10.2.19

Peppino, il Migliore. Il De Filippo che piaceva a Togliatti (Aggeo Savioli)

Roma, 1955 - Teatro Le Arti - Peppino De Filippo e Palmiro Togliatti con la figlia adottiva Luisa

La sera dell'11 novembre 1955, l'allora giovane cronista teatrale dell'Unità, edizione romana, come da incarico ricevuto, cercò, ma invano il compagno Togliatti nella sala dell'Eliseo, fra i moltissimi spettatori che assistevano all'esordio d'una nuova commedia di Eduardo De Filippo, Bene mio e core mio. Il segretario del Pci avrebbe dovuto mettersi in contatto urgente col giornale, per una qualche questione che non era forse nemmeno troppo importante, giacché la cosa tu poi lasciata cadere. Di sicuro, nelle stesse ore, Togliatti si trovava in un altro teatro romano, le Arti, dove Peppino, fratello e, all'epoca rivale accanito di Eduardo, dava una propria commedia, Quelle giornate, facendone malignamente coincidere la “prima” (si trattava. del resto, di una ripresa) con quella del più famoso congiunto.
Abbiamo rammentato un episodio minimo, una piccola commedia degli equivoci che se nulla aggiunge (ma chissà) alla biografia del ben noto e tanto discusso (oggi) dirigente comunista, illumina di scorcio, per un aspetto poco esplorato, la figura del grande comico napoletano, della cui morte cade adesso il decennale. Peppino, dunque, invitava Togliatti ai suoi spettacoli (il caso riferito sopra si sarebbe infatti ripetuto), ma aveva invitato mesi prima (lo ricordiamo salutare, in tono emozionato, il “nostro caro Scelba”, seduto nella prima fila) il presidente del consiglio d'un governo democristiano-socialdemocratico (vice-presidente Saragat) tra i peggiori del dopoguera, tale da meritarsi, dalle iniziali dei suoi titolari, magari con polemica forzatura, l'appellativo di “governo Ss”.
Se nel duplice omaggio si esprimeva un tradizionale ossequio del teatrante verso i potenti della politica, sulla linea d una costumanza molto italiana e molto antica, bisogna comunque ammettere che Peppino De Filippo nel mezzo di quegli anni Cinquanta, segnati ancora dalla guerra fredda, nel mondo, e all'interno dal “muro contro muro”, sotto la cappa del più bieco anticomunismo, forniva la prova di una sagacia e spregiudicatezza che lo spingevano ad attribuire lo stesso peso, almeno, al capo del governo e a quello dell'opposizione. E quale opposizione!
Al fondo, c'era in Peppino un'ansia di legittimazione culturale e sociale, il desiderio di essere considerato non solo uomo di scena completo ma anche autore a pieno titolo (sulla grandezza dell'attore, nessuno aveva mai nutrito dubbi). Dopo il distacco da Eduardo, nel 1945 (nel decennio anteguerra Titina, Eduardo e Peppino, uniti, recitavano copioni propri e altrui, lavorando talora a più mani, pur se la personalità di Eduardo commediografo si veniva luminosamente imponendo), il fratello minore si sforzava di gareggiare col maggiore anche sul terreno della scrittura. Quelle giornate, cui abbiamo fatto cenno è, a circa un anno di distanza (1945-1946), quasi un ricalco parodistico di Napoli milionaria (gustosissimo del resto). Nel contempo, Peppino battezzò provocatoriamente “Compagnia del teatro italiano” la sua formazione, come a significare un taglio netto con le comuni radici partenopee. Ma bastava, per rammemorarle un accento, un giro di frase, quando pure il lessico dialettale fosse tenuto a distanza. E internazionalmente egli fu consacrato (dopo Eduardo) con una tournée a Londra, Parigi, Mosca, grazie a uno spettacolo che elaborava un canovaccio da Commedia dell'Arte, e che recava bene incisa l'impronta del nostro Sud.
Peppino De Filippo con Liliana Bonfatti in "Non è vero, ma ci credo" (1953)
I testi di Peppino, d'altronde, soprattutto quelli tra anteguerra e guerra, non condizionati dalla “sfida” a Eduardo, anzi stimolati dal felice sodalizio fra i Tre - dalla Lettera di mammà a Ma c'è papà a Non è vero ma ci credo, agli strepitosi atti unici - hanno dimostrato, nel dieci anni seguenti la scomparsa, una vitalità forse insospettata, che a riproporti sia il figlio, e degno erede, Luigi, o altri artisti di estrazione diversa.
C'è di più. L'anima di Peppino continua ad abitare nei personaggi come l'immortale Nennillo di Natale in casa Cupiello, che l'Eduardo prebellico aveva modellato sulla misura del fratello. Direttamente o indirettamente i successivi interpreti hanno tenuto conto di questa consonanza tra il ruolo e colui che ad esso per primo diede corpo, gesto, voce. Così, applaudendo Luca De Filippo ed Enzo Salemme. protagonista e antagonista di Non ti pago (ora a Napoli, dopo le trionfali accoglienze di Milano e Roma), il pubblico applaude anche, in qualche modo, Eduardo e Peppino Per effimera che possa essere, l'arte dell'attore di teatro si trasmette di mano in mano, attraverso le generazioni lungo vie in parte misteriose.
Ma aver visto e ascoltato Peppino “dal vivo” (film e registrazioni televisive conservano, di quell'ingegno, solo un pallido riflesso) rimane un'esperienza straordinaria. Nelle sue opere brevi in particolare, come Don Rafèle 'o tmmbone, temi classici e sempre nuovi quali la Fame, la Miseria, la Degradazione umana, incarnati in lui, toccavano i poli estremi di un realismo feroce e di un sublime metafisico. Non per niente, sul finire dei suoi giorni, avrebbe magistralmente impersonato (solo per il piccolo schermo, purtroppo) Il Guardiano di Harold Pinter.

“l'Unità”, 26 gennaio 1990

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