18.2.19

“Mi interesso alle terre di nessuno”. La Domus Aurea e gli artisti rinascimentali. Parla Nicole Dacos (Franco Miracco 1986)


Una vecchia, poco nota e bellissima intervista a una grande storica dell'arte, dal “manifesto”, quotidiano comunista. Il ritaglio è senza data, ma l'anno è certamente il 1986. (S.L.L.)

Nicole Dacos (Bruxelles 1939 - Roma 2014)
Studiando l'affascinante vortice di osservazioni critiche, di dati, di idee, raccolte da Ernst H. Gombrich in Il senso dell’ordine (Einaudi) succede di leggere il nome della studiosa Nicole Dacos. Il grande storico dell’arte parlando della grottesca dice:«È ben noto che la fonte più ricca di tali motivi si trovava nelle stanze e nei corridoi della cosiddetta Domus Aurea di Nerone, tanto profondamente seppelliti nel terreno da esser noti come le grotte. Il diffondersi della grottesca può essere seguito quasi passo per passo, e così è stato di fatto seguito in uno studio ammirevole di Nicole Dacos». In una nota Gombrich ripete: «Ho seguito da vicino Dacos».
Decorazione della Domus Aurea neroniana
L’occasione dei lavori di restauro in corso alla Domus Aurea ci ha riportato alla grottesca, a quel «motivo mostruoso o buffo», ma soprattutto a quel nome di storico dell’arte capace di studiare un argomento «passo per passo». Così siamo arrivati a Nicole Dacos.
«La mia prima laurea — dice la Dacos — è in filologia classica, ma già mentre ero impegnata in quel genere di studi sentivo di essere attratta verso altro, insomma verso la storia dell’arte, l’archeologia. Però, dal momento che ero partita dalla filologia era necessario, prima di ogni altra scelta, chiudere quel capitolo. Dopo, cioè dopo questa formazione molto accademica, ho sentito l’urgenza di rivolgermi a cose profondamente diverse. Avendo letto i libri di Ranuccio Bianchi Bandinelli, fui spinta a lasciare il Belgio e a venire in Italia per seguire i corsi, i seminari, tenuti da questo grande archeologo».
Ad un certo punto della nostra lunga conversazione è stato fatto il nome di Marguerite Yourcenar, un’altra donna partita da Bruxelles, un’altra infanzia fiamminga. Spesso nelle pagine della scrittrice troviamo indicato il momento in cui avvengono strani miscugli, quelli che poi consentono che dalla semplice conoscenza si passi all’immaginazione, dall’archivio al romanzo. L’arida filologia certamente non ha mai chiuso nessun argomento per la Yourcenar, meravigliosa indagatrice di storia e di archeologia. Le sculture, quanto ora noi chiamiamo in questo modo, hanno veramente conosciuto una lunga «avventura» che provoca la scrittrice.
Gli elementi naturali o gli uomini le hanno consunte, mutilate, sfigurate. Osservando ciò che è rimasto «intimamente unito all’avventura» di una statua, non si può che dire: «Ogni sua ferita ci aiuta a ricostruire un crimine e a volte a risalire alle sue cause». Così, nell’archeologia e nell’andar per favole, la scrittrice riafferra la storia.
Dunque risalire l’avventura e per imparare a far questo la giovane Dacos da Bruxelles va a Roma.
«Con Bianchi Bandinelli ho imparato il valore di un metodo basato sulla attenta lettura delle opere, mai disgiunta però dalla conoscenza di altre e diverse discipline: artistiche, letterarie, filosofiche, storiche, sociologiche».
La giovane studiosa belga segue le lezioni di Bianchi Bandinelli perché lì trovano conferma i suoi sospetti contro la filologia. E assieme alla Dacos torniamo per un momento al fascino e alle parole di una di quelle lezioni: «Occorre dunque ripetere ciò che abbiamo detto già molte volte. Forse lo abbiamo detto con poca chiarezza o con non sufficiente determinanzione. Forse è vero quello che diceva un vecchio scrittore — Gide, mi pare — che bisogna ripetere sempre le stesse cose, perché nessuno sta ad ascoltare — gli archeologi e i filologi classici meno che mai. E forse proprio nel campo specifico della cultura classica, tra filologi e archeologi, vi è una particolare ottusità e diffidenza verso i problemi generali e un particolare distacco dalla cultura viva: ma ciò è imputabile non alla scienza che essi professano, bensì soltanto a chi la rappresenta. Occorre dunque ripetere che anche negli studi di antichità bisogna distinguere i due momenti, le due istanze: l’una specifica, tecnica; e l’altra universale, formativa, culturale; e che i due morpenti vanno, sì tenuti distinti; ma che il secondo deve rimanere presente alla mente dello studioso quale fine ultimo e scopo sostanziale della indagine specifica: altrimenti viene a mancare, come tante volte è accaduto, la capacità, e la possibilità addirittura, di distinguere tra problemi veri e problemi fittizi.
Sarebbe come se, nella trama di un racconto poliziesco, ci si perdesse nella raccolta dei dati e degli indizi e si dimenticasse che lo scopo finale è la scoperta dell’autore del delitto».
Nicole Dacos nasce, in quanto studiosa, dall’accettazione proprio di questo passaggio, identico sia per la Yourcenar, scrittrice-archeologa, che per Bianchi Bandinelli, archeologo colto, la scoperta dell’autore del delitto.
E dopo Ranuccio Bianchi Bandinelli?
«Cerco di orientarmi sempre più verso la storia dell’arte e allora inizio a occuparmi della Domus Aurea. Entro cioè in quel mondo sotterraneo frequentato molto attentamente da Pinturicchio, Signorelli, Aspertini, Giovanni da Udine, e poi ancora da tanti altri pittori europei durante il Cinquecento. Per questo motivo, a quel punto, mi avvicino a Roberto Longhi.
Se con Bianchi Bandinelli ho avuto un rapporto molto amichevole, quasi familiare, andare da Longhi invece era una specie di esame. Mi faceva una grande impressione. Ma da Longhi ho imparato la vera storia dell’arte, quella senza chiacchiere».
La storia dell’arte senza chiacchiere, intanto, si stava trasferendo nelle prime pubblicazioni, dava impulso a nuovi studi. “Ma venendo comunque da una formazione di filoioga classica — dice Dacos — sentivo il desiderio di fare alcune verifiche, di appronfondire gli elementi dei miei studi. Così sono andata all’istituto Warburg di Londra. Lì ho portato le mie ricerche sulla Domus Aurea».
Siamo dunque giunti nel tempio Warburg, nel mitico luogo. Qual è il suo giudizio su Warburg?
«Fu un grande stimolatore e una persona molto affascinante. Ma era un dilettante, dotato però di una grandissima cultura, soprattutto di tipo filologico. Oggi mi pare che in certi ambienti ci sia un eccessivo entusiasmo verso questo studioso. Chi volesse imitare Warburg correrebbe seri rischi nel caso non possedesse la sua notevole cultura filologica. Senza la cultura di Warburg c’è il pericolo di scrivere saggi da salotto, perché il limite che vedo in questo complesso personaggio è dovuto al negativo di un’erudizione che non porta a nulla. Insomma: è il caso di un’erudizione scollegata dalla storia. D’altra parte lo stesso Gombrich ha avuto più di una difficoltà nel sistemare il pianeta Warburg».
Da quel pianeta però, da Aby Warburg (1866-1929), dai suoi studi iconologici e mitologici, dalla sua astrologia, sono usciti interrogativi come il seguente che pur devono avere interessato Nicole Dacos: «Ecco il problema: che cosa significa l’influsso degli antichi per la civiltà artistica del primo Ri-nascimento?» O non era questa la domanda di fronte agli affreschi della Domus Aurea dipinti dai pittori di Nerone?
Nicole Dacos è anche l’autrice di libri come Le Logge di Raffaello, maestro e bottega di fronte all’antico (indagando sulla decorazione delle logge del Vaticano la studiosa scopre quali sono stati gli allievi di Raffaello che vi hanno lavorato; scopre che Giorgio Vasari ha scritto il vero dicendo che non furono solo otto gli autori raffaelleschi; dà un nome anche agli anonimi, che allinea accanto a Giovanni da Udine, Giulio Romano, Gianfrancesco Penni, Perin Del Vaga, Polidoro da Caravaggio). Altri suoi studi: i pittori romanisti, i rapporti artistici tra i Paesi Bassi e l’Italia durante il Rinascimento.
Ma quali e quanti furono gli artisti che si calarono nelle grotte della Domus Aurea?
«A partire dagli anni Ottanta del XV secolo e per quasi tutto il Cinquecento non c’è artista importante che non conosca le pitture della Domus Aurea. Parlo dei pittori che realizzarono la Cappella Sistina prima di Michelangelo, cioè di quelli attorno al Perugino. Dopo ci sono i raffaelleschi, e dopo ancora i pittori fiamminghi che giungono a Roma, come Heemskerck o Hermannus Posthumus. E fino al 1540 si scende nella Domus Aurea per copiare. Si deve sapere che prima di allora gli artisti non conoscevano la pittura, i colori, dell’antico. Nel vedere tutte quelle frivolezze, quelle stranezze, gli artisti del tardo Quattrocento e del Cinquecento, trovano la prova di un’antichità libera, ricca di spunti anticlassici. Per loro le grottesche della Domus Aurea sono l’universo della fantasia, il libro dell’inconscio. Quel luogo ha avuto il compito di stimolare la fantasia. È un rifugio nell’immaginario per chi possedeva già un grande bagaglio di conoscenze classiche, diciamo di tipo vetruviano».
Orazio e Vitruvio, ci ricorda Dacos, non amano le follie, le frivolezze. Nelle parole di Orazio la condanna di ciò che invece è proprio la pittura della Domus Aurea: «Se un pittore scegliesse di aggiungere un collo di cavallo a una testa umana e di far crescere piume multicolori ovunque su un miscuglio di membra, così che quanto in cima è una bella donna finisca in basso in un brutto pesce oscuro - amici, a questa vista, cercate di non ridere. Pittori e poeti hanno sempre il privilegio di osare qualsiasi cosa... ma non fino al punto di unire il dolce al selvaggio, o che i serpenti si ac-coppiino con gli uccelli, gli agnelli con le tigri». Esattamente ciò, che a loro modo, fecero Pinturicchio, Ghirlandaio, Giovanni da Udine, ecc.
«Attenzione però — avverte Dacos — copiano ma si apprestano a inventare altro. Sono stimoli per discorsi assolutamente nuovi».
Nicole Dacos, che per anni è vissuta nei sotterranei della Domus Aurea, dopo avere scovato tutte le firme graffite dagli artisti su quelle superfici, ora davanti a noi in condizioni di estremo degrado, frugando in archivi, biblioteche, musei, collezioni pubbliche e private, ha individuato ciò che quegli artisti disegnarono o dipinsero a partire dagli affreschi della Domus Aurea.
Dunque, ogni volta, è avvenuta «la scoperta dell’autore del delitto». È come se Amico Aspertini (1475-1552) o il Pinturicchio fossero stati colti «con le mani nel sacco» e qualcuno li avesse riportati nella casa di Nerone e sottoposti all’evidenza che tutte le loro invenzioni, le loro grottesche, soltanto in quel luogo avevano avuto origine.
E Nicole Dacos ha avuto anche l’immensa gioia di scoprire un quadro che fotografa la scena del delitto, cioè il momento in cui alcuni pittori con delle torce in mano stanno per calarsi nelle grotte della Domus Aurea. In una di quelle, nella grotta nera per l’esattezza, alcuni anni fa Dacos decifra diverse firme graffite sulla volta. Appartengono a quei pittori provenienti dai Paesi Bassi e attivi a Roma attorno al 1536. I graffiti sono la testimonianza del passaggio nella Domus Aurea di Martin van Heemskerck, Lamberto d’Amsterdam, Herman Postma. Ed è il nome latinizzato di quest’ultimo, cioè di Hermannus Posthumus, che Dacos legge a firma di un quadro, solo un paio d’anni fa apparso misteriosamente nelle collezioni del principe di Liechtenstein.
L’opera rappresenta una fantasia archeologica sul tema «Il tempo divoratore delle cose» e ciò che colpisce di questo fantastico paesaggio, molto moderno per l’epoca in cui fu dipinto (1536), è la presenza di un universo di frammenti archeologici, di sculture e architetture, teste colossali, rovine di templi, capitelli, urne, anfore, ma soprattutto ad emozionarci è la visione di alcuni artisti, che studiano e prendono le misure di quelle reliquie dell’antico o che si apprestano a discendere nella Domus Aurea per copiare l’immaginario colorato dei pittori di Nerone.
Abbiamo detto che Nicole Dacos si occupa dei pittori cosiddetti romanisti, artisti cioè che lavorarono tra i Paesi Bassi e l’Italia e che nessuno storico dell’arte di formazione accademica studia, perché si tratta di materia dalla problematica collocazione. Sono pittori «italianizzanti» e che durante il XVI secolo, sia nei Paesi Bassi che in Spagna, sono «impregnati di cultura italiana». Dice Dacos: «Essi appaiono come degli eterni stranieri e sono 'sospettati’ sia dagli storici dell’arte fiamminga che da quelli dell’arte italiana. Lo studio di questi artisti in effetti presuppone la conoscenza della pittura dei Paesi Bassi, ma anche dalla pittura italiana».
Ma più precisamente cosa spinge Nicole Dacos a questo genere di studi? — «M’interesso alle terre di nessuno — è la risposta — alle culture ibride, cioè doppie, Paesi Bassi e Italia, l’antico e il rinascimento».

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