16.2.19

Pastori antichi, pastori di oggi. Le fonti popolari della poesia bucolica (Armando Torno)


La poesia bucolica ebbe come padre il poeta siracusano Teocrito. Antiche fonti confermano, ricordando comunque che il genere pastorale fu una creazione dorica legata al canto popolare. Il leggendario mandriano Dafni, per esempio, nasce prima dell’opera teocritea e compare in un altro siciliano, Stesicoro, vissuto tra il VII e il VI secolo avanti la nostra era. Di certo possiamo ripetere quanto sostenne Anthony W. Bulloch nel primo volume di The Cambridge History ofClassical Literature (1985): «Teocrito costituì la base di ogni successiva impresa poetica di carattere pastorale». In che misura, poi, fosse debitore di predecessori, «nessuno oggi è in grado di stabilirlo».
Il genere bucolico, tradizionalmente inteso come artificio letterario, a volte interpretato in chiave simbolica (rifugio campestre) o addirittura accostato alla filosofia di Epicuro, trova in Teocrito - sottolinea Bulloch - «un maestro dell’illusione sempre ricreata». Già, le illusioni. Nei versi che dedica all’amore si avverte la sua confidenza con esse: si pensi all’idillio conosciuto con il titolo di Tirsi, dove Dafni invoca Pan proferendo: «Ah, sono preda di Eros, nel gorgo del Nulla». L’illusione si tocca con i sogni, diventando una forza che alimenta la poesia; crea il senso del tempo e degli spazi, invitando con suadenza il lettore a fame parte.
Sappiamo che Teocrito lasciò Siracusa per trasferirsi ad Alessandria d’Egitto poco dopo il 275-4 a. C. Qui conobbe Callimaco e gli esponenti della cultura che gravitavano intorno alla corte. E qui divenne il poeta che lasciò impronta indelebile nel genere pastorale, recando lo spirito della propria terra.
Ora un saggio di Emanuele Lelli, pubblicato dalla tedesca Olms (trovabile su Amazon o in una libreria di Londra o Berlino), dal titolo Pastori antichi e moderni, studia attraverso il grande siracusano le origini popolari della poesia bucolica. La tesi sostenuta merita attenzione: Teocrito si avvalse di tradizioni, già antiche al suo tempo, comuni al meridione d’Italia. Sia il poeta accolto ad Alessandria, sia il folklore del nostro Sud (qualcuno parlerebbe di demoetnoantropologia, ma il termine è cacofonico) hanno comuni radici nell’antica dimensione agro-pastorale greca. Esse si possono ritrovare in credenze e superstizioni, proverbi, canti, leggende o favole, persino nella medicina popolare praticata con le erbe. Molto di questo si avverte anche nei lirici arcaici e nella tragedia: lì pulsano storie primitive che Lelli ha ritrovato conversando con un allevatore del Salento o un agricoltore di Cos, con campagnoli siciliani o calabresi d’oggi. È tornato nella Magna Grecia seguendo voci di contemporanei e, grazie a essi, ha riletto in termini folklorici alcuni idilli di Teocrito.
Qualcuno dira che dopo Lévi-Strauss non si dovrebbe più usare il termine “primitivo”: andrebbe sostituito con società semplice o qualcosa del genere. Il problema è che Lelli ha scoperto il sito vivente delle emozioni bucoliche, tra lacerti greci e versi di Teocrito. Ha anche trovato tracce di queste “primitività” parlando con pescatori e contadini e poi traducendo, con Giuliano Pisani, i Moralia di Plutarco, soprattutto in quell’opera che tratta dell’intelligenza degli animali. Tali affinità convivono nella cultura popolare che ne ha trattenuti i valori e in quella del colto sacerdote del tempio di Delfi che noi conosciamo come Plutarco. Il medesimo che ha riassunto lo spirito greco e romano scrivendo le Vite e che ha lasciato una summa di etica pagana: i Moralia, appunto.

“Il Sole 24 Ore” Domenica 5 agosto 2018

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