Riprendo uno stralcio da
un articolo di poco più di un anno fa, da “Repubblica”. Informa
su temi di cui quasi mai si parla, poco presenti perfino nelle marce
della pace. La situazione dovrebbe essere peggiorata. Di sicuro non è
migliorata. (S.L.L.)
Un borbandiere F-16 |
Il piano del presidente
Trump è una chiamata alle armi nucleari che coinvolge direttamente
anche l'Italia. In più passaggi del documento elaborato dal
Pentagono si sottolinea l'importanza del contributo Nato sul fronte
della deterrenza atomica. C'è in particolare il riferimento agli
«aerei a doppio ruolo degli alleati» che nel nostro Paese ha un
significato chiarissimo: sono i cacciabombardieri dell'Aeronautica
che in caso di conflitto possono ricevere gli ordigni atomici
custoditi in Italia dagli americani.
Nella Penisola l'eredità
della Guerra Fredda non è mai scomparsa. Ci sono almeno 70 bombe
"tattiche": non sono nate per l'apocalisse totale sulle
città, quella sintetizzata con l'acronimo inglese M.A.D. (Pazzo) che
stava per "Distruzione Mutua Assicurata", ma servono per
colpire obiettivi militari come comandi e colonne di mezzi. Lo stesso
impiego che oggi la Casa Bianca vuole potenziare per tenere a bada la
minaccia russa, cinese e nordcoreana.
Gli arsenali nucleari in
Italia sono due. Uno si trova ad Aviano, nella base statunitense: una
cinquantina di ordigni pronti per decollare con i caccia F-16 del
510th Fighter Squadron "Buzzards" (Poiane). Sono rapaci
supersonici che hanno un emblema fin troppo esplicito: il simbolo
dell'atomo che getta fulmini sul globo terrestre.
L'altro deposito è nel
perimetro dell'aeroporto di Ghedi, a pochi chilometri da Brescia. Si
tratta di una ventina di bombe, chiuse in una fortezza sotterranea e
interamente nelle mani di un reparto americano ma destinate ai caccia
Tornado del Sesto Stormo della nostra aviazione. Da sempre gli
accordi che regolano l'uso di queste armi sono top secret. Nel 2005,
quando la Guerra Fredda sembrava sepolta nei libri di storia, l'ex
capo dello Stato Francesco Cossiga disse che nell'eventualità di un
attacco nucleare il nostro stormo avrebbe dovuto condurre una
rappresaglia colpendo Praga e Budapest: la potenza di una sola
testata sarebbe stata sufficiente a raderle al suolo. [...]
Oggi i piloti
dell'Aeronautica continuano ad addestrarsi per queste operazioni. E
la scorta di bombe sta venendo potenziata, anche per permetterne
l'imbarco sui nuovi F-35, quelli italiani che sostituiranno i Tornado
a Ghedi e quelli americani che prenderanno il posto degli F-16 ad
Aviano. È un punto su cui insiste il piano del Pentagono,
sottolineando l'importanza del binomio tra caccia "invisibili ai
radar" e il modello innovativo di bombe tattiche. Trump chiede
infatti «agli alleati Nato di impegnarsi nell'ammodernamento dei
loro sistemi militari» , ai quali gli Usa «metteranno a
disposizione le armi atomiche schierate in Europa». E conclude:
«Queste forze forniscono un legame politico e militare essenziale
tra Stati Uniti ed Europa e sono la garanzia suprema per la sicurezza
dell'Alleanza» .
D'altronde l'epopea delle
armi nucleari "tattiche" americane che oggi la Casa Bianca
vuole rivitalizzare è sempre stata legata al nostro Paese. La Nato
aveva il problema di fermare l'ondata di tank sovietici sulla soglia
di Gorizia, il lato meridionale della Cortina di Ferro. Negli anni
Sessanta vennero piazzate in Veneto le testate nucleari più piccole
mai concepite. C'erano i razzi Davy Crockett, con una atomica che si
poteva tenere in braccio e veniva sparata persino dalle jeep. A una
distanza compresa tra due e quattro chilometri provocava un fungo di
mezzo chilotone: pure chi l'usava era esposto alle radiazioni. Di
uguale potenza gli zaini atomici, gli oggetti più simili alle "
valigette dell'apocalisse" protagoniste di tanti film d'azione,
che sarebbero serviti per minare i valichi del Brennero e delle Alpi
Carniche.
L'intero campionario di
micro-atomiche era presente nei bunker tra Verona e Vicenza: ogive da
due e da dieci chilotoni per i missili antiaerei Nike, per i cannoni
a lungo raggio e per i missili Honest John trasportati su normali
camion. Poi dai primi anni Ottanta si preferirono i missili Lance su
semoventi cingolati. Con il dissolvimento dell'Urss sono finiti tutti
nei musei, simbolo di una stagione di terrore che si sperava
dimenticata e che invece rischia di tornare attuale.
“la Repubblica”, 17
gennaio 2018
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