8.2.13

I miti greci. Ma quanto ci somigliano quegli dei ... (Luigi Malerba)

Dirk van Baburen, Efesto incatena Prometeo (1623)
Urano fu il primo signore del mondo. Un mondo dominato da esseri conturbanti come gli Ecatonchiri che avevano cento braccia e cinquanta teste e i Ciclopi che avevano un solo occhio in mezzo alla fronte.
Crono, figlio di Urano e di Gea, appartiene alla stirpe violenta dei Titani e ottiene dalla madre Gea una falce d' acciaio con la quale taglia i genitali al padre e li getta in mare.
Crono sposa sua sorella Rea ma poi ingoia tutti i suoi figli man mano che nascono. Si salva solo Zeus perché Rea lo va a partorire in un antro del monte Dicte e lo consegna a due ninfe che lo nutrono con latte di capra. Temendo che Crono udisse la voce di Zeus bambino e lo divorasse, le ninfe incaricano i Cureti abitanti del monte di fare molto strepito battendo le lance contro gli scudi per evitare che Crono lo scopra.
Rea fa ingoiare al vorace marito infanticida una pietra avvolta nelle fasce di un neonato facendogli credere che si tratta di Zeus. Divenuto adulto, Zeus somministra a Crono una pozione che gli fa vomitare la pietra e gli altri figli divorati in precedenza, i quali prendono le armi contro il padre insieme a Zeus.
Tutte queste vicende, e non sono poca cosa, si incontrano nelle prime due pagine dei Miti greci, un testo composto tra il II e il III secolo dopo Cristo e attribuito a Apollodoro di Atene. Scritto sulla scia della più antica Teogonia di Esiodo, questo libro è un denso ed esauriente compendio della mitologia greca che si raccomanda per la straordinaria ricchezza e l' avvincente ritmo narrativo (Apollodoro, I miti greci a cura di Paolo Scarpi, traduzione di Maria Grazia Ciani, indice mitologico a cura di Chiara Potronieri, Mondadori-Fondazione Valla, pagg. 832, lire 48.000). Secondo la Teogonia di Esiodo, con la vittoria di Zeus, che diventa il primo signore del cielo, ha fine la signoria dei Titani e ha inizio la monarchia di Zeus, finisce l'era della violenza e del caos e ha inizio l'era della giustizia e dell'ordine. Ma dal quadro che risulta dalla lettura di Apollodoro si capisce come anche nell'era della giustizia e dell'ordine, più che a una monarchia l'Olimpo assomiglia a un impero retto da un sistema feudale in cui ogni divinità ha un suo feudo dal quale spesso sconfina in territorio altrui con conflitti continui, agguati, tradimenti, e guerriglie.
Man mano che si procede nella lettura di questo libro ci si domanda con stupore come la popolazione di pastori e contadini della Grecia arcaica sia riuscita a dar vita a un tale repertorio di invenzioni fantastiche e di labirintiche parentele. Ma se esaminiamo i materiali dei miti greci, e questo libro ne è uno specchio ricco e fedele, ci accorgiamo come gli intrecci molto spesso coincidano con quelli di favole che ci sono note per altre vie. Può essere questa una ragione per cui ancora oggi possiamo leggere con piacere "ingenuo" le vicende degli dei e degli eroi greci.
In una famosa polemica fra Vladimir J. Propp e Claude Lévi-Strauss sull'origine della fiaba il primo sosteneva la priorità storica del mito rispetto alla fiaba mentre il secondo sosteneva che la scomparsa dei miti ha rotto un antico equilibrio fra i due generi e "come un satellite senza pianeta, la favola tende a uscire dall' orbita e a lasciarsi captare da altri poli di attrazione". Il mito e la favola sfruttano una sostanza comune, scrive Lévi-Strauss, e "la loro relazione non è di anteriore e posteriore, di primitivo e derivato, ma è piuttosto una relazione di complementarità".
I mitografi antichi come Apollodoro non si accontentano di assegnare a ogni divinità una funzione, proprio come avviene nelle favole, ma ne fanno dei personaggi che vivono una propria vicenda, hanno un proprio carattere e si comportano di conseguenza con le loro fissazioni, i loro vizi, le loro crudeltà. Ma a differenza delle favole il grande racconto mitologico greco assume nelle sue grandi linee uno svolgimento epico che non appartiene alla fiaba. Adirata per la sorte dei Titani sconfitti da Zeus, Gea partorisce la stirpe dei Giganti ribelli, esseri spaventosi coperti da un fitto pelame alla King Kong. Gli dèi combattono contro i Giganti, i quali alla fine vengono sconfitti. Sterminata la stirpe dei Giganti, impastando terra e acqua Prometeo plasma gli uomini e dona loro il fuoco. Quando lo viene a sapere Zeus si infuria (giustamente perché del fuoco gli uomini faranno cattivo uso) e ordina a Efesto di inchiodare il corpo di Prometeo sul monte Caucaso nella Scizia, dove rimane per punizione molti anni tormentato da un'aquila che ogni giorno va a mangiargli il fegato, che poi gli ricresce durante la notte. Fino a quando viene liberato da Ercole. E' una delle leggende più note della mitologia greca. Finalmente l'iracondo Zeus decide di eliminare la "stirpe di bronzo" con un diluvio. Il figlio di Prometeo Deucalione, marito di Pirra, plasmata anche lei con il fango, su consiglio di Prometeo fabbrica un'arca e vi pone delle provviste e si imbarca insieme a Pirra. Zeus rovescia dal cielo una pioggia torrenziale sommergendo la maggior parte dell'Ellade. Tutti gli uomini muoiono tranne i pochi che fanno in tempo a rifugiarsi sulle montagne. Per nove giorni e nove notti l'arca di Deucalione e Pirra viene trascinata dalle acque e alla fine approda sul Parnaso.
Il mistero delle origini ha sempre occupato il pensiero dell' uomo. Dopo avere offerto ricchi sacrifici a Zeus, Deucalione ottiene in premio di poter fondare una nuova generazione di uomini. Zeus dice a Deucalione che deve lanciarsi dietro le spalle delle pietre e sarebbero nati degli uomini. Pirra avrebbe dovuto fare la stessa cosa e sarebbero nate delle donne. Più le variazioni intermedie. Per esempio Tamiri, figlio di Filammone e della ninfa Argiope, fu il primo uomo che amò un altro uomo.
Nulla di umano, che siano vizi o virtù, sfugge all' occhio vigile degli dèi greci. Ma gli antichi credevano o no negli dèi? "Se c'è il destino, dice Euripide, che bisogno c'è degli dèi? E se invece il potere è degli dèi, il destino non è più nulla" (citazione rubata a Umberto Galimberti). Sembra la diatriba sul libero arbitrio che ha fatto discutere a lungo i cattolici. Ma i punti di contatto con le religioni monoteiste non sono pochi, dalla creazione dell'uomo con il fango, al diluvio come punizione dell' umanità corrotta, alla generazione dei Giganti ricordati nella Genesi. Archetipi che nascono da esigenze profonde come la lotta eterna fra il bene e il male, che ricorda Lucifero e gli angeli ribelli scacciati dal Cielo.
Ma la foltissima nomenklatura degli dèi greci è una masnada di individui poco raccomandabili. Quale fiducia potevano avere i poveri mortali in divinità così violente e corrotte? O li hanno inventati piuttosto come alibi per i loro peggiori comportamenti? Anche il Dio della Bibbia è severo e a volte crudele, ma oggi la mitologia greca è solo una favola mentre il Cristianesimo ha assimilato, e corretto con una interpretazione simbolica, la ideologia del Vecchio Testamento.
A differenza della mitologia egizia dominata da una severa gerarchia ultraterrena, e di quella indiana, animistica e ontologica, la mitologia greca è narrativa e terrestre, come del resto i libri sacri delle religioni monoteiste. Ogni racconto della mitologia greca esaspera vicende e situazioni umane e ogni personaggio è espressione di un sentimento profondo che si ripete nel tempo. Ancora ci serviamo dei miti greci come chiave di interpretazione delle pulsioni più segrete dell' animo umano. Una sterminata zona archeologica dove si continua a scavare, e a scoprire nuovi strati sotterranei dell'animo umano.

“la Repubblica”, 3 gennaio 1997

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