28.2.13

Case pignorate. Paul Auster a Napoli (di Adriana Pollice)

Nel sito del "manifesto", datata 7 novembre 2011, l'intervista che segue, in occasione di una presenza a Napoli di Paul Auster, l'autore di una splendida Trilogio di New York. (S.L.L.)
Paul Auster
Tra le carte di Leopardi in Biblioteca Nazionale e la visita al carcere di Secondigliano, un intero week end in città per lo scrittore newyorkese Paul Auster che ha ritirato il Premio Napoli, sezione “Letterature straniere”, per il suo ultimo romanzo Sunset Park (Einaudi).
“Sono stato in cella ma mai in prigione – racconta -. Questa esperienza avrà un grande impatto sulla mia vita, ci rifletterò per molto tempo. A pensarci bene tutto il mio lavoro è concentrato su personaggi che vivono in spazi ristretti”.
Un segno forte lo ha lasciato anche Leopardi: autore che Auster ha letto in più traduzioni, ma anche in originale, grazie agli studi al college e allo zio, Allen Mandelbaum, che lo ha introdotto alla poesia e alla cultura italiana: “Avevo 16, 17 anni e lui leggeva tutto ciò che scrivevo, giudicando con severità. Aveva passato dodici anni in Italia e ne aveva approfittato per tradurre Quasimodo e Ungaretti, che poi ho incontrato proprio con mio zio a New York, all’hotel Carlyle. In seguito, tornato in America, tradusse anche la Divina Commedia, le Metamorfosi, l’Odissea e l’Iliade”.
Leopardi ma anche Italo Svevo, per cui nutre una tale passione da averne abbracciato la statua a Trieste, nel 2009, in segno di affetto.
Sedici romanzi e quattro sceneggiature, ma il cinema per ora non è tra gli impegni: “Fare film indipendenti è diventato impossibile, siamo al collasso, non ci sono distributori se non per le pellicole da grandi incassi. L’ultima volta, quattro anni fa, avevamo così pochi soldi che abbiamo girato in Portogallo con quattro attori, alla fine ero distrutto”.
Gli Stati Uniti di Obama hanno sul tavolo ancora tutti i nodi dell’era Bush: “Non credo che uno scrittore debba impegnarsi necessariamente in politica. Alcuni dei più grandi non hanno mai avuto a che fare con la politica. E alcuni che invece facevano politica hanno lasciato libri bruttissimi. Piuttosto mi impegno a livello personale nelle campagna “Freedom to Write” per la libertà di parola di scrittori, saggisti e giornalisti. Ci sono casi famosi in Russia e in Cina ma è un grave problema anche in Messico, dove molti cronisti sono stati uccisi, e in molte altre parti del mondo”.
La realtà però irrompe nel racconto così il protagonista di Sunset Park si occupa di trashing out, cioè sgombera le casa pignorate, e intanto fotografa gli oggetti abbandonati dalla classe media travolta dalla crisi, fino a domandarsi “se valga la pena sperare in un futuro quando non c’è futuro”. “Obama è un politico di centro – spiega Auster – io sono più a sinistra, il problema è che tutte le sue riforme sono state respinte dalla destra. E’ troppo corretto, pulito. Lyndon Johnson ha ottenuto la legislazione sui diritti civili telefonando ai senatori e dicendo ‘vuoi che racconti alla stampa che vai a letto con i ragazzini?’ Se invece dici guardate nel fondo della vostra coscienza non funziona”. Sedici romanzi tutti scritti a mano e poi ricopiati su una macchina da scrivere usata: “L’unica cosa costante della mia vita. Per ora i nastri si trovano ancora a Brooklyn e quindi non c’è motivo di cambiare. Mi ero procurato un Pc per scrivere una sceneggiatura, perché era più semplice cambiare le battute, poi l’ho regalato a un mio amico poeta a corto di soldi. Avevo anche un telefono mobile ma non è che proprio lo volessi così quando mia figlia adolescente ha perso il suo terzo cellulare le ho dato il mio dicendo ‘è di tuo padre, mi raccomando…’. Non è che non usi internet o la tecnologia, è solo che se qualcuno vuole davvero contattarti trova sempre il modo di farlo”.
Il caso come motore della vita e la capacità di ascoltare i personaggi creati dalla penna di Auster: “E’ come se restassero vivi, intorno a me, e continuano tutti a parlarmi, è incredibile pensare che mi sopravviveranno”.

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