10.2.19

Enzo Sellerio, 1981. "Visitare Palermo? Un solo consiglio, ma importante: sbrigarsi"

Un'immagine di Enzo Sellerio, dal sito della case editrice
Ho trovato l'intervista a Enzo Sellerio che segue in un supplemento weekend di “Repubblica” dell'autunno 1981, ove non ne è indicato il curatore. Il quotidiano diretto da Scalfari suggeriva di approfittare di una mostra di Antonello da Messina nella città dello Stretto per visitare la Sicilia e la sua capitale (o viceversa). 
Enzo Sellerio, il grande fotografo palermitano scomparso nel 2012,, al tempo compartecipe dell'avventura editoriale della signora Elvira e del successo imprevisto della Diceria dell'untore di Gesualdo Bufalino (Camilleri e Montalbano sarebbero arrivati più tardi, dopo un periodo di difficoltà), rilasciò dichiarazioni sconfortate. 
Da allora, anche grazie alle giunte Orlando (quelle del vecchio millennio e quella attuale) il degrado di Palermo è stato – almeno in parte - frenato e non mancano in quella città esempi di buon risanamento, ma non si può dire che sia cessato. È invece continuato senza remore lo scempio del patrimonio artistico e paesaggistico in tante altre località siciliane. Secondo me, il consiglio che Sellerio dava 38 anni fa resta valido. (S.L.L.)

Palermo. Monastero di clausura di Santa Caterina - Foto Enzo Sellerio, 1967 

Ora, dopo il Campiello a Gesualdo Bufalino, la casa editrice la conoscono proprio tutti. Con le loro copertine ruvide, i loro titoli ben scelti, i prezzi certo non stracciati, libri e librini targati Sellerio sono ormai colti feticci che in qualsiasi buona libreria si guadagnano spazi di tutto rispetto. A Enzo Sellerio un palermitano di 57 anni che nasce fotografo (proprio in questi giorni a Marsala ce una sua mostra) e che nel giro di 12 anni, con sua moglie Elvira, («l’anima dell’azienda»), ha trasformato il loro nome in una firma prestigiosa dell’editoria italiana, abbiamo chiesto qualche consiglio per una visita a Palermo.

«Uno, soprattutto: sbrigarsi.»
In che senso?
«Nel senso di fare in fretta. Ogni giorno che passa un po’ di Palermo scompare. Ora, poi, sta per essere attuato il piano di risanamento. C’è da tremare. La parola fatale riverserà centinaia di miliardi sul centro storico. Vedo già torme di architetti pronti a eseguire, ancora una volta (così come avveniva col braccio secolare ai tempi dell’inquisizione), la sentenza di condanna democristiana alla città. Che fine faranno, poi, gli artigiani? Saranno espulsi o verranno lasciati lì, come in un presepe animato, a dimostrare che il tessuto sociale della città vecchia non è stato alterato. Tremo. Talvolta non c’è nulla di più sinistro di un architetto di sinistra.»
Ma di preciso da cos’è minacciata la città?
«Un’operazione a tenaglia: da una parte questa kermesse risanatrice, dall’altra una grottesca incuria che la manda in pezzi. Posso fare esempi precisi: chi è venuto più di dieci anni fa poteva vedere una meravigliosa tela del Caravaggio. Ora non la vede più: l’hanno rubata. Nove anni fa si entrava al teatro Massimo e ci si stupiva; ora, da otto anni, è chiuso agli spettacoli e al pubblico e privo di qualsiasi manutenzione. E in centro, poi, man mano, i crolli aumentano come unica misura vengono chiuse le strade e la città vecchia assomiglia sempre più a un grottesco labirinto di Steinberg dove, un giorno dopo l’altro, qualche arteria viene bloccata, come una brutta cancrena.»
Ma allora ben venga il risanamento...
«Certo, se di risanamento si tratta. Se si tratta invece di un risanamento fatto cementificazioni e ristrutturazione, allora di esperienze ne abbiamo già avute, terribili. Ma chi se lo ricorda più, ormai, lo sky line di Palermo, quello con i pinnacoli della cattedrale, con il «carciofo» di Basile sulla cupola del Massimo. Oggi soffocati da casermoni queste meraviglie boccheggiano. Guardiamo anche Bagheria, la città delle ville con i suoi palazzoni terribili che ormai, mi hanno raccontato, addirittura in consiglio comunale chiamano «i cassoni». Del resto, grande sensibilità, in città e dintorni, verso questi problemi non ce n’è mai stata. Lo ha già dimostrato, qualche anno fa, la scelta di un assessore all’urbanistica. Era cieco. Io non l’ho mai conosciuto. Oggettivamente, però, qualche risvolto paradossale, un avvenimento del genere, lo presentava.»
Allora a Palermo, il prima possibile. Lei non concede speranze.
«Come potrei? Fotografavo la Sicilia. Non lo faccio più. In un libro di qualche anno fa (Castelli e monasteri di Sicilia un viaggio fotografico tra potere laico ed ecclesiastico) c’ erano le immagini di 12 costruzioni. Meravigliose. Nel giro di 14 anni almeno sei hanno subito danni gravi o gravissimi. Eppure, per dirne una, per quel capolavoro di Santa Maria del Bosco, ad esempio, sarebbero bastati allora 50 milioni. Oggi è un ammasso di rovine. Insomma bisogna sbrigarsi a vederla questa Palermo. Un ultimo caso: solo pochi mesi fa c’era la profumeria Bertelli, un esempio tra il liberty e il deco. L’altro giorno ho fatto una passeggiata in centro. Ora, al suo posto, c’è un negozio che strilla le sue insegne al neon.

"la Repubblica weekend" giovedì 22 ottobre 1981

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