17.4.15

Studenti inconsapevoli. Manzoni, la bella lavanderina (Gianluigi Beccaria)

La barzelletta è un vero e proprio racconto. L’arguzia invece non ha struttura narrativa, è un’asserzione il cui effetto dipende dall’efficacia della sorpresa, secondo un gioco che consiste nel far deragliare a un certo punto gli elementi verbali o concettuali, farli arrivare a un punto di divaricazione nettamente bipartito, per cui appena vengono associate due matrici abitualmente incompatibili, scatta l’intelligenza della trovata spiritosa.
Cesare Segre raccontava del grande linguista russo Roman Jakobson, perennemente in viaggio tra Europa e America, il quale per giocosità verbale e senso polemico contro i formulari che ogni volta gli toccava compilare al ritorno negli Stati Uniti, alla domanda sullo «stato civile» attestava il suo essere «poligamo diacronico e monogamo sincronico».
Ma talvolta il divertimento nasce dall’inconsapevolezza. Mi scuso in anticipo con chi si dovesse eventualmente riconoscere nella citazione (assicuro che per par condicio rimanderò in una prossima occasione a siti vari che raccolgono gli strafalcioni dei professori), ma non posso nascondere l’ilarità di quando a un esame, alla domanda chi fosse nel verso di Gozzano quel «Loreto impagliato» messo lì nel salotto tra le cose di pessimo gusto, lo sventurato rispose che doveva essere «il santuario di Loreto»; o quando al «che cosa sono le comunicazioni di massa» lo sciagurato rispose... «il treno».
In altra occasione toccò a Manzoni, le cose non andavano nel verso giusto, e allora ci stavamo accontentando di un «mi dica quello che sa sui Promessi Sposi», ma all’esordio «Manzoni sciacquò i panni in Arno», non mi trattenni dallo sbottare «E che è, la bella lavanderina?».
Me ne scuso, alla distanza, ma addio davvero a ogni ludismo verbale, o motto di spirito! Dell’ignoranza non si dovrebbe ridere, ma come si fa quando uno studente (è capitata anche questa, a una collega romana) ti comincia a parlare dell’«elsi-uone» di D’Annunzio (che sarebbe poi l’Alcyone), o quando un buon giovane dei nostri esordì parlando del «lessico sopraelevato» di Petrarca (e che! lo elaborava in soppalco?).
Petrarca, chissà perché, attiva negli studenti la più scatenata fantasia combinatoria: c’è stato un giovane che a domanda rispose che la lingua del Nostro è «piena di euforismi» (espressione tecnica assolutamente corretta), e alla richiesta di spiegare che cosa fossero aggiunse che li usava «perché era contento di essere tanto innamorato di Laura, e quindi la sua lingua diventava euforica».
Ce n’è stato un altro che venuto a discorrere a proposito di un testo, non ricordo quale, dove compariva la forma «in Ispagna» prese a dire che trattavasi «della famosa i prostatica».
Ancora sulla lingua italiana e le sue varietà un altro (non sto inventando) prese a parlare con disinvoltura della «varietà diamesica» (benissimo), della «diastratica» (bene), e concluse che la più importante però era l’«afasica».
Non so invece se sia vera quella risposta che da un po’ gira per l’Italia, sull’esaminando che alla richiesta di qualche indicazione bibliografica su Manzoni rispose che non esisteva nulla! Aveva letto sul manuale che «la bibliografia è sterminata». Distrutta, forse tra le fiamme di biblioteche andate a fuoco.


“Tuttolibri – la Stampa”, 24 marzo 2012

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