Robert Louis Stevenson |
Narrato dalle voci di
quella “vecchia zitella” di Mackellar e del poco credibile
colonnello irlandese Burke, il dramma della discendenza di Lord
Durrisdeer si apre nel 1745 nella sala di una magione scozzese, con
il lancio in aria di una moneta che deciderà quale dei suoi due
figli dovrà partire per sostenere la causa di Charles Edward Stuart,
young pretender al trono d'Inghilterra, Scozia e Irlanda, e
quale resterà affianco al re Giorgio II, Hannover. Secondo la
tradizione, a partire sarebbe dovuto essere il cadetto, il buon
Henry, ma il caso decreterà che a sostenere la Jacobite rising
sia invece il figlio più amato, lo scapestrato primogenito James, il
Master, termine che nell'araldica scozzese indica l'erede al
titolo nobiliare sia apparente che presunto.
Qual è la maggior colpa
di James Durie, il Master di Ballantrae? Mackellar, fido servitore di
Lord Durrisdeer, elenca quattro aspetti della sua diabolica
personalità: ostilità verso il fratello Henry, esclusiva ricerca
del proprio tornaconto, “pura e semplice delizia nell'essere
crudele, come si riscontra a volte nei gatti, e attribuita dai
teologi al demonio”, o infine ciò che James avrebbe non meglio
definito come “amore”. La vera colpa del Master di Ballantrae (in
una lettera ad Adelaide Boodle, Robert Louis Stevenson spiega che si
deve pronunciare Ballantray) è forse invece quella di essere un
recidivo revenant, di avere insomma non solo la pessima
abitudine di tornare dal mondo dei (presunti) morti, ma anche e
soprattutto la pretesa di poter far ritorno a casa.
James Durie spera di
trarre vantaggi economici e personali nell'impresa, e lascia a cuor
leggero il padre, il fratello (che chiama con disprezzo Giacobbe) e
Alison, la promessa sposa, cosciente che, se la sua missione dovesse
fallire, il titolo di Lord Durrisdeer passerebbe a Henry. Per la sua
avventura “Bonnie Prince Charlie” (nato e morto a Roma,
1720-1788) poteva contare su molti clan tra gli Highlanders e sul
supporto degli irlandesi che, con la sua vittoria, credevano di
liberarsi dal giogo inglese, ma la storia ebbe il suo corso e nel
1746 le truppe giacobine vennero sterminate nella battaglia di
Culloden. Il Master di Ballantrae viene dato per morto, e il titolo
passa all'infelice Henry. In realtà, con l'aiuto del colonnello
Burke, James è fuggito e si è unito a dei pirati, ai quali ha
sottratto con l'inganno e il delitto un tesoro, che ha poi nascosto
sui monti in America.
Ora è a Parigi da dove
reclama la sua parte di beni di famiglia. Henry, sconvolto dalla
notizia e a costo di ridurre i Durrisdeer sul lastrico, gli invia
quanto chiede, ma al Master di Ballantrae non basta mai. Tanto che un
(bel) giorno torna di persona a reclamare il resto, compresi
l'affetto del padre e l'amore di Alison.
La bella edizione del
Master di Ballantrae curata da Simone Barillari per Nutrimenti (Roma
2012) riporta in appendice una sorta di work in progress del
capolavoro di Robert Louis Stevenson (Edimburgo 1850 - Samoa 1894),
proponendo alcuni brani da The Art of Writing e una selezione
della sua corrispondenza nei mesi durante i quali stava creando il
romanzo. Ancora più felice è la scelta di pubblicare anche il
Prologo di Stevenson che, inspiegabilmente, non appare in
altre traduzioni italiane e che, essendo una riflessione sul
“ritorno”, fornisce un'interessante chiave di lettura dei tragici
eventi narrati nel testo. L'irrequietezza e la tubercolosi avevano
infatti trasformato l'autore dell'Isola del Tesoro in un
vagabondo bohémien che, minato dalla malattia, sarebbe morto a soli
quarantaquattro anni nei mari del Sud, quanto più lontano fosse
possibile immaginare dalla nativa Edimburgo:“Anche se da lungo
tempo vive in volontario esilio, il curatore delle pagine che seguono
torna ogni tanto nella città in cui è fiero di essere nato, e poche
cose sono più strane, più dolorose o salutari di queste visite”
scrive Stevenson nel Prologo, e prosegue: “All'estero (...)
suscita sempre più sorpresa e attenzione di quanta si sarebbe mai
aspettato. Nella sua città avviene il contrario, e si stupisce di
quanti pochi ricordi rimangano di lui. (...) Altrove si rianima nel
vedere tante facce cordiali (…), lì esplora le lunghe strade, con
il cuore in mano, in cerca di volti e amici che non ci sono più.
Altrove si diletta della presenza delle cose nuove; lì si tormenta
dell'assenza di quelle vecchie. Altrove è soddisfatto di quel che è;
lì è divorato dal duplice rimpianto di quel che era allora, e di
quel che avrebbe sperato di essere”.
Parole che potrebbero ben
esprimere i sentimenti di James Durrie al momento del suo ritorno
nella magione di Durrisdeer, che si concluderà con un duello con il
fratello Henry, che gli sarà quasi fatale. Il suo corpo mortalmente
ferito viene abbandonato in un boschetto, ma quando Lord Durrisdeer e
il fido Mac-kellar vanno a esaminarne la salma trovano solo una pozza
di sangue. Anche questa volta Henry pensa di essersi liberato del
“nemico fratello”, ma il pensiero che lui stesso ne abbia causato
la morte lo porta a perdere progressivamente la ragione.
Il Master di Ballantrae è
stato invece salvato dai contrabbandieri e, una volta sanate le
ferite infertegli dal fratello, si imbarca per l'India dove vive con
il fedele Secundra Dass, ma non per molto, perché un rovescio di
fortuna lo spinge verso “casa”, per ripresentarsi a Durrisdeer,
con “lo splendore di Satana” in compagnia dell'amico indiano. Ora
per Henry, che è padre di un nuovo discendente al titolo, la
priorità è salvare la propria famiglia dalla malvagità del
fratello e con il favore della notte ne organizza il trasferimento a
New York. Durrisdeer è lasciata alle cure di Mackellar che dovrà
gestire anche la rabbia del Master, che non impiegherà molto a
scoprire dove sono fuggiti Henry, Alison e i loro figli.
Iniziato da Robert Louis
Stevenson nel dicembre del 1887 sul lago Saranac, nello stato di New
York, The Master of Ballantrae verrà terminato due anni dopo,
a bordo dello yacht Casco, nei mari della Polinesia. Sempre percorse
da una sottile ironia, le pagine del romanzo vivono di questi grandi
spostamenti per mare e per terra, fra le antiche tradizioni scozzesi,
l'esotismo dell'Oriente e le promesse del Nuovo mondo. Un romanzo in
cui Stevenson porta alle estreme conseguenze le sue ossessioni sul
doppio, l'antagonista interno, l'alter ego del quale non ci si può
liberare. Se nello Strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde
l'eterno conflitto tra bene e male si esprimeva nella scissione
schizofrenica di una stessa persona, nel Master of Ballantrae
ci troviamo di fronte a una moltiplicazione del Doppelganger, perché
il conflitto dilaniante - così ben descritto da Jekyll - lacera
l'animo di entrambi i fratelli, che solo a una lettura superficiale
possono essere catalogati come uno “buono” e l'altro “cattivo”.
“Per quanto così
doppio nell'intimo, non ero in alcun modo un ipocrita. I due lati del
mio carattere coesistevano in perfetta buona fede; e quando
abbandonavo ogni ritegno per tuffarmi nell'infamia, ero altrettanto
me stesso di quando, alla luce del giorno, m'affaticavo per il
progresso della scienza e il bene del prossimo” annota Jekyll nel
suo memoriale, e il tourbillon degli avvenimenti che chiude in
maniera quasi surreale The Master of Ballantrae mostra che la
latenza del male è più diffusa di quanto sia possibile immaginare:
la nobiltà d'animo vive al confine dell'abiezione, l'amore ai limiti
dell'odio. Lo sviluppo della vicenda mostrerà inaspettati lati
benevoli di James, ma anche gli istinti decisamente meno “nobili”
di Henry (che era evidentemente riuscito a reprimere fino a quando
non erano stati liberati dalla follia), per arrivare a un'escalation
di odio, che porterà al loro rispettivo annientamento nella
wilderness dell'entroterra americano.
L'Indice, Gennaio 2013
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