L’opera più celebre,
sebbene poi rinnegata dall’autore stesso, di François-Augustin de
Paradis de Moncrif, è una Histoire de Chats, pubblicata nel
1727, in difesa del gatto domestico; un testo con intenti assai
probabilmente satirici che tuttavia non fu accolto positivamente da
tutti, se è vero che il giorno in cui il Moncrif venne ammesso a far
parte della prestigiosa Académie française, un povero e
ignaro micio fu gettato nella sala della paludata istituzione, e se è
vero che Voltaire intinse per l’ennesima volta la sua penna nel
vetriolo per bollare la sciocchezza dello scritto dedicato ai felini.
Vissuto fra il 1687 e il 1770, il parigino Moncrif, poeta, musicista
e attore, fu assai protetto e apprezzato negli ambienti della corte e
della nobiltà, fino a diventare segretario generale delle Poste.
Egli rappresenta bene il modello dell’uomo settecentesco brillante
e ricco di qualità, assai ricercato per la sua avvedutezza e le
maniere cortesi. Testimonianza eloquente di tale personalità e di
uno stile di vita che antepone l’etichetta all’etica sono gli
Essais sur la Necessité et sur les Moyens de Plaire, del
1738, noti come L’arte di piacere
(Medusa, 2009), una sorta di summa a uso di coloro che
vogliono riscuotere l’altrui benevolenza e simpatia. Si tratta di
un libretto che rispecchia alla perfezione lo spirito di un’Europa
che, pur incubando i germi di profondi mutamenti culturali e
politici, si presenta particolarmente attenta alla moda, alla
frivolezza, alla galanteria; un’Europa che ama moltissimo
frequentare salotti e alcove. Certo, come è stato più volte notato,
a ben guardare a quella società apparentemente superficiale e
ipocrita non furono estranei problemi e tensioni; tuttavia, essa
sembrò preferire la levità e persino la banalità alla profondità
dei drammi esistenziali. In fatto di buona creanza, Moncrif è un
vero maestro: dispensa consigli preziosi per andare incontro alle
attese e ai desideri dei propri simili e per farsi ben volere,
convinto che, nell’impossibilità di realizzare i grandi valori
dell’amore e della fraternità, sia opportuno almeno far trionfare
la buona educazione e la gentilezza.
Egli considera l’uomo
amabile e cortese preferibile a quello aggressivo e scontroso e
giudica il garbo migliore della maleducazione. Lontano dai rigori
della morale giansenista che un secolo prima aveva trovato in Pascal
un eccelso interprete, non presago degli orrori che poco dopo la sua
morte insanguineranno la Francia rivoluzionaria, Moncrif ci consegna
un libriccino che è una piccola arma contro le non poche cadute di
stile che caratterizzano il nostro modo di vivere e convivere.
Avvenire 21 gennaio 2010
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