Roma, 1955 - Teatro Le Arti - Peppino De Filippo e Palmiro Togliatti con la figlia adottiva Luisa |
La sera dell'11 novembre
1955, l'allora giovane cronista teatrale dell'Unità, edizione
romana, come da incarico ricevuto, cercò, ma invano il compagno
Togliatti nella sala dell'Eliseo, fra i moltissimi spettatori che
assistevano all'esordio d'una nuova commedia di Eduardo De Filippo,
Bene mio e core mio. Il segretario del Pci avrebbe dovuto
mettersi in contatto urgente col giornale, per una qualche questione
che non era forse nemmeno troppo importante, giacché la cosa tu poi
lasciata cadere. Di sicuro, nelle stesse ore, Togliatti si trovava in
un altro teatro romano, le Arti, dove Peppino, fratello e, all'epoca
rivale accanito di Eduardo, dava una propria commedia, Quelle
giornate, facendone malignamente coincidere la “prima” (si
trattava. del resto, di una ripresa) con quella del più famoso
congiunto.
Abbiamo rammentato un
episodio minimo, una piccola commedia degli equivoci che se nulla
aggiunge (ma chissà) alla biografia del ben noto e tanto discusso
(oggi) dirigente comunista, illumina di scorcio, per un aspetto poco
esplorato, la figura del grande comico napoletano, della cui morte
cade adesso il decennale. Peppino, dunque, invitava Togliatti ai suoi
spettacoli (il caso riferito sopra si sarebbe infatti ripetuto), ma
aveva invitato mesi prima (lo ricordiamo salutare, in tono
emozionato, il “nostro caro Scelba”, seduto nella prima fila) il
presidente del consiglio d'un governo democristiano-socialdemocratico
(vice-presidente Saragat) tra i peggiori del dopoguera, tale da
meritarsi, dalle iniziali dei suoi titolari, magari con polemica
forzatura, l'appellativo di “governo Ss”.
Se nel duplice omaggio si
esprimeva un tradizionale ossequio del teatrante verso i potenti
della politica, sulla linea d una costumanza molto italiana e molto
antica, bisogna comunque ammettere che Peppino De Filippo nel mezzo
di quegli anni Cinquanta, segnati ancora dalla guerra fredda, nel
mondo, e all'interno dal “muro contro muro”, sotto la cappa del
più bieco anticomunismo, forniva la prova di una sagacia e
spregiudicatezza che lo spingevano ad attribuire lo stesso peso,
almeno, al capo del governo e a quello dell'opposizione. E quale
opposizione!
Al fondo, c'era in
Peppino un'ansia di legittimazione culturale e sociale, il desiderio
di essere considerato non solo uomo di scena completo ma anche autore
a pieno titolo (sulla grandezza dell'attore, nessuno aveva mai
nutrito dubbi). Dopo il distacco da Eduardo, nel 1945 (nel decennio
anteguerra Titina, Eduardo e Peppino, uniti, recitavano copioni
propri e altrui, lavorando talora a più mani, pur se la personalità
di Eduardo commediografo si veniva luminosamente imponendo), il
fratello minore si sforzava di gareggiare col maggiore anche sul
terreno della scrittura. Quelle giornate, cui abbiamo fatto
cenno è, a circa un anno di distanza (1945-1946), quasi un ricalco
parodistico di Napoli milionaria (gustosissimo del resto). Nel
contempo, Peppino battezzò provocatoriamente “Compagnia del teatro
italiano” la sua formazione, come a significare un taglio netto con
le comuni radici partenopee. Ma bastava, per rammemorarle un accento,
un giro di frase, quando pure il lessico dialettale fosse tenuto a
distanza. E internazionalmente egli fu consacrato (dopo Eduardo) con
una tournée a Londra, Parigi, Mosca, grazie a uno spettacolo che
elaborava un canovaccio da Commedia dell'Arte, e che recava bene
incisa l'impronta del nostro Sud.
Peppino De Filippo con Liliana Bonfatti in "Non è vero, ma ci credo" (1953) |
I testi di Peppino,
d'altronde, soprattutto quelli tra anteguerra e guerra, non
condizionati dalla “sfida” a Eduardo, anzi stimolati dal felice
sodalizio fra i Tre - dalla Lettera di mammà a Ma c'è
papà a Non è vero ma ci credo, agli strepitosi atti
unici - hanno dimostrato, nel dieci anni seguenti la scomparsa, una
vitalità forse insospettata, che a riproporti sia il figlio, e degno
erede, Luigi, o altri artisti di estrazione diversa.
C'è di più. L'anima di
Peppino continua ad abitare nei personaggi come l'immortale Nennillo
di Natale in casa Cupiello, che l'Eduardo prebellico aveva
modellato sulla misura del fratello. Direttamente o indirettamente i
successivi interpreti hanno tenuto conto di questa consonanza tra il
ruolo e colui che ad esso per primo diede corpo, gesto, voce. Così,
applaudendo Luca De Filippo ed Enzo Salemme. protagonista e
antagonista di Non ti pago (ora a Napoli, dopo le trionfali
accoglienze di Milano e Roma), il pubblico applaude anche, in qualche
modo, Eduardo e Peppino Per effimera che possa essere, l'arte
dell'attore di teatro si trasmette di mano in mano, attraverso le
generazioni lungo vie in parte misteriose.
Ma aver visto e ascoltato
Peppino “dal vivo” (film e registrazioni televisive conservano,
di quell'ingegno, solo un pallido riflesso) rimane un'esperienza
straordinaria. Nelle sue opere brevi in particolare, come Don
Rafèle 'o tmmbone, temi classici e sempre nuovi quali la Fame,
la Miseria, la Degradazione umana, incarnati in lui, toccavano i poli
estremi di un realismo feroce e di un sublime metafisico. Non per
niente, sul finire dei suoi giorni, avrebbe magistralmente
impersonato (solo per il piccolo schermo, purtroppo) Il Guardiano
di Harold Pinter.
“l'Unità”, 26
gennaio 1990
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