Nel 1826, quando lo Zibaldone raggiunge ormai le quattromila
pagine, Leopardi si sente in qualche modo costretto a misurarsi con la mole del
suo a-generico, «smisurato manoscritto», per tentare di definirne lo statuto ma
anche per servirsene come canovaccio in vista di future creazioni letterarie.
Comincia allora a rileggere - spiega all'editore Stella - «tutte quelle
migliaia di pagine» con il proposito di radunare i materiali preparatori in
base a cui allestire un ventaglio di articoli e opere. «Nessun lavoro
determinato», racconta in un'altra occasione ad Antonio Papadopoli: anche se a
smentire ogni ombra di indeterminatezza sopraggiungono non soltanto gli Indici, terminati nel `27, che accorpano
scrupolosamente le riflessioni dello scartafaccio attorno a nuclei semantici e
tracciano percorsi guidati per una lettura tematica; ma anche le Polizzine a parte, che raggruppano
costellazioni di pensieri attorno all'orbita magnetica di alcuni titoli e li
ascrivono al progetto simultaneo di eventuali libri a venire.
Avvalendosi di simili
indicazioni, al lettore dello Zibaldone
risulta legittimo prelevare le pagine che contribuiscono a costituire ciascun
progetto e affiancarle fino a ricavare una serie di volumi: è stato fatto
nell'edizione tematica dello Zibaldone,
che tra gli altri pubblica, nell'ultimo tomo, i pensieri catalogati sotto
l'etichetta Memorie della mia vita (a
cura di Fabiana Cacciapuoti, prefazione di Antonio Prete, Donzelli). Ma chi
affronta questa possibile, comunque autorizzata autobiografia non può fare a
meno di alcune precisazioni cruciali: dovrà sapere innanzitutto che la nostra
edizione tematica, in maniera del tutto inspiegabile, evita di riportare
frammenti che, una volta concluse le Polizzine,
Leopardi ha segnalato dopo il `27 direttamente sulle pagine dello Zibaldone; e
dovrà inoltre tener presente che i materiali di questa singolare, evanescente
autobiografia sono stati bloccati al livello di abbozzo e che chi li ha selezionati
non si è poi mai deciso a ricavarne un racconto. Perché Leopardi si impegna di
certo a registrare nelle Polizzine,
come ha segnalato Fabiana Cacciapuoti, «elementi mobili, funzionali a una
scrittura basata su un sistema di logica combinatoria per moltiplicarne il
senso»; ma questa catalogazione resta pur sempre un sentiero interrotto, un
inventario preparatorio di tessere disorganizzate in vista di un libro a venire
mai scritto.
L'autobiografia, del resto, per
Leopardi equivale a una sorta di pratica clandestina, costretta a eludere la
sorveglianza poliziesca di un occhio ostile. Invisibili e onnipresenti - la
madre-marchesa Adelaide -, autoritari e repressivi - il padre Monaldo - i
genitori sono pronti a congelare le pubblicazioni troppo pericolose, che non
risultano sintonizzate sul passatismo e la «santa pace» di una casata in
declino: e proprio perché l'esperienza personale, per Leopardi, è ingranaggio
fondamentale di un sistema filosofico controcorrente, l'urgenza autobiografica
viene allora difesa ed esercitata, nonostante gli ostacoli, a forza di
stratagemmi di copertura, verità oblique (o filosoficamente mascherate),
dissimulazioni retoriche, scritture criptiche e codici cifrati. Le eventuali,
inesistenti Memorie avrebbero dunque l'aspetto di un congegno segreto,
costretto a fabbricarsi modalità espressive in grado di eludere e valicare gli
interdetti letterari. Non c'è motivo di avvicinarle, come fa Antonio Prete, al
progetto di chi, come Montaigne, ha detto «sono io stesso la materia del mio
libro», perché l'autobiografo, nella fattispecie, non tenta neppure di
sottoporsi al programma del suo eventuale modello (ritrarsi «seminudo» agli
occhi del lettore).
Se il «disegno» di
un'autobiografia - che, ci dimostra l'Epistolario,
assilla l'intera parabola intellettuale di Leopardi - non riesce a guadagnarsi
uno spazio è anche per costante dissimulazione di una verità scomoda e
impronunciabile: il racconto di un'esistenza in cui «tutto è nulla». Una storia
senza clamorosi avvenimenti e la fisionomia di uno sfuggente, sventurato eroe
non riescono a garantire al narratore sufficienti credenziali e gli impongono
un rigoroso silenzio; oppure lo spingono a ricercare funzionali vie di fuga per
mettere tra parentesi la «realtà»: come tralasciare i fatti, sommergere
l'autobiografia con il fascino della scienza, arrivando persino a non dire io
pur di fare spazio alla sistematicità generica della teoria.
Non serve insistere, come fa
Fabiana Cacciapuoti, che «la storia c'è», che se ne possono «dare tempi, giorni,
anni». Non mi sembra lecito risolvere il paradosso di un disegno
autobiografico, costante eppure mai del tutto esaudito da Leopardi, costruendo
con spavalda leggerezza, sulla scorta dei frammenti da lui selezionati, un
racconto classico dotato di «un inizio, uno svolgimento, una fine». Perché il
racconto di questa possibile autobiografia a venire destituisce in ogni modo le
gerarchie cronologiche, sbriciola i nessi causali, scalza le catene della
successione e della memoria, sopprime le connessioni e rende aerea, quasi
innecessaria, la loro fattualità.
A prendere la parola è una voce
generica che si eleva al di sopra della semplice nullità delle cose, le scruta
dalla superiore prospettiva dell'uomo di immaginazione. E sotto il vessillo
della filosofia, tace, omette, postula e spesso sopprime la concretezza degli
eventi. Resta il pensiero: ma l'attività configurante non spinge il lettore ad
indagare alle sue spalle, a riconoscere nell'attività teoretica, come vuole
Prete, il «riverbero di una passione» (perché questa è in realtà l'origine di
ogni pensiero dello Zibaldone); impone piuttosto di avventurarsi in una lettura
contrastiva e chiedersi perché quel pensiero - e non un altro - è stato
selezionato per partecipare all'edificazione di un'autobiografia.
A questi patti, il lettore è
chiamato alla risoluzione di un gigantesco rompicapo, che viene denominato Memorie della mia vita e presenta invece
l'aspetto del mosaico e del puzzle: dovrà costruire - avendo presente lo Zibaldone nella sua totalità sistematica
- un autoritratto dell'autore sulla base di una selezione privilegiata di
frammenti liberamente combinabili; confrontarsi con una storia instabile,
pronta a variare secondo le mutevoli possibilità di assemblaggio di tessere
testuali senza «stile»; esercitare l'arte della decifrazione e riconoscere
l'accento dell'autore sotto le parole di portavoce strategici (il filosofo, il
genio, il poeta, il gentiluomo, il suicida, il giovane): per fabbricare, al
termine delle operazioni, una sorta di romanzo imputabile soltanto alla propria
decisiva collaborazione e all'affabulazione prodotta dalle sue capacità
d'ingegneria.
Se poi desiderasse a tutti i
costi evidenziare una storia in queste Memorie,
la più probabile non aderisce a regole aristoteliche di progettazione: ricalca
semmai il ciclo Speranza-Disperazione-Risurrezione delle Illusioni e interessa il destino di ogni possibile controfigura di
Leopardi. Perché ognuna di esse è obbligata, assieme al lettore, a sottostare
alle regole di questo universale, prevedibile circuito narrativo e a
rilanciarne per pagine e pagine i ritmi. Fino al drammatico, esaustivo epilogo.
Nessun commento:
Posta un commento