René Blondlot sedicente inventore degli improbabili "raggi N" |
La truffa, quando è perpetrata da
uomini di scienza, turba le coscienze più dei misfatti dei comuni mortali. Come
può, chi ha fatto di razionalità e rigore la propria professione, deviare dalla
verità? Quale diabolica pulsione lo spinge? Una serie di sgradevoli episodi
accaduti in questi ultimi mesi nella comunità scientifica internazionale riapre
la discussione.
Recentemente, il dottor Philip
Felig è stato costretto a dimettersi da preside del Dipartimento di medicina
della Columbia University (New York) in seguito all'accusa, mossagli da due
ricercatori, di avere copiato un loro lavoro sull'insulina. Felig aveva potuto
leggere il paper in anteprima nella sua qualità di consulente del «New
England Journal of Medicine».
In estate era esploso il caso del dottor Elias Alsabti, giordano di nazionalità, cancerologo in apparenza, plagiario nella realtà. Dei 23 lavori che figurano a sua firma nell'«Index Medicus», non si sa quanti siano originali e quanti copiati; ma l'elegante Alsabti avrebbe continuato a frequentare i migliori laboratori d'America e d'Europa se un altro cancerologo, l'americano Wierda, non si fosse accorto che un proprio articolo, già apparso sull'«European Journal of Cancer», era stato ripubblicato tale e quale sul «Japanese Journal of Medicai Science». Cambiava solo una cosa: la firma, che è quella di Alsabti. Il direttore della rivista giapponese ha quasi fatto harakiri, e ha dichiarato: «Questa sfortunata esperienza dimostra quanto sia difficile scoprire tempestivamente gli atti di pirateria intellettuale».
Nel frattempo Alsabti è scomparso senza lasciare traccia. Va ricordato che circa due anni fa lo stesso Alsabti aveva fatto oggetto delle sue proditorie attenzioni l'Istituto dei tumori di Milano, tentando di far pubblicare sul periodico dell'Istituto ben cinque relazioni. «Per fortuna ci siamo accorti in tempo dell'inganno», commenta il professor Umberto Veronesi, «ma abbiamo corso un bel rischio».
In estate era esploso il caso del dottor Elias Alsabti, giordano di nazionalità, cancerologo in apparenza, plagiario nella realtà. Dei 23 lavori che figurano a sua firma nell'«Index Medicus», non si sa quanti siano originali e quanti copiati; ma l'elegante Alsabti avrebbe continuato a frequentare i migliori laboratori d'America e d'Europa se un altro cancerologo, l'americano Wierda, non si fosse accorto che un proprio articolo, già apparso sull'«European Journal of Cancer», era stato ripubblicato tale e quale sul «Japanese Journal of Medicai Science». Cambiava solo una cosa: la firma, che è quella di Alsabti. Il direttore della rivista giapponese ha quasi fatto harakiri, e ha dichiarato: «Questa sfortunata esperienza dimostra quanto sia difficile scoprire tempestivamente gli atti di pirateria intellettuale».
Nel frattempo Alsabti è scomparso senza lasciare traccia. Va ricordato che circa due anni fa lo stesso Alsabti aveva fatto oggetto delle sue proditorie attenzioni l'Istituto dei tumori di Milano, tentando di far pubblicare sul periodico dell'Istituto ben cinque relazioni. «Per fortuna ci siamo accorti in tempo dell'inganno», commenta il professor Umberto Veronesi, «ma abbiamo corso un bel rischio».
Il raggio della morte
L'appropriazione indebita delle idee
altrui è una truffa che si può ben dire classica in campo scientifico. Nel 1545
il matematico pavese Girolamo Cardano pubblicò la soluzione delle equazioni di
terzo e quarto grado, dimenticando di nominare Nicolò Tartaglia, che quella
scoperta gli aveva rivelato sotto vincolo del segreto assoluto. Ne nacque una
delle più aspre polemiche della storia della scienza.
Perché Tartaglia non sia oggetto di immeritata simpatia, va però ricordato che anche lui pubblicò una traduzione archimedea, copiata da quella di Moerbeke, dando l'impressione che fosse opera sua, e nei Quesiti et inventioni diverse (1546) illustrò la legge del piano inclinato, traendola presumibilmente dall'opera di Giordano Nemorario, senza dichiararne la fonte (Boyer, Storia della matematica, Isedi).
Perché Tartaglia non sia oggetto di immeritata simpatia, va però ricordato che anche lui pubblicò una traduzione archimedea, copiata da quella di Moerbeke, dando l'impressione che fosse opera sua, e nei Quesiti et inventioni diverse (1546) illustrò la legge del piano inclinato, traendola presumibilmente dall'opera di Giordano Nemorario, senza dichiararne la fonte (Boyer, Storia della matematica, Isedi).
In tempi più recenti c'è stato il
caso di Bell, che soffiò l'idea del telefono a Meucci; di Edison, che sottrasse
quella della lampadina al piemontese Cruto; di Marconi, che pare abbia
derivato quella della radio dal russo Popov. Emilio Segré, premio Nobel 1959
per la dimostrazione sperimentale dell'esistenza dell'antiprotone , ha
fronteggiato in tribunale un altro fisico italiano emigrato negli Stati Uniti,
Oreste Piccioni, che gli contestava la paternità della scoperta; mentre
l'inventore del laser è stato trascinato in giudizio da un tale che aveva già
depositato il brevetto del «raggio della morte».
Il plagio è un inganno quasi sempre
banale, anche se spesso difficile da individuare. Sono più complessi — e
gettano più luce sulla psicologia dei dottori imbroglioni — gli inganni come
quello (...) che ebbe per protagonista lo stimato
immunologo americano William Summerlin, sorpreso nel suo laboratorio la notte
del 27 marzo 1974 a dipingere topolini per far credere che i trapianti di
pelle, realizzati secondo la sua tecnica, avevano attecchito.
Chi cercasse però tra i truffatori in camice bianco il bieco falsario, il delinquente comune, sarebbe condannato a non capire. L'illecito scientifico è variegato, pieno di sfumature e di mezze verità. La tecnica di trapianto di Summerlin è stata recentemente ripresa da altri immunologi perché molto promettente. E poi, anche Gregor Mendel, padre fondatore della genetica, «aggiustò» un pochino alcuni risultati sperimentali per renderli compatibili con le sue previsioni teoriche: un peccato veniale che, visto nel contesto dell'opera di quel sommo, non toglie smalto alla sua immagine.
Chi cercasse però tra i truffatori in camice bianco il bieco falsario, il delinquente comune, sarebbe condannato a non capire. L'illecito scientifico è variegato, pieno di sfumature e di mezze verità. La tecnica di trapianto di Summerlin è stata recentemente ripresa da altri immunologi perché molto promettente. E poi, anche Gregor Mendel, padre fondatore della genetica, «aggiustò» un pochino alcuni risultati sperimentali per renderli compatibili con le sue previsioni teoriche: un peccato veniale che, visto nel contesto dell'opera di quel sommo, non toglie smalto alla sua immagine.
In alcuni casi, nello scienziato
falsario si è creduto di riconoscere i tratti del soggetto psicopatico. Cyril
Burt, psicologo inglese molto stimato ai suoi tempi (morì nel 1971, a ottantotto
anni), aveva costruito la sua fama sulla dimostrazione che l'intelligenza non è
un carattere acquisito, un risultato dell'educazione dell'ambiente, bensì un
carattere ereditario, trasmesso dai genitori.
Burt basava la sua teoria, gravida dì implicazioni politiche e sociali, sull'osservazione di coppie di gemelli omozigoti, cioè identici, separati fin dall'infanzia: una gran massa di osservazioni, così vasta da insospettire i postumi studiosi della sua opera. Come aveva potuto lo psicologo trovare tanti gemelli omozigoti, per di più allevati in famiglie diverse? Leslie Hearnshaw, uno storico della scienza incaricato di redigere la biografia di Burt, si rese conto, esaminando le carte dello scomparso, che la sua teoria dell'intelligenza innata era basata sull'osservazione di appena quindici coppie di gemelli, effettuata prima della guerra. Per il resto della sua carriera, Burt non aveva fatto altro che inventare dati perfettamente compatibili con l'ipotesi iniziale. Perché?
Una prima spiegazione («La Recherche», luglio-agosto 1980) è che lo psicologo fosse così intimamente convinto della validità della sua tesi, da fabbricarne le prove. Ciò che configurerebbe, secondo gli psichiatri, un caso abbastanza esplicito di paranoia.
Burt basava la sua teoria, gravida dì implicazioni politiche e sociali, sull'osservazione di coppie di gemelli omozigoti, cioè identici, separati fin dall'infanzia: una gran massa di osservazioni, così vasta da insospettire i postumi studiosi della sua opera. Come aveva potuto lo psicologo trovare tanti gemelli omozigoti, per di più allevati in famiglie diverse? Leslie Hearnshaw, uno storico della scienza incaricato di redigere la biografia di Burt, si rese conto, esaminando le carte dello scomparso, che la sua teoria dell'intelligenza innata era basata sull'osservazione di appena quindici coppie di gemelli, effettuata prima della guerra. Per il resto della sua carriera, Burt non aveva fatto altro che inventare dati perfettamente compatibili con l'ipotesi iniziale. Perché?
Una prima spiegazione («La Recherche», luglio-agosto 1980) è che lo psicologo fosse così intimamente convinto della validità della sua tesi, da fabbricarne le prove. Ciò che configurerebbe, secondo gli psichiatri, un caso abbastanza esplicito di paranoia.
La scoperta di Blondlot
L'episodio forse più clamoroso di
falso scientifico, questa volta non deliberato, ma certo non meno riprovevole,
fu il caso dei «raggi N», che agitò il mondo scientifico agli inizi del secolo.
L'avvio del ventesimo secolo fu uno dei periodi più eccitanti della scienza
moderna. Nel 1895 Roentgen era riuscito a produrre i raggi X. Successivamente
erano stati scoperti i raggi gamma, beta, alfa. Nel 1900 sembrava sicuro che
sarebbero stati trovati altri tipi di raggi. E infatti nel 1903 René Blondlot,
brillante fisico francese, membro dell'Académie des Sciences, annunciò la
scoperta di un nuovo tipo di radiazione, che chiamò raggi N in onore
dell'università di Nancy, alla quale apparteneva. Grande fu il tripudio nel
mondo scientifico. I raggi N divennero ben presto uno degli oggetti di
sperimentazione preferiti («Le Scienze», luglio 1980).
Nel 1904 l'Académie conferì a
Blondlot il prestigioso Prix Leconte, di 50.000 franchi, mentre ben venti
scienziati francesi confermavano l'esistenza dei raggi e ne descrivevano le
peculiarità. Senonché un fisico americano dell'università Johns Hopkins, R.W.
Wood, giovane e anticonformista, cominciò a mettere in dubbio il tutto.
Recatosi a Nancy, volle prendere parte agli esperimenti, che gli parvero sempre
meno probanti: finché, approfittando dell'oscurità in cui si svolgevano, decise
di sottrarre una parte fondamentale dell'apparecchio che produceva i raggi N:
l'esperimento dette gli stessi risultati. Tornato in America, Wood descrisse
l'accaduto sulle riviste scientifiche, decretando così l'inesistenza dei famosi
«raggi N».
Ne nacque ovviamente una contesa in
cui i paladini dei «raggi N» sostennero che solo le razze latine possedevano la
sensibilità necessaria per apprezzare la presenza dei raggi. Anche gli
esperimenti si moltiplicarono, con una curiosa concentrazione di risultati
positivi nelle vicinanze di Nancy. Poi, a poco a poco, sulla vicenda scese il
silenzio. La comunità dei fisici, presa da altri interessi, dimenticò Blondlot,
che morì nel 1930. II caso dei «raggi N» è passato alla storia della scienza come
una prova del noto fenomeno che credere può voler dire vedere; soprattutto se
chi guarda è obnubilato dallo sciovinismo.
“la Repubblica”, senza
indicazioni di data, ma 1981
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