L'orango morto nel 2007 allo zoo di Miami considerato, da vivo, il più vecchio del mondo |
Recensione di una vecchia e importante mostra statunitense di
paleoantropologia, l’articolo contiene informazioni riattualizzate dalle
pratiche recenti dell’insulto politico-razzista. (S.L.L.)
NEW YORK
Al Museo di storia naturale, di
fianco al Central Park, il visitatore italiano ha in questi mesi l'occasione di
un incontro raro in patria (dove la paleoantropologia è poco popolare): l'incontro
con l'Uomo di Saccopastore, neandertaliano arcaico scoperto nel 29 poco fuori
Porta Pia, nell'allora campagna romana.
Il fossile ha varcato l'Oceano
per partecipare a una riunione di famiglia: alla più completa e genuina (nel
senso che vi figurano originali e non copie) esposizione di antenati mai
organizzata (Ancestors, American
Museum of Natural History, che resterà aperta fino al 9 settembre). Ci sono
tutti: l'Aegyptopithecus, il primate simile a un gatto da cui, 35 milioni di
anni fa, si dipartirono i due grandi rami che avrebbero condotto, da un lato,
alle scimmie e, dall' altro ai primati superiori, ivi compreso l' uomo; il
Sivapithecus, simile al moderno orangutan; la famosa Lucy, ragazzina di tre
milioni di anni fa; e altri celebri personaggi fino all' uomo di Cro Magnon,
che, calzato e vestito, potrebbe passeggiare nella Quinta Strada senza dar
nell'occhio.
Sono quaranta i fossili fatti
venire a New York dalla Tanzania e dalla Germania, da Israele e dal Sudafrica
(ma non dall'Etiopia, pur ricchissima di reperti, che da anni è in lite con la
scienza occidentale). Quaranta "gioielli" per lo più autentici, i
quali "a chi se ne intende", dice Eric Delson, uno dei curatori della
mostra, "danno un feeling, una
speciale sensazione che nessun calco, per quanto accurato, riesce a
suscitare".
Ma anche al profano quelle tangibili
testimonianze della nostra evoluzione, quelle orbite vuote nelle quali un tempo
balenarono i primi lampi di umanità procurano qualche trasalimento. "E' la
storia più affascinante che io conosca", commenta Delson. Una storia
ancora piena di "buchi", di interpretazioni difformi, di
controversie. L'ultima riguarda il grado di parentela tra l' uomo e le grandi
scimmie antropomorfe ed è stata innescata da Jeffrey Schwartz, dell'università
di Pittsburgh, il quale sostiene che non lo scimpanzé, ma l'orangutan è il
nostro cugino più prossimo. In questi anni, accanto al tradizionale confronto
morfologico, cioè delle forme esterne, è andato affermandosi, nell'esame
comparato dell' uomo e della scimmia, lo studio del Dna (l'acido nucleico, nel
quale è iscritto il programma genetico dell'individuo e della specie), delle
proteine e così via. Gli antropologi "molecolari" - così si chiamano
i nuovi esploratori del nostro passato biologico - concludono che l'accumulazione
delle differenze a livello, per l'appunto, molecolare avviene a un ritmo
regolare. Facendo quindi un conto alla rovescia, generazione per generazione, è
possibile stabilire quando due specie si sono divise dall'ascendente comune.
Questo calcolo fa risalire a otto milioni di anni fa la separazione della linea
uomo-scimmie africane (scimpanzè, gorilla) dalla linea che porta all' orangutan
(scimmia asiatica), e a 4 milioni di anni fa l' ulteriore separazione della
linea ancestrale del gorilla e dello scimpanzè da quella dell' uomo. Schwartz
dice invece che noi siamo più vicini all' orangutan.
Orangutan sugli alberi |
Su che cosa basa questa inedita
affermazione? L' orangutan è una antropomorfa vegetariana che vive in Indonesia
e pesa dai 50 ai 100 chili (per saperne di più sulle nostre sorelle scimmie è
consigliabile la lettura del libro di Brunetto Chiarelli, Origine della socialità e della cultura umana, Laterza, pagg. 350,
lire 35.000). Il mansueto pongide, fa notare il professor Schwartz, condivide
con l' uomo, anzi con la donna, la durata della gestazione: 270 giorni, contro i
260 dello scimpanzé e i 245 del gorilla. Anche le mammelle dell'orangutan sono
ben separate sul torace e vicine alle ascelle come nella donna, ed entrambe -
femmina Homo e femmina orango - presentano un'alta concentrazione di ormoni
sessuali nel sangue. Infine, entrambe le specie copulano faccia a faccia, ciò
che conferisce all'atto sessuale maggiori connotazioni affettive e più lunga
durata.
La pretesa dell'orangutan di
avanzare di grado incontra però l'ostilità di diversi studiosi, tra cui David
Pilbeam, docente di antropologia all' università di Harvard. Per Pilbeam le
cose sono andate così. L'orangutan si è separato dal nostro ramo 16 milioni di
anni fa, mentre la scissione tra umani e scimmie africane deve essere avvenuta
non prima di 7 o 8 milioni di anni fa. C' è anche la possibilità che il
Sivapiteco, vissuto in Africa 17 milioni di anni fa, sia l' ascendente comune
di tutti i grandi ominidi. Ma Pilbeam è più incline a legare il Sivapiteco all'orangutan.
"Per sciogliere i dubbi", dice l' autorevole antropologo,
"dovremmo avere più reperti a disposizione. Ma purtroppo l'archivio
fossile dell'Africa presenta un black-out di 10 milioni di anni, da meno 14 a
meno 4, cioè alla comparsa dei vari australopitechi, che sono chiaramente
riconoscibili come ominidi. Anche se non è più di moda parlare dell'"anello
mancante", questa lunga vacanza racchiude per noi il maggior
fascino".
Perché la nuova antropologia
molecolare è spesso in disaccordo con l' antropologia fisica? "Perché non
ci si rende conto di un fatto fondamentale", risponde Pilbeam. "Non è
necessario che cambino molti geni per avere grandi mutamenti morfologici. Uomo
e scimpanzé, per esempio, sono geneticamente più simili tra loro che lo
scimpanzé e il gorilla; ma, quanto all' aspetto, lo scimpanzé appare molto più
simile al gorilla che a noi. La ragione è che solo pochi geni sono cambiati, ma
sono i geni che controllano processi-chiave di sviluppo: le discrepanze tra
evoluzione genetica ed evoluzione morfologica sono del tutto naturali".
La mostra di New York evita
ovviamente di addentrarsi nel ginepraio di queste polemiche. "Il nostro
scopo nei riguardi del pubblico", dice Delson, "era soprattutto
quello di dare scacco ai creazionisti, che qui in America hanno rialzato la
cresta. Per ottenerlo occorreva la massima chiarezza". Ancestors si mantiene dunque nell'ortodossia,
segue lo schema generalmente accettato. Eccolo. La prima forma che si può
chiaramente collocare sul percorso che conduce all' uomo, sono le specie
raggruppate nel genere Australopithecus, coi primi esemplari ritrovati in
Sudafrica negli anni Venti. "Li abbiamo divisi nelle quattro specie
consuete", afferma Delson che insieme a Ian Tattersall ha curato anche il
catalogo, "e cioè l'Australopithecus afarensis, gruppo proveniente dai depositi
dell' Africa orientale di 4 milioni di anni fa e di cui fa parte Lucy; l'Australopithecus
africanus, con il Bambino di Taung, che quando venne alla luce nel 24 sembrò
proprio la creatura a metà strada tra scimmia e uomo che Darwin aveva
ipotizzato; e infine le due specie di australopiteco robusto, che però finirono
sul binario morto".
Gli australopitechi gracili sono
dunque nostri predecessori. Erano alti poco più di un metro, camminavano eretti
nella savana africana ed erano modesti cacciatori, molto diversi dalle
"scimmie assassine" dell' antropologia folkloristica. Dagli
australopitechi si sviluppa, 2 milioni di anni fa, l'Homo habilis, abitatore dell' Africa dal cervello alquanto più
voluminoso. Più o meno della stessa epoca sono i primi utensili di pietra (i
primissimi dovettero essere di legno e di osso, ma non ne resta ovviamente
traccia). Compare poi l'Homo erectus,
una stirpe di cacciatori durata a lungo (da 1,7 a 0,5 milioni di anni fa),
diffusa in Africa e in Asia orientale. Con l'Homo erectus si passa dai semplici utensili dell'habilis a tutta una serie di strumenti
specializzati che configurano in un certo senso la prima rivoluzione
tecnologica. "Circa un milione di anni fa", continua Delson,
"comincia l' epoca glaciale, un periodo in cui a fasi fredde, che spingono
i ghiacci fino alla Germania centrale, si alternano fasi temperate
confrontabili con quella attuale. E' verso la metà dell' epoca glaciale che compare
l'Homo sapiens".
La mostra distingue un Homo sapiens arcaico e l' uomo di Neandertal,
la famiglia di fossili più famosa fin dal tempo di Darwin. Dopo i Neandertal, i
Cro Magnon, in un rapido avvicendamento che è un'altra zona calda nel dibattito
tra gli studiosi; e infine l'uomo moderno. Perché chiamiamo "moderna"
questa figura emersa 30 mila anni fa? "I resti degli abitatori
dell'Eurasia e dell'Africa vissuti allora", risponde Delson, "sono
praticamente uguali agli odierni abitanti di quelle regioni".
“la Repubblica”, 7 luglio 1984
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