Ho trovato l’articolo che segue,
assai curioso e intrigante, in un vecchio numero della rivista on line del
Centro Studi e iniziative culturali Pio La Torre, “A sud’europa”. E’ firmato
G.S., che dovrebbe corrispondere a Gilda Sciortino. (S.L.L.)
Promette apparizioni improvvise,
ma non si sa dove e quando. Magari laddove esiste un’ingiustizia o un torto da
riparare. E si perché, nonostante non sia riconosciuta dalla Chiesa, che la
ritiene una comune ragazza peruviana, morta a 25 anni nel 1940, Sarita Colonia
santa lo è sicuramente per il suo popolo, visto che in vita si occupava dei
poveri, degli ultimi, dei ladri che rubavano per fame, delle prostitute, degli
omosessuali, degli immigrati clandestini. Di tutti loro si prendeva cura
intercedendo per una grazia, facendo tornare l’amante perduto, ma anche molto
concretamente, curando con le erbe, facendo in modo che il marito uscisse dal
carcere o che si potessero trovare i soldi per pagare l’affitto.
E come può interessare oggi noi
una giovane come lei, della quale saranno molto pochi coloro che hanno notizia
della sua esistenza? “Siamo sostanzialmente un gruppo di amiche riunitesi a
discutere
sui temi della manifestazione del
13 febbraio per la difesa della dignità femminile - racconta Barbara Amodeo,
una delle componenti del neonato gruppo “Le camicie rosse di Sarita”, che su
Facebook ha già molti simpatizzanti – e per caso ci siamo ritrovate attorno
alla storia di questa santa, molto particolare perché di fatto é esistita solo
come personaggio, ma non riconosciuta dalla chiesa cattolica. E’santa per i
peruviani, oggetto di devozione popolare. Addirittura il popolo racconta che
abbia il potere di rendere invisibili i clandestini, per far loro attraversare
senza rischi le frontiere”.
Un gruppo, dunque, estemporaneo
legato alla manifestazione, ma che continua a lavorare, anche perché i rapporti
tra le persone che ne fanno parte sono di lunga data e non legati ad alcuna
occasione particolare. “Ci siamo ritrovate per confrontarci sull’opportunità di
una manifestazione in difesa della dignità delle donne. Abbiamo letto e
discusso, voracemente e appassionatamente, ogni riga scritta sulle ragioni pro
o contro, in un dibattito segnato dalle differenze di età, così come
dall’esperienza politica e femminista di ognuna di noi. E una sera - prosegue
l’affascinante narrazione - Anna ci ha raccontato la storia del primo miracolo
di questa “santa”: “Una volta, Sarita bambina assistette in piazza a una scena,
nella quale il commissario del paese mostrava il cadavere del bandolero Luis
Pardo, che aveva ucciso colpendolo alle spalle, nonostante fosse suo compare.
Per celebrare l’assassinio, il commissario sparava verso il cielo, urlando
“evviva” e distribuendo liquore di canna fra i presenti. Sarita gli si avvicinò
e gli disse: “Lei già non è più lei. Non esiste nessuno dietro ai suoi occhi.
Il risultato è che io non la vedo più, signor commissario”. L’uomo non le fece
caso, ma alzando il bicchiere per brindare si toccò il petto e non sentì alcun
battito. Si consolò pensando che così doveva essere il cuore dei “machos”.
Sette giorni più tardi il “muy macho” morì in quella stessa piazza; l’autopsia
che gli fecero per legge comprovò che aveva il cuore putrefatto, come se fosse
morto giorni prima”. Ebbene, come la bimba che esclama “il re è nudo”, Sarita
bambina e il suo primo miracolo a noi dice che lo spettacolo circense e
indecoroso del tramonto del berlusconismo porta con sé l’epifania della fine
del patriarcato. Questa rappresentazione arcaica, nella quale siamo tutte e
tutti implicati, in cui questo animale morente è spaccone, rumoroso e
pericoloso nella sua tentazione onnipotente, ci dice che il suo baccano è
proporzionale al grado di putrefazione: il suo cuore non batte già più. Quanto
potere c’è, invece, e quanta dignità, nello sguardo di una bambina che non si
lascia abbagliare dagli spari e dal liquore di canna?”.
Ecco, dunque, alla base di cosa
sta la storia della giovane Sarita Colonia, emblema della dignità “che rivela
l’indegnità altrui, in primo luogo di un potere corrotto e corruttore”.
“La nostra dignità - conclude la
Amodeo - sta nella capacità di svelare la miseria dietro questa visione del
mondo, delle relazioni tra i sessi, dei rapporti di potere che investono i
corpi: un vuoto di senso e di elaborazione di cui si faranno carico gli uomini,
se vorranno, per ridiscutere la loro dignità, ma la nostra non è a
disposizione”.
“A sud’europa”, Anno V n.10, 21
marzo 2011
Nessun commento:
Posta un commento