milioni di
scatole quotidiane che vengono gettate via senza essere riciclate. I
fiumi cinesi sono inondati di spazzatura che si riversa nel Pacifico:
ora Pechino sta pensando a provvedimenti radicali e ha bandito
l’importazione di rifiuti per concentrarsi sullo smaltimento
interno. Ma potrebbero essere misure tardive.
Corriere della sera, 11
gennaio 2018
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