8.9.13

Dall'Enciclopedia del "Politecnico". Carlo Pisacane (di Franco Fortini)

Franco Fortini
24 voci per un dizionario di lettere è il titolo di un libro di Franco Fortini pubblicato per il “Saggiatore” nel 1968. Alcune di quelle “voci” (Avanguardia, per esempio, o Simbolismo), scritte per dizionari, repertori, grandi opere in dispense, sono ragguardevoli perché, nella loro funzionale brevità, rispondono insieme ad esigenze di completezza informativa e di problematicità e rivelano rigore e coraggio nella netta espressione di giudizi critici. Ma ancora più interessante era l’introduzione in cui Fortini si produceva in un elogio dei lavori intellettuali “servili”, come chiamava le recensioni, i riassunti, le voci d’enciclopedia appunto, ritenuti non soltanto una attività inevitabile per la sopravvivenza di intellettuali non integrati nelle strutture accademiche statali, ma – ancor più – uno dei modi attraverso cui il letterato tradizionale di idee socialiste e comuniste, poteva rendersi utile alle classi subalterne. Fortini non disdegnava aristocraticamente di lavorare per l’industria culturale (e anche per l’industria tout court, visto che fu tra i “creativi” dell’Olivetti, tra l’altro inventore felice di slogan pubblicitari): solo pretendeva da sé che quel “lavorare” fosse segno di contraddizione e seminasse dubbi sull’assetto gerarchico e classista della società.
Questa passione divulgativa non è in Fortini un portato degli anni Sessanta, una risposta al crescere della società di massa, con le grandi tirature editoriali, la scuola per tutti e i nuovi mezzi audiovisivi, ma risale alla Resistenza e all’esperienza del “Politecnico” a fianco di Vittorini. Nella rivista era inclusa una sezione chiamata Enciclopedia e Fortini – con lo pseudonimo di Giona – fu fin dal 1945 redattore di diverse sue “voci” d’argomento storico e letterario. Così questa dedicata a Carlo Pisacane, magistrale, dimostrazione che si poteva divulgare senza necessariamente semplificare fino alla banalizzazione, come avrebbe spesso fatto il Calendario del Popolo, di stretta osservanza comunista. Non erano ancora noti i Quaderni che Gramsci aveva compilato nella concentrazione carceraria, ma mi sembra già evidente da questa sintetica biografia critica un approccio convergente con quella del fondatore del Pci: la “rivoluzione italiana” non poteva fare a meno di una ricognizione accurata sul passato recente, sulle contraddizioni del Risorgimento, origine della “miseria italiana” che aveva condotto al fascismo. (S.L.L.)
PISACANE CARLO
(Napoli 1818 - Sanza 1857)

Suo padre era dei Duchi di San Giovanni. A tredici anni fu mandata in collegio militare, alla «Nunziatella »; e crebbe in un ambiente e in una cultura che erano di uno dei paesi più arretrati e reazionari d'Europa, le « Due Sicilie » borboniche. Nel '43 è ufficiale del Genio dell'esercito napoletano.
Una notte del 1846 (egli ha 28 anni), venne raccolto per via, pugnalato. Pisacane dichiarò d'esser stato vittima della violenza di un rapinatore; ma sembra molto probabile che si fosse trattato invece della vendetta di un marito. Da molti anni infatti Pisacane, prima ancora ch'essa si sposasse, amava Enrichetta di Lorenzo. La famiglia la volle moglie di tale Dionisio Lazzari, uomo volgare, sembra, e ricco. Fu quell'amore bellissimo, che mai nulla ebbe di basso e di meschino, ad accompagnarli per tutta la vita. Si può anzi affermare che Enrichetta è un elemento essenziale nella vita di Pisacane. È per quell'amore infatti che essa e Carlo, rompendo violentemente con tutta la tradizione e la moralità della loro classe, fuggirono da Napoli, nel 1847, su di una nave diretta a Livorno.
Esilio e miseria a Marsiglia, a Parigi, a Londra, e continue persecuzioni dalle polizie che quella borbonica aizzava contro l'ufficiale fuggiasco e la dama adultera. Carlo decide di mettere a servizio della Francia le sue notevoli qualità militari; lascia la sua compagna a Parigi, si arruola nella Legione Straniera, è ad Algeri. Ma dopo pochi mesi, le rivoluzioni del febbraio-marzo '48 scuotono tutta Europa. Milano insorge. E Pisacane torna a Marsiglia, vi ritrova Enrichetta, viene in Lombardia, s'arruola volontario, organizza a difesa le valli del Comasco, si batte, è ferito. Alla fine disgraziata della campagna, ripara a Lugano. Di là, raggiungerà il Piemonte. Ma Roma ha proclamato la Repubblica (9 febbraio 1849). Pisacane vi accorre, offrendosi a Mazzini. Capo di Stato Maggiore della Repubblica Romana, egli prende parte a tutti i principali episodi di quella resistenza. Caduta la repubblica, è di nuovo l'esilio in Svizzera, a Lugano e a Losanna, dov'egli e il Mazzini vivono di lezioni private. Pisacane riassume tutta la dolorosa esperienza delle sconfitte subite dalla rivoluzione italiana in una serie di saggi che egli pubblica su di un giornale fondato da Mazzini («L'Italia del Popolo»). Sono critiche alla condotta della guerra 1848-49, che lo mettono sovente in contrasto con Garibaldi.

A questo punto della sua vita interviene un soggiorno di sette mesi nella città di Londra, che è capitale per la formazione teorica di Pisacane. Già a Lugano i contatti con Carlo Cattaneo lo avevano allontanato dalle ideologie mazziniane per avviarlo ad una più concreta valutazione della realtà storica italiana; a Londra egli ebbe vari e fruttiferi rapporti con socialisti di tutti i paesi. Non si dimentichi che erano quelli gli anni nei quali Marx ed Engels indagavano sulla struttura sociale della società capitalistica, e in cui, in seguito all'esperienza della rivolta parigina del '48, si affermavano le prime voci di un socialismo che non partisse nolo da premesse utopistiche. Numerosi furono infatti i socialisti francesi che Pisacane poté incontrare a Londra. Egli comprese allora che alla radice della tragedia italiana stava la necessità di una rivoluzione proletaria, ed una eversione totale del diritto di proprietà. L'ideale repubblicano e nazionale gli parve derivare da una critica non sufficientemente profonda della formazione storica italiana.
Ritornò in Italia con un corredo di idee nuove. Gli bisognava elaborarle e svolgerle. Eccolo dunque, nel 1850, sistemarsi a Genova e lì, attraverso ripetuti contatti con gli uomini più rappresentativi dell'Italia d'allora, e rigorosi studi di storia e di economia, elaborare quell'impo nente opera che sono i quattro volumi di Saggi storici, politici e militari sull'Italia.

Ma, fosse l'influenza della figura morale di Mazzini o l'intolleranza di una più lunga inattività, il '55 vide un riavvicinarsi del Pisacane all'ambiente mazziniano, ed un condividerne le idee per quanto concerneva l'avversione alla spedizione di Crimea e le speranze nelle capacità insurrezionali dell'Italia meridionale. Nel giugno '56, egli ha di nuovo un contatto diretto col Mazzini. E da quel momento, dimentico delle proprie premesse teoriche, collaborerà con i mazziniani per suscitare un'insurrezione nel Sud, ne guida le file con il napoletano Giuseppe Fanelli, e con Rosolino Pilo si fa capo di una spedizione. Il 9 giugno del '57 la tempesta impedisce un primo tentativo del gruppo di volontari. Per esaminare la situazione di persona egli si reca a Napoli clandestinamente, ne torna il 19 giugno, per partire definitivamente il 25 giugno.
I ventiquattro votati alla morte, in massima parte popolani animati da un disinteressato amore di libertà, si impadroniscono della nave e la dirigono su Ponza. Arruolano colà detenuti comuni e politici (i trecento «giovani e forti» della canzone di Mercantini) e sbarcano il 28 giugno a Sapri. Disorganizzazione o viltà, nessuno è ad attenderli, nessuna traccia di insurrezione nei villaggi della costa. In mezzo all'ostilità delle popolazioni, gli uomini di Pisacane si inoltrano sulle colline dell'interno. Un primo scontro con i Borbonici ne sbanda gran parte. Turbe di contadini, aizzati dall'ignoranza e dal fanatismo religioso, armati di croci, di forconi e di falci, danno l'assalto ai superstiti, Pisacane ordina di non aprire il fuoco sulla plebe italiana che egli è venuto a riscattare e che sarà un giorno — egli ne è certo — la creatrice della propria libertà. Muoiono massacrati, intorno alla bandiera tricolore, i suoi compagni; e quando tutto è perduto egli stesso si uccide (2 giugno 1857).

Nelle scuole italiane si è volutamente ignorato il valore rivoluzionario del pensiero di Pisacane, per far di lui solo un martire dell'indipendenza. Ma Pisacane è un esempio raro di italiano, che si libera non solo dalle determinazioni di casta e di classe, ma anche dalle ideologie dei rivoluzionari borghesi del suo tempo; giunge ad una visione teorica dei conflitti di classe e della funzione del proletariato; e precorrendo così di troppo la realtà del suo tempo, inalvea la sua contraddizione psicologica di ragionatore positivo e di attivista romantico (che ha il suo equivalente nella contraddizione storica Cattaneo-Mazzini) nella soluzione disperata dell'azione insurrezionale. Così questo primo marxista italiano muore come un eroe antico, dopo aver dettato lo stupendo Testamento dove sono esplicite quelle sue contraddizioni di rigore stoico e di ardore passionale, di fatalità deterministica e di individualistica libertà.
«Con gli occhi azzurri e coi capelli d'oro», Pisacane è passato nei manuali scolastici. Ma il suo Saggio sulla rivoluzione (che Sonzogno aveva pubblicato nella sua Universale e che Giaime Pintor ripubblicò da Einaudi), pur col suo schematismo ancora settecentesco, è un'opera di una novità e di una audacia sorprendenti. Come la sua biografia, d'altronde. Perché egli è stato un uomo libero, che vuole liberi gli altri: un uomo senza fantasmi. 
La sua lotta — come scrisse Nello Rosselli, autore della più compiuta biografìa di Pisacane (F.lli Bocca editori) — sta a provare, con la sua tragica conclusione, quanto fosse difficile fare in Italia una rivoluzione sociale e democratica e quanto affrettatamente si sia concluso, nel giuoco della monarchia, un Risorgimento che oggi è in gran parte da rifare.
Giona


"Il Politecnico", n.5, 27 ottobre 1945

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