28.2.13

Robespierre il moderato e Marat l'estremista

Nel 1989 uscirono nella pregiata collana Sellerio "La memoria", a quel tempo diretta da Leonardo Sciascia, i ricordi di Charlotte Robespierre (1760 - 1834), sorella minore di Maximilien, l'Incorruttibile, uno dei più esecrati protagonisti della Rivoluzione Francese, esponente principe del giacobinismo rivoluzionario. Il libro è centrato sulle figure dei due fratelli Robespierre, Maximilian e Augustin, entrambi ghigliottinati insieme a Saint-Just il 28 luglio 1994, in seguito al colpo di stato del Termidoro.
Riprendo qui un brano sui rapporti tra il più celebre Robespierre e Marat, un altro dei capi rivoluzionari, scienziato e giornalista di vaglia, morto cinquantenne nella sua vasca da bagno per le pugnalate inferte da Carlotta Corday. (S.L.L.)
Spesso ho visto il nome di mio fratello associato a quello di Marat. E come quando si affiancano i ritratti di Voltaire e di Rousseau, quasi che i due grandi scrittori, in vita, fossero stati amici, mentre in realtà non si potevano soffrire. Non intendo sminuire i meriti di Marat né mettere in discussione la purezza della sua dedizione alla causa o delle sue intenzioni. Qualcuno ha osato dire che era venduto allo straniero, ma lo si è detto persino di mio fratello. Il campo dell'assurdo è vasto e senza limiti. Non si è raccontato che Robespierre aspirava alla mano della figlia di Luigi XVI?
Tornando a Marat, nego che sia stato un agente dello straniero come si è voluto. Marat era altamente cosciente delle infamie dell'ancien régime e della miseria del popolo; la sua fervida immaginazione e il suo temperamento focoso facevano di lui un rivoluzionario ardente, spesso addirittura imprudente, ma le sue intenzioni, ripeto, erano buone.
Mio fratello ne disapprovava le esagerazioni, gli eccessi, e come ebbe adirmi spesso, riteneva che la via che aveva scelto fosse più dannosa che utile alla rivoluzione. Un giorno Marat venne a trovare mio fratello. La visita ci sorprese perché di solito i due non avevano rapporti tra loro. Parlarono dapprima della situazione in generale, poi della piega che prendeva la rivoluzione; alla fine, Marat affrontò il tema del rigore rivoluzionario e si lamentò della moderazione e dell'eccessiva indulgenza del governo. «Tu», disse a mio fratello, «sei forse la persona che stimo di più al mondo, ma la mia stima sarebbe ancora maggiore se fossi meno moderato con gli aristocratici». «Rivolgo a te il rimprovero opposto», replicò mio fratello; «facendo cadere delle teste tu comprometti la rivoluzione, la fai odiare. Il patibolo è un mezzo terribile e sempre funesto; va usato raramente e solo nei casi gravi in cui la patria corre verso la catastrofe». «Ti compiango», disse allora Marat, «non sei alla mia altezza». «Non ci tengo ad essere alla tua altezza», replicò Robespierre. «Non mi capisci», disse allora Marat, «non potremo mai procedere insieme». «E' possibile», rispose Robespierre: «Tanto meglio». «Rimpiango che non ci si possa intendere», soggiunse Marat, «perché tu sei l'uomo più puro della Convenzione» …

da Charlotte Robespierre, Memorie dei miei fratelli, Sellerio, 1989

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