Allora
il nero del lutto era legge: nero era il cuore, nero il panno.
Compresi fazzoletti e camicie. A me dunque a ogni morte di nonno
davano da portare i grossi fagotti legati, colore dell’arcobaleno,
perché li annerisse d’un subito, appena dietro l’angolo, Donna
Stella tincitura. La trovavo in cucina, curva, con le belle braccia
nude, su un calderone di aniline, che fumava e pareva vivo. Sapevo di
non dovermi affacciare a guardare: un paiuolo di diavoli come quello,
dove bollivano e si strizzavano tutte le infamità della terra... Ma
non mi spaventavano meno, alzando gli occhi, le lingue d’ombra che
tremavano lassù, sulla volta; e il borbottio delle fiamme che voleva
persuadermi a tutti i costi una cosa, ma non sapevo che cosa. Strega
accigliata e benigna, Donna Stella mi consolava, chiamandomi a
mangiare, come una capra, nel suo palmo caldo di Esperide o Èva, i
grani scuri di un melograno.
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