Quando a 12 anni Evelyn
Glennie si presentò alla sua prima lezione di percussioni, il suo
insegnante voleva rimandarla a casa. «La musica è ascoltare», le
disse, «e tu sei sorda». «Con cosa ascoltiamo?», chiese lei e
l’insegnante rispose: «Beh, con le orecchie». «Non solo»,
insistette Evelyn, «io ascolto anche attraverso le mani, le braccia,
gli zigomi, il cuoio capelluto, la pancia, il torace,le gambe!».
L’insegnante capì che si trovava di fronte a una sfida: educare
all’ascolto una bambina che non poteva sentire. Quando mise alla
prova la tenacia e il talento di Evelyn, si rese conto che aveva a
che fare con un’artista capace di cambiare le regole della musica.
Oggi Glennie è considerata la più importante percussionista al
mondo, colei che per la prima volta nella storia della musica
classica ha portato le percussioni dal fondo dell’orchestra alla
prima fila. E una volta conquistata la prima fila, non l’ha più
abbandonata: è stata la prima percussionista a esibirsi come solista
in un’orchestra, ha vinto tre Grammy Award e più di 80 premi
internazionali fra cui il Polar Music Prize considerato il Nobel
della musica. […]
Classe 1965, scozzese, Evelyn Glennie ha perso
l’udito da bambina a causa di un progressivo danneggiamento del
nervo acustico, ma nonostante questa disabilità, o forse proprio per
questa, ha scelto di dedicare la vita all’ascolto. Secondo
l’artista, «tutti possiedono una musica interna che vibra nella
testa, e ogni vita in sé è una composizione musicale, unica e
irripetibile. L’arte di ascoltare sta nel concentrarsi e aprire il
corpo, in modo che divenga esso stesso un “grande orecchio”». Il
corpo/orecchio si trasforma in una cassa di risonanza che amplifica
la percezione del suono, tanto da coglierne ogni variazione, persino
il semplice movimento dell’aria.
Evelyn ha dovuto elaborare un
personale metodo di studio della musica: lo spartito in fondo è un
foglio con delle indicazioni tecniche, al di là di leggere le note,
il tempo, la dinamica, un musicista deve innanzitutto interpretare,
esplorare tutto quello che nello spartito non c’è. Il fatto poi di
non poter ascoltare le registrazioni di altri musicisti è diventato
il punto di forza della percussionista, che può accostarsi a un
brano senza condizionamenti. Una libertà che l’ha resa celebre in
tutto il mondo, grazie a interpretazioni innovative e di enorme
intensità, nel repertorio contemporaneo come in quello classico. Non
stupisce che la Glennie sia una vera e propria “ricercatrice del
suono”, colleziona e suona ogni tipo di strumento:
dall’affascinante aluphone col quale si è esibita durante la
Cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra nel 2012, fino alle
combinazioni fra rullanti e vasi da fiori, tubi innocenti e campane,
xilofoni e chiavi inglesi. [...]
Un’artista così particolare dà
il suo meglio dal vivo e il pubblico italiano potrà ascoltarla in
una trascrizione per vibrafono del Concerto per ottavino di
Vivaldi il 12 maggio a L’Aquila, a chiusura della rassegna Musica
per la città. La settimana prima, il 5 maggio, Glennie sarà
all’Accademia Filarmonica Romana, dove eseguirà in prima mondiale
Venus, un brano scritto per lei da Francesco Antonioni:
«Ascolti Evelyn Glennie», dichiara il compositore ,«e subito
capisci che attraverso la percussione è possibile porre in dolce
movimento le membrane, far vibrare l’aria per creare onde sonore
che si irradiano a lungo, nella loro dimensione rarefatta, ma sempre
plastica e concreta. Ecco perché ho scelto l’immagine di Venere
che emerge dagli abissi del mare, dialoga con le creature acquatiche,
infonde vita a ogni cosa con grazia, mettendo in moto le risonanze
dei corpi».
Pagina99we, 12 marzo 2016
Nessun commento:
Posta un commento