Se durante un viaggio in
Sud America o in Uganda ci capitasse di vedere un indigeno che si fa
mordere dalle formiche per purificarsi il sangue e stimolare - come
dicono per esempio gli indios boliviani - il piacere di vivere in
buona salute penseremmo che è gente selvaggia e piena di
superstizioni. Invece hanno ragione loro: un morso di formica al
giorno ti leva il medico di torno.
Grazie a una ricerca che
ha impegnato per cinque anni un gruppo di studiosi dell'Università
di Sydney, in Australia oggi sappiamo per esempio che la terribile
formica detta bulldog toro, bisbetica e grossa quanto una vespa
secerne almeno venti sostanze diverse capaci di sconfiggere miceti e
batteri e quindi molti agenti responsabili di malattie anche umane.
Il problema che ci può
affliggere è come facessero a saperlo i contadini australiani o gli
indios della Guyana o gli ugandesi delle rive del Nilo bianco i quali
si curavano cosi già da parecchi secoli magari con altre formiche
brave anche loro a produrre antibiotici (lo sono tutte, benché usino
formule diverse). Prima o poi dovremo ammettere che la tradizione
popolare ha acquisito col tempo molte verità anche senza servirsi di
quei metodi che noi, giustamente, consideriamo razionali e
scientifici.
Il fatto è che provando
e riprovando oggi con un erba, domani con la cera d'api e poi ancora
dopodomani con la muffa e con qualche altra diavoleria, se uno per
caso azzecca la strada giusta sopravvive, e la insegna agli altri.
Quello che ha sbagliato è facile che vada invece al Creatore e del
suo rimedio non se ne fa più nulla. Le formiche, evidentemente,
avevano dato buoni risultati.
Infatti nelle antiche
ricette si trovano infusi impacchi, distillati vapori puree
macerazioni e spesso anche morsi di formica suggeriti come cura. Nel
famoso Tesoro degli Arcani Farmacologici scritto da un
religioso bergamasco nel XV secolo, frate Felice, si consiglia una
certa Acqua di Magnanimità, ossia un vino medicato con estratto di
formiche e addolcito con miele. Massimiliano d'Asburgo ne beveva
sempre un bicchiere quando gli toccava andare in battaglia e
mostrarsi coraggioso. Poi, nel 1670 lo studioso tedesco Fischer
scoprì che la formica ruta produce l'acido formico, che non è solo
disinfettante, ma ha molte altre virtù. Lo elaborano anche certe
piante come le ortiche ed è presente negli aghi d'abete.
Nel secoli passati si
conoscevano motte sostanze fabbricate dagli insetti per esempio la
pericolosa cantaridina (isolata da Robiquel nel 1810) che si era
fatta una fama come afrodisiaco. Qualcuno ricorderà che un tale un
paio di anni fa, si è lasciato convincere a prendere polvere di
cantaride per passare una “notte brava” ed è motto tra atroci
dolori. Applicata sulla cute, e con cautela, sembra invece che la
sostanza sia utile in caso di perdita dei capelli. Nella farmacopea
dell’antica Cina esistevano molti medicamenti costituiti in parte
da insetti essiccati e polverizzati, oggi esposti in preziose
bottigliette nel Museo di Storia naturale di Pechino.
La medicina popolare,
campagnola ha sempre usato il veleno delle api contro i reumatismi,
la seta con cui il ragno fabbricala sacca delle uova come emostatico
e il povero odiato pidocchio per bocca, come cura nelle epatiti acute
e croniche. Secondo studi recentissimi il pidocchio, o meglio la
modificazione dell'emoglobina umana compiuta dal pidocchio, che si
nutre di sangue, stimolerebbe gli interferoni capaci di inibire la
moltiplicazione dei virus all'interno delle cellule Ma siamo ancora
all'abbicì di questa ricerca.
I gentiluomini del
Settecento mettevano dentro le loro tabacchiere polvere di Aroma
moschata, un coleottero verde con lunghe coma, deliziosa mente
profumato, per migliorare il gusto del tabacco Oggi sappiamo che
l’Aroma produce sostanze capaci di combattere molti batteri,
e sicuramente quei nobili signori fiutando il loro tabacco
aromatizzato si difendevano anche dai germi del raffreddore e del mal
di gola.
In realtà la scienza non
sa ancora un granché di queste sostanze animali, ne conosce
pochissime e neppure troppo bene. Facciamo un ipotesi, immaginiamo
che i misteri della biologia molecolare siano riuniti in cento
volumi, grandi ognuno come un comune dizionario. No, non sono troppi.
La biologia molecolare fonde insieme due scienze la biochimica, che
studia le sostanze costitutive degli organismi viventi e le loro
complesse interrelazioni e la biofisica che studia le forze fisiche e
i fenomeni implicati nei processi biologici. Anzi, è probabile che
cento volumi non bastino
Finora l'uomo ha
decifrato poche frasi qua e là e non è riuscito neppure a capire
l'indice che gli darebbe almeno un'idea del piano dell'opera. Ogni
tanto, come in un rebus, qualcuno afferra una parola. Ma come in un
rebus le parole isolate non bastano. Ed ecco che gli studiosi della
facoltà di Scienze biologiche di Sydney, diretti dal professor
Andrew Beattie, hanno decodificato qualche altra frase. Il capitolo
nel quale sono andati a frugare non era proprio un campo vergine.
Diciamo che è demivierge:
sono almeno cinquant'anni che naturalisti e ncercatori
curiosi, con l'aiuto di nuovi e sofisticati mezzi come il microscopio
elettronico, stanno indagando sui misteri dell'ultrastruttura e della
biochimica cellulare, e cercano di apprendere qualcosa di più sulle
innumerevoli sostanze prodotte dagli invertebrati,
Nel 1947 lo studioso
Mario Pavan, oggi direttore dell Istituto di entomologia dell
Università di Pavia, aveva trovalo una sostanza chimica nuova per la
scienza nella termica argentina, la piccola e insopportabile
Iridomyrmex humilis che invade sempre le nostre case Si
trattava del primo antibiotico e insetticida di origine animale, e fu
battezzato iridomirmecina. Non ha nulla a che vedere con
l'acido formico, che la Indomyrmex non produce. Pavan e Nascimbene si
accolsero che l'estratto mostrava una notevole attività
antibatterica verso numerose specie di microbi come quelli del tifo,
paratifo, carbonchio, melitense, colera e tubercolosi, ma soprattutto
era efficacissimo come insetticida.
La struttura completa
della indomirmecina venne poi pubblicata nel 1955 e in pochi anni
centinaia di specie di insetti e di altri artropodi cominciarono a
essere studiate inn Italia e all'estero Valcuroni e Vita Finsi
recensirono verso la metà degli anni Settanta circa 500 lavori di
biòlogi che si erano dedicati a questa ricerca, e oggi sappiamo che
le sostanze nuove, oltre agli iridoidi (simili all'iridomirmecina),
sono moltissime.
Negli stesti anni Pavan
aveva studiato la secrezione delle formiche della specie Dendrolasius
fuliginosus che nella cavità degli alberi fabbrica grandi nidi
scuri con centinaia di cunicoli e «stanzette». La sostanza, detta
poi dendrolasina, serve probabilmente alle formiche per
difendere e disinfettare le loro case. Là dentro intatti non si
formano mai le muffe, nonostante l'umidità e l'ambiente favorevole,
e nessun seme o spora può germogliare, perché le formiche sanno
come bloccarne l'attività. Perfino le aggressive formiche
razziatrici di schiave (tra le formiche lo schiavismo esiste ancora)
scansano quel fortilizi con molta cura. Se per caso un operaia di
altra specie dovesse venire contaminata con quel «profumo», al
ritorno in patria verrebbe assalita dalle consorelle, che non la
riconoscerebbero più come una di loro. In pratica, l’odore
estraneo fungerebbe come una divisa da soldato nemico». Bisogna
ammettere che le formiche ci battono sempre: una guerra così
diabolica non l'avevamo ancora pensata. Allora perché non usare
anche noi questi insetticidi, che non sono affatto tossici per gli
animali a sangue caldo?
Quello delle sostanze
prodotte da invertebrati di terra e di mare è un campo sterminate ed
A un lavoro al quale un gterane ricercatore potrebbe dedicarsi con
successo. Tutto è nuovo, e tutto è possibile, specialmente con I
mezzi che la tecnica oggi ha a disposizione.
Pochi sanno, per esempio,
che due ospedali del nord Italia (l'ospedale Maggiore di Novara e
Arciospedale di Reggio Emilia) usano già una sostanza ricavata da un
insetto per guarire piaghe resistenti a qualunque trattamento. Si
tratta di un «veleno, capace di provocare dermatiti con necrosi che
può Invece - se utilizzato in dosi inferiori al milionesimo di
grammo - guarire anche grandi ulcere persistenti da anni, Su questa
linea stanno lavorando gruppi di scienziati in Giappone, Inghilterra
e Usa. Ma per il momento la sostanza - chiamata pedenna dal Paederus
fuscipes, un coleottero
che la produce - non si può ancora riprodurre in laboratorio. In
natura, dicevano gli antichi, c’è proprio tutto. Basterebbe
cercarlo.
“l'Unità”, 3
febbraio 1989
Nessun commento:
Posta un commento