Giacomo Casanova, Storia
della mia vita, dicembre 1771: «Il penultimo giorno dell’anno
giunsi a Bologna, dove presi alloggio all’albergo San Marco». Era
lunedì. Il libertino è, come di consueto, senza soldi e sul suo
capo pende un’accusa di truffa al gioco. Si reca il primo giorno
del 1772 dal cardinale-legato Branciforte, «che avevo conosciuto a
Parigi vent’anni prima, quando Benedetto XIV lo aveva incaricato di
portare le fasce benedette al neonato duca di Borgogna: eravamo stati
insieme in una loggia massonica e avevamo anche fatto cene squisite
in compagnia di belle ragazze...».
Una settimana più tardi,
Casanova incontra «nella bottega del libraio Taruffi un giovane
abate guercio» che gli regala due opuscoli. È bene ricorrere alle
sue parole per presentarli. Il primo «mirava a dimostrare che si
devono perdonare alle donne gli errori che commettono, perché a
causarli è l’utero che le fa agire contro la loro volontà»; il
secondo, invece, «conteneva una critica al primo». Decide allora di
scrivere a sua volta una replica e la intitola Lana caprina.
Che cosa sosteneva? Lui stesso riassume: «Mi burlavo dei due
dissertatori e trattavo l’argomento senza pedanteria, ma non senza
approfondirlo». In tre giorni il libretto è pronto.
Certo, oggi la questione
affrontata nel primo opuscolo non è politicamente corretta (e ce ne
scusiamo), ma il mondo andava così. L’autore era Petronio Ignazio
Zecchini, medico anatomista dell’università di Bologna; aveva come
titolo Della dialettica delle donne ridotta al suo vero principio.
Pubblicato nel 1771, regolarmente fornito d’imprimatur
ecclesiastico, a pagina 6 Zecchini rivela il vero tema dell’operina,
laddove ricorda – rivolgendosi alle donne – «propongo sotto il
titolo della vostra dialettica naturale, o dell’utero
pensatore...». [...] Il testo aveva come sottotitolo Epistola di
un licantropo. Il motivo, seguendo Casanova, è spiegabile con il
fatto che i licantropi, appunto, a ogni plenilunio soffrono di
disturbi. Come, allora si diceva, accade periodicamente al sesso
debole.
Non indugeremo
sull’argomento del libro, giacché l’acuto Giacomo si divertì.
Prese in prestito la locuzione latina De lana caprina, perché
bene indicava qualcosa di chiacchierato e di sostanzialmente inutile.
Diremo soltanto che Casanova era certo che «l’uomo e la donna
pensano allo stesso modo»; e per provarlo citava Platone, secondo
cui il seme maschile «è provvisto di anima e respira». Sbeffeggiò,
tra gli altri, anche l’erudito calvinista olandese Gerhard Johannes
Voss, che affermava nel suo De theologia gentili et physiologia
christiana, uscito nel 1641, «feminas non esse homines» (le
femmine non sono uomini), vale a dire non appartengono al genere
umano, composto di soli uomini. E allora, di grazia, con chi aveva
gioito tutta la vita Casanova? [...]
Il Sole 24 Ore, 30
settembre 2018
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