Un'immagine di Enzo Sellerio, dal sito della case editrice |
Ho trovato l'intervista a Enzo Sellerio che segue in un
supplemento weekend di “Repubblica” dell'autunno 1981, ove non ne è indicato il curatore. Il
quotidiano diretto da Scalfari suggeriva di approfittare di una
mostra di Antonello da Messina nella città dello Stretto per
visitare la Sicilia e la sua capitale (o viceversa).
Enzo Sellerio,
il grande fotografo palermitano scomparso nel 2012,, al tempo compartecipe dell'avventura
editoriale della signora Elvira e del successo imprevisto della
Diceria dell'untore di
Gesualdo Bufalino (Camilleri e Montalbano sarebbero arrivati più
tardi, dopo un periodo di difficoltà), rilasciò dichiarazioni
sconfortate.
Da allora, anche grazie alle giunte Orlando (quelle del
vecchio millennio e quella attuale) il degrado di Palermo è stato –
almeno in parte - frenato e non mancano in quella città esempi di
buon risanamento, ma non si può dire che sia cessato. È invece
continuato senza remore lo scempio del patrimonio artistico e
paesaggistico in tante altre località siciliane. Secondo me, il
consiglio che Sellerio dava 38 anni fa resta valido. (S.L.L.)
Ora, dopo il Campiello a Gesualdo Bufalino, la casa editrice la conoscono proprio tutti. Con le loro copertine ruvide, i loro titoli ben scelti, i prezzi certo non stracciati, libri e librini targati Sellerio sono ormai colti feticci che in qualsiasi buona libreria si guadagnano spazi di tutto rispetto. A Enzo Sellerio un palermitano di 57 anni che nasce fotografo (proprio in questi giorni a Marsala ce una sua mostra) e che nel giro di 12 anni, con sua moglie Elvira, («l’anima dell’azienda»), ha trasformato il loro nome in una firma prestigiosa dell’editoria italiana, abbiamo chiesto qualche consiglio per una visita a Palermo.
«Uno, soprattutto: sbrigarsi.»
«Uno, soprattutto: sbrigarsi.»
In che senso?
«Nel senso di fare in
fretta. Ogni giorno che passa un po’ di Palermo scompare. Ora, poi,
sta per essere attuato il piano di risanamento. C’è da tremare. La
parola fatale riverserà centinaia di miliardi sul centro storico.
Vedo già torme di architetti pronti a eseguire, ancora una volta
(così come avveniva col braccio secolare ai tempi
dell’inquisizione), la sentenza di condanna democristiana alla
città. Che fine faranno, poi, gli artigiani? Saranno espulsi o
verranno lasciati lì, come in un presepe animato, a dimostrare che
il tessuto sociale della città vecchia non è stato alterato. Tremo.
Talvolta non c’è nulla di più sinistro di un architetto di
sinistra.»
Ma di preciso da cos’è
minacciata la città?
«Un’operazione a
tenaglia: da una parte questa kermesse risanatrice, dall’altra una
grottesca incuria che la manda in pezzi. Posso fare esempi precisi:
chi è venuto più di dieci anni fa poteva vedere una meravigliosa
tela del Caravaggio. Ora non la vede più: l’hanno rubata. Nove
anni fa si entrava al teatro Massimo e ci si stupiva; ora, da otto
anni, è chiuso agli spettacoli e al pubblico e privo di qualsiasi
manutenzione. E in centro, poi, man mano, i crolli aumentano come
unica misura vengono chiuse le strade e la città vecchia assomiglia
sempre più a un grottesco labirinto di Steinberg dove, un giorno
dopo l’altro, qualche arteria viene bloccata, come una brutta
cancrena.»
Ma allora ben venga il
risanamento...
«Certo, se di
risanamento si tratta. Se si tratta invece di un risanamento fatto
cementificazioni e ristrutturazione, allora di esperienze ne abbiamo
già avute, terribili. Ma chi se lo ricorda più, ormai, lo sky
line di Palermo, quello con i pinnacoli della cattedrale, con il
«carciofo» di Basile sulla cupola del Massimo. Oggi soffocati da
casermoni queste meraviglie boccheggiano. Guardiamo anche Bagheria,
la città delle ville con i suoi palazzoni terribili che ormai, mi
hanno raccontato, addirittura in consiglio comunale chiamano «i
cassoni». Del resto, grande sensibilità, in città e dintorni,
verso questi problemi non ce n’è mai stata. Lo ha già dimostrato,
qualche anno fa, la scelta di un assessore all’urbanistica. Era
cieco. Io non l’ho mai conosciuto. Oggettivamente, però, qualche
risvolto paradossale, un avvenimento del genere, lo presentava.»
Allora a Palermo, il
prima possibile. Lei non concede speranze.
«Come potrei?
Fotografavo la Sicilia. Non lo faccio più. In un libro di qualche
anno fa (Castelli e monasteri di Sicilia un viaggio fotografico
tra potere laico ed ecclesiastico) c’ erano le immagini di 12
costruzioni. Meravigliose. Nel giro di 14 anni almeno sei hanno
subito danni gravi o gravissimi. Eppure, per dirne una, per quel
capolavoro di Santa Maria del Bosco, ad esempio, sarebbero bastati
allora 50 milioni. Oggi è un ammasso di rovine. Insomma bisogna
sbrigarsi a vederla questa Palermo. Un ultimo caso: solo pochi mesi
fa c’era la profumeria Bertelli, un esempio tra il liberty e il
deco. L’altro giorno ho fatto una passeggiata in centro. Ora, al
suo posto, c’è un negozio che strilla le sue insegne al neon.
"la Repubblica weekend" giovedì 22 ottobre 1981
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