Franco Fortini |
24 voci per un dizionario di lettere è il titolo di un libro di
Franco Fortini pubblicato per il “Saggiatore” nel 1968. Alcune di quelle “voci”
(Avanguardia, per esempio, o Simbolismo),
scritte per dizionari, repertori, grandi opere in dispense, sono ragguardevoli
perché, nella loro funzionale brevità, rispondono insieme ad esigenze di
completezza informativa e di problematicità e rivelano rigore e coraggio nella
netta espressione di giudizi critici. Ma ancora più interessante era
l’introduzione in cui Fortini si produceva in un elogio dei lavori
intellettuali “servili”, come chiamava le recensioni, i riassunti, le voci
d’enciclopedia appunto, ritenuti non soltanto una attività inevitabile per la
sopravvivenza di intellettuali non integrati nelle strutture accademiche
statali, ma – ancor più – uno dei modi attraverso cui il letterato tradizionale
di idee socialiste e comuniste, poteva rendersi utile alle classi subalterne.
Fortini non disdegnava aristocraticamente di lavorare per l’industria culturale
(e anche per l’industria tout court,
visto che fu tra i “creativi” dell’Olivetti, tra l’altro inventore felice di
slogan pubblicitari): solo pretendeva da sé che quel “lavorare” fosse segno di
contraddizione e seminasse dubbi sull’assetto gerarchico e classista della
società.
Questa passione divulgativa non è in Fortini un portato degli anni Sessanta, una risposta al crescere della società di massa, con le grandi tirature editoriali, la scuola per tutti e i nuovi mezzi audiovisivi, ma risale alla Resistenza e all’esperienza del “Politecnico” a fianco di Vittorini. Nella rivista era inclusa una sezione chiamata Enciclopedia e Fortini – con lo pseudonimo di Giona – fu fin dal 1945 redattore di diverse sue “voci” d’argomento storico e letterario. Così questa dedicata a Carlo Pisacane, magistrale, dimostrazione che si poteva divulgare senza necessariamente semplificare fino alla banalizzazione, come avrebbe spesso fatto il Calendario del Popolo, di stretta osservanza comunista. Non erano ancora noti i Quaderni che Gramsci aveva compilato nella concentrazione carceraria, ma mi sembra già evidente da questa sintetica biografia critica un approccio convergente con quella del fondatore del Pci: la “rivoluzione italiana” non poteva fare a meno di una ricognizione accurata sul passato recente, sulle contraddizioni del Risorgimento, origine della “miseria italiana” che aveva condotto al fascismo. (S.L.L.)
Questa passione divulgativa non è in Fortini un portato degli anni Sessanta, una risposta al crescere della società di massa, con le grandi tirature editoriali, la scuola per tutti e i nuovi mezzi audiovisivi, ma risale alla Resistenza e all’esperienza del “Politecnico” a fianco di Vittorini. Nella rivista era inclusa una sezione chiamata Enciclopedia e Fortini – con lo pseudonimo di Giona – fu fin dal 1945 redattore di diverse sue “voci” d’argomento storico e letterario. Così questa dedicata a Carlo Pisacane, magistrale, dimostrazione che si poteva divulgare senza necessariamente semplificare fino alla banalizzazione, come avrebbe spesso fatto il Calendario del Popolo, di stretta osservanza comunista. Non erano ancora noti i Quaderni che Gramsci aveva compilato nella concentrazione carceraria, ma mi sembra già evidente da questa sintetica biografia critica un approccio convergente con quella del fondatore del Pci: la “rivoluzione italiana” non poteva fare a meno di una ricognizione accurata sul passato recente, sulle contraddizioni del Risorgimento, origine della “miseria italiana” che aveva condotto al fascismo. (S.L.L.)
PISACANE CARLO
(Napoli 1818 - Sanza 1857)
Suo padre era dei Duchi di San Giovanni. A tredici anni fu
mandata in collegio militare, alla «Nunziatella »; e crebbe in un ambiente e in
una cultura che erano di uno dei paesi più arretrati e reazionari d'Europa, le
« Due Sicilie » borboniche. Nel '43 è ufficiale del Genio dell'esercito
napoletano.
Una notte del 1846 (egli ha 28 anni), venne raccolto per
via, pugnalato. Pisacane dichiarò d'esser stato vittima della violenza di un
rapinatore; ma sembra molto probabile che si fosse trattato invece della
vendetta di un marito. Da molti anni infatti Pisacane, prima ancora ch'essa si
sposasse, amava Enrichetta di Lorenzo. La famiglia la volle moglie di tale
Dionisio Lazzari, uomo volgare, sembra, e ricco. Fu quell'amore bellissimo, che
mai nulla ebbe di basso e di meschino, ad accompagnarli per tutta la vita. Si
può anzi affermare che Enrichetta è un elemento essenziale nella vita di
Pisacane. È per quell'amore infatti che essa e Carlo, rompendo violentemente
con tutta la tradizione e la moralità della loro classe, fuggirono da Napoli,
nel 1847, su di una nave diretta a Livorno.
Esilio e miseria a Marsiglia, a Parigi, a Londra, e continue
persecuzioni dalle polizie che quella borbonica aizzava contro l'ufficiale
fuggiasco e la dama adultera. Carlo decide di mettere a servizio della Francia
le sue notevoli qualità militari; lascia la sua compagna a Parigi, si arruola
nella Legione Straniera, è ad Algeri. Ma dopo pochi mesi, le rivoluzioni del
febbraio-marzo '48 scuotono tutta Europa. Milano insorge. E Pisacane torna a
Marsiglia, vi ritrova Enrichetta, viene in Lombardia, s'arruola volontario,
organizza a difesa le valli del Comasco, si batte, è ferito. Alla fine
disgraziata della campagna, ripara a Lugano. Di là, raggiungerà il Piemonte. Ma
Roma ha proclamato la Repubblica (9 febbraio 1849). Pisacane vi accorre,
offrendosi a Mazzini. Capo di Stato Maggiore della Repubblica Romana, egli
prende parte a tutti i principali episodi di quella resistenza. Caduta la
repubblica, è di nuovo l'esilio in Svizzera, a Lugano e a Losanna, dov'egli e
il Mazzini vivono di lezioni private. Pisacane riassume tutta la dolorosa esperienza
delle sconfitte subite dalla rivoluzione italiana in una serie di saggi che
egli pubblica su di un giornale fondato da Mazzini («L'Italia del Popolo»).
Sono critiche alla condotta della guerra 1848-49, che lo mettono sovente in contrasto
con Garibaldi.
A questo punto della sua vita interviene un soggiorno di
sette mesi nella città di Londra, che è capitale per la formazione teorica di
Pisacane. Già a Lugano i contatti con Carlo Cattaneo lo avevano allontanato
dalle ideologie mazziniane per avviarlo ad una più concreta valutazione della
realtà storica italiana; a Londra egli ebbe vari e fruttiferi rapporti con
socialisti di tutti i paesi. Non si dimentichi che erano quelli gli anni nei
quali Marx ed Engels indagavano sulla struttura sociale della società
capitalistica, e in cui, in seguito all'esperienza della rivolta parigina del
'48, si affermavano le prime voci di un socialismo che non partisse nolo da
premesse utopistiche. Numerosi furono infatti i socialisti francesi che Pisacane
poté incontrare a Londra. Egli comprese allora che alla radice della tragedia
italiana stava la necessità di una rivoluzione proletaria, ed una eversione
totale del diritto di proprietà. L'ideale repubblicano e nazionale gli parve
derivare da una critica non sufficientemente profonda della formazione storica
italiana.
Ritornò in Italia con un corredo di idee nuove. Gli
bisognava elaborarle e svolgerle. Eccolo dunque, nel 1850, sistemarsi a Genova
e lì, attraverso ripetuti contatti con gli uomini più rappresentativi
dell'Italia d'allora, e rigorosi studi di storia e di economia, elaborare
quell'impo nente opera che sono i quattro volumi di Saggi storici, politici e militari sull'Italia.
Ma, fosse l'influenza della figura morale di Mazzini o
l'intolleranza di una più lunga inattività, il '55 vide un riavvicinarsi del
Pisacane all'ambiente mazziniano, ed un condividerne le idee per quanto
concerneva l'avversione alla spedizione di Crimea e le speranze nelle capacità
insurrezionali dell'Italia meridionale. Nel giugno '56, egli ha di nuovo un
contatto diretto col Mazzini. E da quel momento, dimentico delle proprie
premesse teoriche, collaborerà con i mazziniani per suscitare un'insurrezione
nel Sud, ne guida le file con il napoletano Giuseppe Fanelli, e con Rosolino
Pilo si fa capo di una spedizione. Il 9 giugno del '57 la tempesta impedisce un
primo tentativo del gruppo di volontari. Per esaminare la situazione di persona
egli si reca a Napoli clandestinamente, ne torna il 19 giugno, per partire
definitivamente il 25 giugno.
I ventiquattro votati alla morte, in massima parte popolani
animati da un disinteressato amore di libertà, si impadroniscono della nave e
la dirigono su Ponza. Arruolano colà detenuti comuni e politici (i trecento
«giovani e forti» della canzone di Mercantini) e sbarcano il 28 giugno a Sapri.
Disorganizzazione o viltà, nessuno è ad attenderli, nessuna traccia di
insurrezione nei villaggi della costa. In mezzo all'ostilità delle popolazioni,
gli uomini di Pisacane si inoltrano sulle colline dell'interno. Un primo
scontro con i Borbonici ne sbanda gran parte. Turbe di contadini, aizzati
dall'ignoranza e dal fanatismo religioso, armati di croci, di forconi e di
falci, danno l'assalto ai superstiti, Pisacane ordina di non aprire il fuoco
sulla plebe italiana che egli è venuto a riscattare e che sarà un giorno — egli
ne è certo — la creatrice della propria libertà. Muoiono massacrati, intorno
alla bandiera tricolore, i suoi compagni; e quando tutto è perduto egli stesso
si uccide (2 giugno 1857).
Nelle scuole italiane si è volutamente ignorato il valore
rivoluzionario del pensiero di Pisacane, per far di lui solo un martire
dell'indipendenza. Ma Pisacane è un esempio raro di italiano, che si libera non
solo dalle determinazioni di casta e di classe, ma anche dalle ideologie dei
rivoluzionari borghesi del suo tempo; giunge ad una visione teorica dei
conflitti di classe e della funzione del proletariato; e precorrendo così di
troppo la realtà del suo tempo, inalvea la sua contraddizione psicologica di
ragionatore positivo e di attivista romantico (che ha il suo equivalente nella
contraddizione storica Cattaneo-Mazzini) nella soluzione disperata dell'azione
insurrezionale. Così questo primo marxista italiano muore come un eroe antico,
dopo aver dettato lo stupendo Testamento
dove sono esplicite quelle sue contraddizioni di rigore stoico e di ardore
passionale, di fatalità deterministica e di individualistica libertà.
«Con gli occhi azzurri e coi capelli d'oro», Pisacane è
passato nei manuali scolastici. Ma il suo Saggio
sulla rivoluzione (che Sonzogno aveva pubblicato nella sua Universale e
che Giaime Pintor ripubblicò da Einaudi), pur col suo schematismo ancora
settecentesco, è un'opera di una novità e di una audacia sorprendenti. Come la
sua biografia, d'altronde. Perché egli è stato un uomo libero, che vuole liberi
gli altri: un uomo senza fantasmi.
La sua lotta — come scrisse Nello Rosselli, autore della più
compiuta biografìa di Pisacane (F.lli Bocca editori) — sta a provare, con la
sua tragica conclusione, quanto fosse difficile fare in Italia una rivoluzione
sociale e democratica e quanto affrettatamente si sia concluso, nel giuoco
della monarchia, un Risorgimento che oggi è in gran parte da rifare.
Giona
"Il Politecnico", n.5, 27 ottobre 1945
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