«Una casa nostra, dei
mobili nostri, una nostra biblioteca, un lavoro sistematico e
tranquillo, le passeggiate assieme, di tanto in tanto l’opera, una
ristretta cerchia di amici da invitare ogni tanto a cena, ogni anno
un mese di vacanze d’estate, in campagna, senza ombra di lavoro!...
E forse anche un piccolo, un bambino? Non mi sarà mai concesso?
Mai?».
Chi scrive queste righe
in una lettera all’uomo amato? Vedo già il settario oggi alla moda
storcere il naso innanzi a una simile effusione «piccolo-borghese»,
come egli direbbe. Eppure, a scrivere queste righe è una tra le
maggiori, se non la maggiore rivoluzionaria del nostro secolo, Rosa
Luxemburg, e non negli anni sognanti della adolescenza, ma il giorno
dopo aver compiuto i ventinove anni, quando già da tempo si è fatta
conoscere per i suoi articoli sulla situazione polacca, e anzi è
già, da qualche mese, redattore capo di uno dei più importanti
organi di stampa della socialdemocrazia tedesca, la Sachsische
Arbeiterzeitung di Dresda.
Bene ha fatto Lelio
Basso, profondo conoscitore ed estimatore del pensiero e dell’azione
di Rosa Luxemburg, dovendo operare una scelta nel ricchissimo
carteggio tra Rosa e Leo Jogiches, un militante e dirigente
socialista polacco da lei amato, a concentrare l’attenzione su
quelle tra le lettere dalle quali meglio risultasse il profilo
«umano» della grande rivoluzionaria. Basso non si perita di
scrivere, nella prefazione all’edizione italiana (e noi siamo
totalmente d’accordo con lui): «Al fondo della personalità di
Rosa Luxemburg, al fondo anche del suo intransigente impegno
rivoluzionario, c’è un bisogno infinito di amare, di amare la vita
e di amarla in tutte le creature. Nonostante tutte le esegesi
“scientifiche”, credo che alla radice di molte scelte
rivoluzionarie, anche dei più grandi rivoluzionari, al fondo di
tante ribellioni giovanili che poi influenzano tutta una vita, ci sia
un sentimento di profonda rivolta contro le sofferenze, le iniquità,
la miseria e un sentimento di amore per chi ne è la vittima». E
cita, tra l’altro, Basso, un’espressione di Rosa, ancora nel
febbraio 1917, dopo le vicissitudini che le avevano fatto conoscere
sia il ruolo di dirigente del movimento operaio, sia quello di
perseguitata, imprigionata, oppressa: «Io mi sento di casa in tutto
il mondo, ovunque siano nuvole e uccelli e lacrime umane ». Ed è
proprio, argomenta Basso, «questo amore immenso per gli uomini, per
la natura, per la vita nelle sue molteplici manifestazioni» che
«così come le darà una forza straordinaria per sopportare le
condizioni più avverse, le dà in pari tempo un grande desiderio di
gioire, di godere in pienezza di gioia le ricchezze della vita, di
ristabilire sempre un equilibrio fra sé e l’ambiente di vita, fra
il mondo interno e il mondo esterno ».
In tal modo, anche se
l’edizione italiana delle Lettere a Leo Jogiches (Milano,
Feltrinelli 1973) contiene solo una parte delle 891 tra lettere e
cartoline pubblicate dal curatore polacco, Feliks Tych, essa non solo
non ci appare monca, ma contribuisce a mettere a fuoco — al pari e
più delle migliori biografie — il nocciolo vitale della
personalità di Rosa quale emerge nel lungo arco di vita che va dai
suoi ventiquattro anni (1894), sino al 1905 (poche sono infatti le
lettere successive a questa data).
Questa eccezionale
vitalità è testimoniata in pieno dal carteggio: la piena dei
sentimenti non solo non impedisce a Rosa di impegnarsi a fondo nel
movimento rivoluzionario, ma sembra, al contrario, sollecitarla a
dare tutto di sé. Si vedano, a questo proposito, le lettere del 1894
e 1895 da Parigi, ove Rosa si era recata per dar vita a un periodico
destinato a sostenere la causa operaia polacca. È tutto un fervore
di lavoro, di domande, di revisione e di controllo degli articoli; e
nel frattempo Rosa produce, spesso con la collaborazione di Jogiches,
volantini ed opuscoli, incontra gente, si occupa della tipografia,
della spedizione, persino dell'imballaggio, tiene conferenze. E ben
presto comincerà a collaborare alla prestigiosa Neue Zeit,
mentre prepara la sua tesi di laurea su Lo sviluppo industriale
della Polonia.
Una seconda serie di
lettere ha inizio dal maggio 1898. Rosa si è trasferita in Germania,
Leo Jogiches è rimasto a Zurigo. Con uno stratagemma (un matrimonio
in bianco) ella ha assunto la cittadinanza tedesca: una scelta che
risulterà decisiva per la sua vita, e che le permetterà di militare
(e di emergere) in quello che era allora il maggior partito
socialista della Seconda Internazionale. Sorprende, sin dalle prime
lettere di questo periodo, la sicurezza della giovane donna, che non
si perita di tener testa, sulla questione polacca sulla quale —
come scrive — era «meglio informata» di loro, ai massimi
dirigenti del partito tedesco che allora — aggiunge — ritenevano
che «non si può fare agli operai polacchi della Slesia altro che
germanizzarli». Rosa sa bene quello che vuole («Preferirei "agire”
all’inizio su un palcoscenico più in vista — a Berlino — e non
in qualche buco dell’Alta Slesia»), ed ha piena coscienza del
proprio valore («a Bebel non scriverò nulla, è superfluo: mi
conoscerà dai fatti»); ma sa essere anche una militante («A
proposito del mio lavoro, ieri per tutta la giornata, dalle otto del
mattino fino alle 8 di sera, abbiamo girato la zona di Wolny per
distribuire volantini e schede elettorali. Questo genere di lavoro a
te può sembrare umiliante, come sembrava a me quando ero a Berlino,
e perciò ero tanto scontenta di dover andare in Alta Slesia. Qui
però sono arrivata alla conclusione opposta: un lavoro di questo
tipo mi onora...»).
È con questo spirito che
affronterà, nei mesi successivi, il non facile compito di affrontare
direttamente il revisionismo di Bernstein, in una serie di articoli
che saranno alla base del suo opuscolo Riforma sociale o
rivoluzione? e che le conquisteranno la stima di Mehring e di
altri esponenti del partito. Cosi, in pochissimi mesi, la giovane
donna polacca esule a Zurigo si inserirà tra i quadri politici e
teorici del grande movimento operaio tedesco: al quale sarà fedele
sino alla morte.
Questi pochi esempi e
commenti si limitano a dare un’idea, anche se pallida, dello
straordinario interesse di questa scelta di lettere; che certo
contribuirà a meglio far conoscere la grande rivoluzionaria
polacco-tedesca e a chiarire, in modo diretto e indiretto, perché
Rosa Luxemburg diverrà comunista e come tale sarà assassinata dalla
reazione.
“l'Unità”, sabato 16
febbraio 1974
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