Nel numero di luglio del “Ponte”
un articolo a due firme (Altini e Jasonni) analizza i problemi del Pd cercando
di uscire dalla congiuntura e individuando gli elementi di cultura (o incultura)
politica che li determinano. Ne recupero un ampio stralcio: mi pare utile a
comprendere come la crisi di quel partito sia crisi di “fondamenti”. (S.L.L.)
Che ne è di Gramsci di fronte
allo spettacolo offerto dal Pd, in occasione dell'elezione del presidente della
Repubblica? E non solo di Gramsci, giacché quella grande eredità intellettuale
e morale si spalanca a più diversificati orizzonti antifascisti, evocati dai
nomi dei Rosselli e di Salvemini, di Ernesto Rossi e di Lelio Basso. Quello spettacolo
si segnala per l'assenza di idee politiche e di cultura sociale, ma, ancor
prima, per la totale incapacità di elaborare una politica democratica che,
senza rinnegare le novità comunicative dei nostri tempi, sia tuttavia in
accordo con i criteri fondativi della modernità. Senza i quali la politica
torna a essere gioco di corte o "lotta di tutti contro tutti".
La pubblicistica affronta i
problemi del Pd tenendo quasi sempre presente i soliti problemi chiave:
l'assenza di una linea politica definita, la litigiosità interna (con annesso
protagonismo dei dirigenti), la scarsa capacità comunicativa. Tutto vero, ma
c'è altro, spesso sottaciuto e invece in questi giorni emerso prepotentemente
di fronte ai nostri occhi: l'incapacità di comprendere che la politica
democratica è tendenzialmente mediazione, cioè governo della complessità e
gestione del conflitto, analisi e interpretazione dei bisogni sociali,
costruzione di progetti di lungo respiro e definizione di un'idea generale di
società attraverso il duro passaggio all'interno delle dinamiche storiche.
Labriola parlava, proprio in questo senso, di «durezza della realtà».
Contro tale concezione nobile
della politica si è invece recentemente affermato nel Pd un magma
"prepolitico" dell 'immediatezza, nella forma dello stimolo/risposta,
cioè nell'inseguimento passivo delle emergenze poste da altre agende politiche,
di volta in volta quella di Berlusconi, di Grillo o della Commissione europea.
L'assenza di memoria storica e,
contemporaneamente, l'assenza di progettualità socio-politica è il primo e più
evidente segno del trionfo di questa immediatezza. Tutto è presente, non esiste
né passato né futuro: tutto si gioca nella tattica quotidiana, senza progetti
di medio termine e senza una vera consapevolezza della posta in gioco nelle
nuove dinamiche europee e globali. Tutto è passività, cioè risposta a un dato
sociale politico-economico che si impone con l'autorevolezza di un Moloch:
nulla è azione, tutto è ricezione. In quest'ottica la risposta non può che
essere tronca, mutila: domani ci sarà un altro Moloch e un'altra risposta,
sempre in un eterno presente, depauperato della dimensione storica e di ogni
possibile riferimento al valore della laicità.
Una tale immediatezza domina non
solo nel governo politico del presente, ma anche nel rapporto tra classe
dirigente e base del Pd. Le primarie sono un chiaro esempio della crisi della
mediazione politica, visto che la partecipazione popolare a tale iniziativa è
pensata nella forma della comunicazione televisiva, non della costruzione
collettiva di un progetto politico (…)
Una siffatta politica, miseranda
e spaesata, ha in sé un grado di razionalità storico-sociale addirittura
inferiore a quella caratteristica del mercato, che comunque produce un'analisi
del sociale, seppur piegandola ai propri fini. Questa decadenza della
mediazione democratica porta allora sulla scena gli istrioni e gli urlatori:
nella "teatrocrazia" domina l'attore politico che meglio recita i
sentimenti immediati della massa. Il Pd ha introiettato questo dominio
dell'immediatezza e ha cosi seguito l'onda delle élites intellettualistiche da salotto borghese, cioè di una
minoranza rumorosa mossa all'apparire politico da rivendicazioni identitarie e
da desideri di riconoscimento che fondano una pratica del tutto antimoderna: la
muta da caccia (…).
Incurante nei fatti delle
questioni generali del lavoro e della crisi economica, questo radicalismo
antipopolare si presenta nelle poltrone di Fazio o di Santoro, discutendo
argomenti politici di moda (la costituzione, i diritti, ecc.) strumentalizzati
in una cinica — e adolescenziale — assenza di confronto con la realtà sociale
politica ed economica. (…) Questo
dominio dell'immediatezza va di pari passo con l'affermazione di
un'evanescente, banalmente americanistica ideologia democratica, in cui tutte
le opinioni hanno pari dignità …
da Il Pd e la crisi della mediazione politica in "Il Ponte", Anno LXIX, n.7, luglio 2013
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