14.2.19

Evelyn Glennie. Il grande orecchio della percussionista sorda (Marina Saraceno)



Quando a 12 anni Evelyn Glennie si presentò alla sua prima lezione di percussioni, il suo insegnante voleva rimandarla a casa. «La musica è ascoltare», le disse, «e tu sei sorda». «Con cosa ascoltiamo?», chiese lei e l’insegnante rispose: «Beh, con le orecchie». «Non solo», insistette Evelyn, «io ascolto anche attraverso le mani, le braccia, gli zigomi, il cuoio capelluto, la pancia, il torace,le gambe!». L’insegnante capì che si trovava di fronte a una sfida: educare all’ascolto una bambina che non poteva sentire. Quando mise alla prova la tenacia e il talento di Evelyn, si rese conto che aveva a che fare con un’artista capace di cambiare le regole della musica. 
Oggi Glennie è considerata la più importante percussionista al mondo, colei che per la prima volta nella storia della musica classica ha portato le percussioni dal fondo dell’orchestra alla prima fila. E una volta conquistata la prima fila, non l’ha più abbandonata: è stata la prima percussionista a esibirsi come solista in un’orchestra, ha vinto tre Grammy Award e più di 80 premi internazionali fra cui il Polar Music Prize considerato il Nobel della musica. […] 
Classe 1965, scozzese, Evelyn Glennie ha perso l’udito da bambina a causa di un progressivo danneggiamento del nervo acustico, ma nonostante questa disabilità, o forse proprio per questa, ha scelto di dedicare la vita all’ascolto. Secondo l’artista, «tutti possiedono una musica interna che vibra nella testa, e ogni vita in sé è una composizione musicale, unica e irripetibile. L’arte di ascoltare sta nel concentrarsi e aprire il corpo, in modo che divenga esso stesso un “grande orecchio”». Il corpo/orecchio si trasforma in una cassa di risonanza che amplifica la percezione del suono, tanto da coglierne ogni variazione, persino il semplice movimento dell’aria. 
Evelyn ha dovuto elaborare un personale metodo di studio della musica: lo spartito in fondo è un foglio con delle indicazioni tecniche, al di là di leggere le note, il tempo, la dinamica, un musicista deve innanzitutto interpretare, esplorare tutto quello che nello spartito non c’è. Il fatto poi di non poter ascoltare le registrazioni di altri musicisti è diventato il punto di forza della percussionista, che può accostarsi a un brano senza condizionamenti. Una libertà che l’ha resa celebre in tutto il mondo, grazie a interpretazioni innovative e di enorme intensità, nel repertorio contemporaneo come in quello classico. Non stupisce che la Glennie sia una vera e propria “ricercatrice del suono”, colleziona e suona ogni tipo di strumento: dall’affascinante aluphone col quale si è esibita durante la Cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra nel 2012, fino alle combinazioni fra rullanti e vasi da fiori, tubi innocenti e campane, xilofoni e chiavi inglesi. [...] 
Un’artista così particolare dà il suo meglio dal vivo e il pubblico italiano potrà ascoltarla in una trascrizione per vibrafono del Concerto per ottavino di Vivaldi il 12 maggio a L’Aquila, a chiusura della rassegna Musica per la città. La settimana prima, il 5 maggio, Glennie sarà all’Accademia Filarmonica Romana, dove eseguirà in prima mondiale Venus, un brano scritto per lei da Francesco Antonioni: «Ascolti Evelyn Glennie», dichiara il compositore ,«e subito capisci che attraverso la percussione è possibile porre in dolce movimento le membrane, far vibrare l’aria per creare onde sonore che si irradiano a lungo, nella loro dimensione rarefatta, ma sempre plastica e concreta. Ecco perché ho scelto l’immagine di Venere che emerge dagli abissi del mare, dialoga con le creature acquatiche, infonde vita a ogni cosa con grazia, mettendo in moto le risonanze dei corpi».

Pagina99we, 12 marzo 2016

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