«Vivi in fretta, muori giovane e lascia un bel cadavere» soleva dire James Dean. Era una battuta tratta da I bassifondi di San Francisco diretto dal suo primo regista Nicholas Ray, ed ha rispettato almeno le due prime regole della formula quando è andato a schiacciarsi, con la sua Porsche Spyder, contro una Ford Sedan dopo avere appena pagato una contravvenzione per eccesso di velocità. Aveva ventiquattro anni.
E tuttavia in meno di un lustro questo ragazzo del Middle West, approdato giovanissimo all'Actor's Studio di New York, aveva conquistato di colpo Broadway e Hollywood fino a diventare oggetto di culto per una intera generazione. Chi è nato dopo il 1940 probabilmente ha difficoltà a comprendere il mito di James Dean poiché per una serie di curiose circostanze questo giovane attore si è trovato ad impersonare contemporaneamente, sullo schermo e nella vita, la crisi della gioventù americana nel problematico decennio della cosiddetta «era di Eisenhower».
Erano gli anni in cui il maccartismo sparava le sue ultime salve mentre il cannone sparava in Corea; erano gli anni del «benessere» e della «generazione silenziosa» in un mondo che usciva dal secondo conflitto mondiale e già era piombato nella guerra fredda. Gli Stati Uniti uscivano dalla lunga stagione del New Deal per entrare in una terra ancora incognita alla quale Kennedy - sei anni dopo la morte di Dean - avrebbe cercato di indicare l'obiettivo di una «nuova frontiera».
Il sociologo David Riesman aveva radiografato la nazione all'inizio del decennio scrivendo La folla solitaria e gli americani, ancora paralizzati dalla grande paura della caccia alle streghe, stentavano a riconoscere la loro identità. Di questa crisi di coscienza portava il peso la prima generazione maturata nel dopoguerra che James Dean aveva rappresentato a Broadway, nel suo esordio, impersonando un adolescente che entra in conflitto con i valori della famiglia.
Per nascita e formazione l'attore apparteneva a quella categoria di giovani che più tardi lo psicologo Kenneth Keniston ha definito gli uncommitted, i disimpegnati, ma nel suo secondo film aveva spostato l'accento sulla frangia estrema dei «ribelli senza una causa» o, come vuole il titolo italiano, sulla «gioventà bruciata». È questo ruolo che, più di ogni altro, ha portato una parte del suo pubblico giovane a identificarsi con lui così come, due anni prima, si era identificato con Il selvaggio di Marion Brando. Quest'ultimo, molti anni dopo, avrebbe contemplato l'idea di fare da narratore in un documentario su James Dean «magari come forma di espiazione» per il suo peccato cinematografico del 1953.
Si direbbe che l'esperienza di Rebels Without a Cause abbia modellato, in un certo senso, i comportamenti privati di James Dean nel breve e intenso periodo nel quale sembrava continuamente imitare la spericolata esperienza del «Chickie run», la corsa pazza delle macchine sul ciglio di un abisso che nel film ha una tragica conclusione. I motori, la velocità e il rischio costituiscono infatti una delle costanti della vita di Dean nei brevi anni in cui dalla Mg e dalla Porsche era passato alle macchine da corsa sui circuiti di gara, si faceva fotografare in una bara, teneva una Colt nel suo camerino, un modellino di forca nella camera d'albergo e indulgeva nelle più stravaganti esperienze sessuali, secondo la rievocazione di Kenneth Anger. Oggi, retrospettivamente, i personaggi e la vita di James Dean ci appaiono non solo emblematici di quell'epoca ma anche premonitori di ciò che sarebbe avvenuto in altre forme negli anni Sessanta. Nasceva una controcultura che si esprimeva attraverso varie forme di contrapposizione al conformismo degli «squares» - i benpensanti uomini d'ordine - e se da un lato c'erano i «ribelli» dall'altro c'erano i «beats» che sarebbero confluiti poi nel «movimento» animato più tardi dalla guerra del Vietnam e dalle lotte per i diritti civili, ma da queste anche frantumato in mille spezzoni.
Nei tre film di Dean sono presenti tutti i temi del suo tempo ed oggi, ad esempio, Il gigante può essere visto anche come l'antenato di Dallas, così come il cow-boy su quattro ruote in mezzo ai pozzi di petrolio appare sempre più chiaramente come la metafora del cambiamento che stava avvenendo in America e, al tempo stesso, il simbolo dell'americano che continua a dominare il suo ambiente come l'uomo di Marlboro.
Per qualche anno il culto dell'attore scomparso è stato celebrato nei «club della morte James Dean» al lume di candela con musica di Wagner, ma gli uomini con i quali ha lavorato e che avevano scritto e diretto i suoi film appartenevano ancora alla generazione rooseveltiana e a loro modo hanno dato anche una forte carica critica a queste storie di ribelli in un'epoca di conformismo e di acquiescenza. Se cerchiamo di rivederli nel contesto del loro tempo i film e la figura di James Dean possono dunque aiutarci anche a capire meglio lo spirito di quegli anni, le ansie della nazione e, soprattutto, i turbamenti di quella generazione.
Molto tempo dopo Easy Rider ha chiuso con ironia l'epoca di The Wild One e di Rebels Without a Cause ma non bisogna dimenticare che James Dean aveva esordito anche con East of Eden, tratto dal romanzo di Steinbeck, e che proprio per questo ruolo era stato nominato per l'Oscar. Giudicarlo dall'uso che si è fatto della sua vita e dal culto che si è creato attorno alla sua figura, soprattutto dopo la sua morte, non renderebbe giustizia alle sue qualità di attore che restano affidate anche ai numerosi drammi televisivi, in diretta, da lui interpretati insieme ai più grandi attori del teatro e del cinema americano dell'ultimo mezzo secolo.
Nota biografica
James Byron Dean era nato a Fairmount, nell'Indiana, l'8 febbraio del 1931, figlio unico di Winton Dean e di Mil-dread Wilson, la madre poi morta di cancro quando James aveva appena nove anni. A18 anni, seguendo il padre a Los Angeles, il giovane Dean cercò inutilmente di intraprendere la carriera di attore a Hollywood, quindi lasciò la California per New York. Qui fu ammesso all'Actor's Studio, diretta da Lee Strasberg, con Elia Kazan fra i suoi professori. Fu proprio Kazan a spianargli la strada di Hollywood preferendolo a Paul Newman come protagonista di La valle dell'Eden (1954). Un anno più tardi Dean, ormai conteso da registi e produttori, interpretò a fianco di Nathalie Wood Gioventù Bruciata di Nicholas Ray. All'epoca si era già chiusa la sua love-story con l'attrice italiana Annamaria Pierangeli. Dean si sarebbe innamorato ancora, di Liz Taylor, una storia nata sul set de Il gigante, diretto da George Stevens. Ma l'attore non sarebbe riuscito a terminare il film. Il 30 settembre del '55, mentre guidava la sua Porsche argentata, all'incrocio fra la «highway» 466 e la 41 una Ford gli tagliò la strada. Dean andava a 160 all'ora, frenare fu inutile; lo schianto lo uccise sul colpo.
"l'Unità", 30 settembre 1990
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