26.4.15

Al liceo (Rossana Rossanda)

Le ragazze sono malinconiche e pazze. Al liceo il professore di italiano trattò con freddezza Chiare, fresche e dolci acque e ci assestò che l'esame più importante della vita una donna lo passa la sera delle nozze. Mi rivoltò. Eravamo mezze donne, i primi tacchi alti, la vita stretta, il seno appena disegnato, i bei capelli dorati sulle spalle delle amiche. Una, Chicca, la ricordo mentre si volta, guizzante, una cintura sulla vita esile, il viso sicuro, spiritoso. Mi pareva che le compagne delle famiglie più abbienti fossero più disinvolte, sapessero più cose. E poi due o tre erano già donne, non fra le più brave perché intente a più appassionanti cose che all'interrogazione.
Al liceo mi trovai per la prima volta in una classe interamente femminile. La classe mista si dà un primo equilibrio fra maschi e femmine, loro e noi. Ma una trentina di ragazze assieme sono esiziali. Il professore di greco e latino, Orsini, miopissimo, passava fra i banchi immerso nel testo che leggeva, mentre intrecciavamo e disfacevamo a gran velocità i capelli della compagna davanti per confonderlo. Una volta introducemmo in classe un'anitra - un'anitra non è una presenza da poco in un'ora di latino. C'è una punta di sadismo nelle giovanissime verso l'uomo vecchio (la donna vecchia neanche la vedono). Oggi avremmo trasgredito in altro modo, ogni generazione fa quel che può. Lui alzava la testa e sbatteva le palpebre smarrito, ci trovava compunte, il naso sul libro. Ma mi insegnò latino e greco, quella sua religione traforava la nostra stoltezza. All'estremo opposto il professore di storia, Lennovari, ci impedì di farci gioco di lui e ci trasmise una percezione della storia come assoluto non senso. Per due delle sue tre ore settimanali elencava, fissandoci da potenti occhiali, un seguito di guerre che cominciavano e finivano, di re e imperatori che assurgevano e declinavano, di terre che cambiavano di signore e confini, in un tempo senza connotazioni. La terza ora ci interrogava tutte a raffica: Lei, in che data Alboino prende Pavia? Lei, chi tratta la pace di Utrecht? Quando passa agli Hohenzollern il Brandeburgo? La storia rimase per me un seguito di eserciti che correvano, si trucidavano e si fermavano fino alla corsa seguente. In quegli anni una disposizione particolarmente cretina fece sì che il professore di storia dovesse insegnare filosofia, e là il povero Lennovari affogò. Nelle ore di lezione proferiva insensatezze, lui stesso incredulo di quel che andava dicendo, e nell'interrogazione si limitava a date di nascita, morte e pubblicazione. Per cui sulle monadi senza porte né finestre e la materia come prodotto dello spirito assoluto starnazzammo con vigore.
Rinvivite, buttammo fuori il professore di religione accusandolo di insultare la nostra innocenza, e all'ora di scienze ci offrivamo in coro di andare a prenderne i pochi strumenti per scorrazzare nei corridoi. «Che fa qui, signorina?» sbucava il preside. «Porto il canguretto, professore». A quell'età si è certi che la scuola è piena di insensatezze e non c'è che traversarle col minimo dello sforzo e il massimo dei risultati. Non conoscevamo la parola istituzione, ma eravamo sicure che la vita stava fuori, al più spuntava nei ritagli, faceva segno da qualche parte.
Tuttavia il professor Lennovari enunciava tali stramberie che nella filosofia doveva per forza esserci dell'altro, e papa confermò comprandomi due libri: La visione della vita nei grandi pensatori di Eucken e la Storia della filosofia moderna di Windelband. Nei quali mi immersi con delizia, pancia a terra sul tappeto e rinviando i compiti, era una trasgressione sotto la rispettabile forma di anticipo, mi parve di capire tutto, gli occhi finalmente dissigillati sugli abissi dello spirito. Facevo la ruota come un pavone...

da La ragazza del secolo scorso, Einaudi 2005

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