Boris Pasternak terminò Il dottor Zivago nell' estate del 1954;
quell'anno, nel fascicolo di aprile, la rivista “Znàmja” aveva pubblicato una
scelta delle poesie di Jurij Zivago, col titolo di Versi dal romanzo, e una breve presentazione dell' intreccio. Credo
opportuno ricordare questo, non per la coincidenza banale, e probabilmente
casuale, tra la riproposizione questa sera in Tv, RaiUno, del film che David
Lean ne trasse nel 1965, e i trent'anni dal compimento del romanzo stesso; ma
per suggerire a quei telespettatori che in qualche modo si riaccosteranno ai
temi del celebre romanzo, di rapportarli non agli anni del "caso
Pasternak" (tra il 1957 e il 1960, in piena èra kruscioviana), bensì a
quelli in cui Pasternak compose il romanzo, tra il 1946 e il 1954, cioè nell'estremo
periodo staliniano.
Come i lettori meno giovani
ricorderanno, la vicenda della pubblicazione in Italia, nel novembre 1957, de Il dottor Zivago (fu il primo caso d'un
romanzo d'autore sovietico vivente pubblicato all' estero) non costituì di per
sé uno scandalo particolare. Certo, tra Mosca e Peredèlkino ci fu grande
agitazione, si tentò tutto per riavere da Feltrinelli il manoscritto; ma a
pubblicazione avvenuta, la stampa sovietica si limitò a ignorare lo scalpore
suscitato in Occidente dal libro. Come ritorsione, svanì l'ultima speranza di
vederne la pubblicazione in Urss - magari, opportunamente "tagliato"
-; e una ponderosa raccolta dei versi di Pasternak subì la stessa sorte (da
allora, per gli studiosi, è nota come Impaginato 1957).
Il vero "caso
Pasternak" scoppiò solo un anno dopo, quando il 23 ottobre 1958 l'Accademia
di Svezia conferì allo scrittore il premio Nobel per la letteratura, "per
il ragguardevole contributo alla lirica contemporanea e alla grande tradizione
dei prosatori russi". La storia e i retroscena di quei mesi hanno avuto
numerosi testimoni e cronisti; forse la versione più dettagliata è quella che
ce ne ha dato Olga Ivinskaja, compagna dello stesso Boris Leonidovic (e, almeno
in parte, prototipo di Lara). A distanza di venticinqe anni, due circostanze
meritano d'essere ricordate, come emblematiche di tutta la vicenda.
La prima: il principale
accusatore pubblico di Pasternak fu quello stesso David Zaslavskij (1880-1965)
che nel 1928 s'era distinto per l' attacco grossolano contro Osip Mandel'shtam,
e che nel 1917 (quand'era menscevico) era stato definito da Lenin in persona
"il noto calunniatore, signor Zaslavskij": un vero specialista del
genere, con marchio d'origine autorevolmente garantito.
La seconda circostanza, sempre in
tema di corsi e ricorsi: a Pasternak capitò con Krusciov un po' quello che era
capitato a Mandel'shtam con Stalin. E' ben noto, se non altro dalle memorie della
moglie Nadezhda, che all'epoca del primo arresto di Osip Emilevic ci fu una
telefonata tra Stalin e Pasternak, il quale aveva intercesso per l'amico presso
Bucharin; e che nel corso della storica telefonata, Stalin chiese a Pasternak
(vedi lo strano potere, o suggestione, della Poesia, con la P maiuscola) se
ritenesse Mandel'shtam "un vero artista, proprio un vero artista",
ricevendone in risposta un freddino (ma intelligente) "questo non ha
importanza". E' meno noto (e ce lo riferisce Roj Medvedev, nella sua
biografia di Krusciov) che nel maggio 1959 Nikita Sergeevic chiese a
Tvardovskij se fosse proprio vero che Pasternak era un così grande poeta.
Tvardovskij, di rimando: "Lei mi ritiene un grande poeta?", e alla
risposta affermativa di Krusciov, "Ecco", replicò Tvardovskij, "a
paragone di Pasternak io non sono affatto un grande poeta".
Tragga ognuno le considerazioni
che vuole da questi episodi; quel che volevo dire all' inizio è che non su
questo va letto, e tanto più oggi, a un quarto di secolo di distanza, Il dottor Zivago. Gli anni in cui il
romanzo venne scritto sono quelli, come dicevo, della fine dell' era
staliniana. Ma anche questo non dice tutto: in realtà già negli anni Trenta
Pasternak aveva cercato di scrivere "un romanzo di vita
contemporanea" (i frammenti conservati sono stati pubblicati, da
Feltrinelli, come Inizio d'un romanzo su
Patrik). E quello stesso romanzo incompiuto degli anni Trenta si ricollega
alle prose precedenti, giovanili, da Disamore
(1918), a L'infanzia di Zhenja Ljuvers,
a Racconto: luoghi, personaggi,
situazioni che si inseguono da un testo all'altro, da un progetto narrativo al
seguente. Sicché a ragione Pietro Zveteremich scriveva che "Jurij Zivago
(è) il personaggio più amato, che insegue l' autore dal 1917 al 1954,
riproponendosi in tutte le fasi della sua opera".
Un personaggio, come scrisse in
una lettera privata lo stesso Pasternak, che, più che rifarsi a un prototipo
individuale, "dovrà rappresentare qualcosa di intermedio tra me, Blok,
Esenin e Majakovskij".
E' proprio la tessitura storico-fantasmatica
a farci intendere che, al di là delle ovvie interferenze che una memoria
privata può esercitare su un progetto letterario, non bisogna leggere un
romanzo come Il dottor Zivago insistendo oltremisura sulla componente
autobiografica; e, di conseguenza, non ha nemmeno senso proporsi il problema
ideologico della "sovieticità" o meno del romanzo, perché esso
rappresenta il frutto pieno e maturo, rivissuto da un'alta consapevolezza
poetica, della vita e della riflessione d'un intellettuale la cui vicenda è
stata segnata dall'esperienza storica dell' Ottobre.
Un'ultima cosa andrà ancora
sottolineata; c'è stata, tra gli specialisti una lunga diatriba sulla
legittimità o meno di distinguere un "primo" da un
"secondo" Pasternak; la contrapposizione tra il poeta (degli anni
Venti), e il romanziere (degli anni Quaranta), tra il Pasternak
"difficile" e segnato dal clima della avanguardia, e quello che tende
a una totale semplicità, non è di per sé infondata (tanto che la proponeva l'autore
stesso): ma è semplicistico ridurla in termini cronologici, perché, come ho
detto, lo stesso romanzo affonda le sue lontane origini nel Pasternak che
scriveva Mia sorella, la vita, o Temi e variazioni.
E il film di David Lean, che c'entra
in questo? Risponderò con un aneddoto: richiesta del perché Il dottor Zivago continuasse a non venir
pubblicato in Urss, il ministro sovietico della cultura dell'epoca, signora
Furtseva, rispose - si racconta - che non se ne avvertiva la necessità,
trattandosi d'opera mediocre, "come del resto si può facilmente constatare
dal melenso film che ne è stato tratto".
“la Repubblica”, 6 maggio 1984
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