Nell’anno 1987 arrivò in una
sorta di silloge einaudiana delle “opere minori” di Musil la prima traduzione di
alcuni scritti dell’autore dell’Uomo
senza qualità che ne precisavano la fisionomia per i lettori italiani. Nasce
come recensione a quel libro l’articolo che segue in cui Chiusano avanza una
suggestiva ipotesi. (S.L.L.)
Esce un volume che fa drizzar le
antenne anche all' insetto letterario più letargico: Romanzi brevi, novelle e aforismi di Robert Musil (Einaudi,
traduzione di Anita Rho e Roberto Olmi, introduzione di Cesare Cases, pagg.
768, lire 42.000).
Con cattivissima coscienza devo
ipotizzare che il lettore italiano conosca non solo il capolavoro di Musil
(1880-1942), il romanzo L'uomo senza
qualità, ma anche (e ciò riguarda più da vicino il libro che segnaliamo) il
suo romanzo giovanile I turbamenti del
giovane Torless, i due racconti uniti sotto il titolo Incontri, i tre della silloge Tre
donne, gli scritti di varia prosa intitolati Pagine postume pubblicate in vita. Tutto ciò infatti è già stato
tradotto nella nostra lingua e qui ricompare, in un bel volume tipo opera omnia. Mentre ciò che fa spicco,
in queste quasi ottocento pagine, è un gruppo di scritti che riempiono la
seconda parte e che sono, per gli italiani, inediti.
Ora Musil, anche da noi, ha
scavalcato giganti letterari che prima lo relegavano tra gli oscuri; e ogni
cosa che lo riguardi fa notizia quasi come i restauri della Sistina.
Figuriamoci oltre duecento pagine di inediti, e non solo degli anni acerbi ma
anche di quelli maturi: fogli vergati con lo stesso inchiostro che, un'ora
prima o dopo, serviva ad aggiungere qualche altra riga all'inconcluso e
inconcludibile monumento dell'Uomo senza
qualità. Se lo si può dire di uno scrittore così poco gastronomico e
succoso, il piatto è ghiotto. E lo dico, perché esistono anche gli appetiti
intellettuali, le fami astratte, le bramosie di luci fredde e di triangoli. Qui
ce n'è da togliersi la voglia.
Il materiale è tratto da un
volume di scritti postumi edito nel 1978 dall'editore tedesco Rowohlt, e che da tempo attirava i
musilisti italiani non padroni della lingua tedesca. Ora sono accontentati, e
ne ringrazino anche Roberto Olmi, che ha tradotto con maestria questo spesso
assai arduo stile tra metaforico e raziocinante.
La suddivisione degli scritti è
la seguente: 1) Novelle (1923-32).
Composizioni narrative della piena maturità (si pensi che un capolavoro come il
romanzo I turbamenti del giovane Torless
venne pubblicato nel 1906). Apparvero via via in giornali e riviste, perciò
sono rifinite dall'autore in modo soddisfacente anche per il filologo e il
curatore. 2) Frammenti postumi in prosa.
Qui la varietà è cospicua, e in tutti i sensi. Cronologicamente si va da anni
assai verdi come il 1903 (ma il Torless era già sul telaio) fin quasi alle
soglie degli anni Trenta. Come sostanza, si svaria dal racconto (o quasi) fino
al saggio (o quasi), dalla cosa vista impressionistica alla nota di costume. In
qualche caso ci sono problemi di decifrazione o si offrono persino più stesure.
3) Glosse (1921-32). Come dice la
parola, sono commenti di attualità, interventi su fatti dell'ora, su fenomeni
strani, preoccupanti o comunque degni di riflessione. Pezzi, anche questi,
rifiniti, come le Novelle, e
approdati regolarmente su giornali di lingua tedesca negli anni di Musil
maturo. Infine: 4) Aforismi. Dal 1935
in poi, in parte pubblicati su giornali, in parte scritti in vista di
pubblicazioni future o di un inserimento nell'immane contenitore dell'Uomo senza qualità. Qualche problema di
decifrazione e, spesso, incertezza sulla data.
Ripeto, la varietà è tanta. A
dire il vero, lo si può affermare di ogni composizione musiliana: dove mai è
definito un confine (vago ormai in quasi tutti gli scrittori, ma più in uno
come lui) tra razionalità e sentimento, tra narrare e disquisire, tra ingenuo e
sentimentale, tra apollineo e dionisiaco, tra freccia e cetra: tanto per
rendergli omaggio anche attraverso Schiller, Nietzsche e il da lui odiato
Thomas Mann. Ma assai più tale policromia (espressa peraltro in una pasta
espressiva uniforme) è vistosa in un libro come questo (e mi riferisco solo al
settore inediti), che di pezzi ne accoglie ben quarantaquattro, per non parlare
degli aforismi. A parte lo svariare da un registro all'altro, caratteristico di
Musil, uomo di scienza e di filosofia, di arte e di letteratura, l'uso di
chiavi musicali differenti è in queste pagine giustificato dalla stessa
diversità delle occasioni, dei temi, dei generi letterari, dei destinatari. Si
trova, perciò, di tutto; e spesso in zone assai alte dell'intelligenza e del
lirismo novecentesco. Mette sgomento fornire un assaggio di questo piccolo
mare. Lo ha fatto Cesare Cases, nel suo chiarificatore saggio introduttivo, proponendo
le tre stesure de L'autunno più nebbioso
di Occhigrigi. Ottima scelta. Chi voglia sentirne una lettura acuta, scorra
quelle pagine e avrà voglia di mettersi alla cerca per conto proprio.
Ma se qualcuno, magari di gusti
tradizionali, ama soprattutto il Musil impressionista, il Musil-Sisley, il
Musil-Pissarro, si veda i paesaggi de La
mareggiata di Sylt o di Attraveso
Charlottenburg. Se ama un intreccio lievissimo, ricamato di psicologia e di
giustezza ambientale, oltre al citato Occhigrigi
(che è anche un ritratto e un autoritratto: di Musil stesso e della sua futura
moglie), legga Tradotta di feriti gravi
(sul registro duro), o Un tirocinante di
filosofia e Piccolo viaggio nella
vita (su quello aereo). Se lo interessa, di Musil, lo scienziato che
occhieggia dietro il narratore, un pezzo fatto per lui dovrebbe essere La terra
sul Polo Sud. Se è attirato dall'intellettuale aperto sui fenomeni del giorno,
cerchi ciò che l'autore dice sullo sport o sulla moda, sull'uomo-standard o
sullo stile collettivo del nostro tempo, sul disarmo e sulla corruzione. (Negli
aforismi troverà anche giudizi letterari e politici di cauta perfidia e di
luminosa ingiustizia).
Se vuol sorprendere Musil come re
nudo, come autore di pezzi che avrebbe fatto bene a non scrivere o a
distruggere, si sorbisca le imbarazzanti prove satiriche intitolate Il cagnetto strisciante o Monologo di un aristocratico dello spirito,
o brani di un intellettualismo esasperato, sterile, snob come Sull'ultimo viaggio di Jakob Eberle.
A proposito di re nudo. Verrebbe
voglia, di fronte a certi cali repentini di Musil o al disprezzo da lui
dimostrato verso altri grandi della letteratura, di rivedergli le bucce, per
saggiare se sia tutta meritata e con possibilità di resistere nel tempo l'
idolatria che tanti oggi gli tributano. Il suo non è certo il caso del
sopravvalutato Hermann Hesse, che facilmente si affloscia in mano a chi lo
strizza un po' forte. Ma insomma, Kafka è più genialmente inventivo di lui,
oltre a scrivere una prosa magra e perfetta che fa sembrare un po' leggerina e
capziosa la sua. Proust e Thomas Mann mi sembrano artisti assai più consumati e
rigogliosi, più splendidamente, sottilmente musicali. Joyce impasta, col
linguaggio, inferni danteschi e farse rabelaisiane che per Musil sono di un
altro pianeta. E fermiamoci qui, per non addentrarci nel troppo opinabile.
Eppure, in questo mostro (tutti i
grandissimi, anche quelli antichi, hanno qualcosa di mostruoso, se grandissimi
sono), in questo creatore-distruttore che si lascia alle spalle e anche questo
libro lo prova una sterminata, patologica massa di abbozzi, frammenti, progetti
incompiuti, in questo gentiluomo sgradevole, dall' intelletto e dalla fantasia
ugualmente acuminati, c' è tra gli altri molti un elemento che in altri non
trovo. Musil mi sembra già uno scrittore elettronico. Le sue opere hanno la
perfezione leggera e lampeggiante, altera e fascinosa del computer; anche se è
vero che sul piano dello stile egli è molto più tradizionalista, non solo di un
Joyce, ma anche di un Queneau o di un Grass. Tuttavia quasi tutti gli altri
scrittori mi fanno pensare alla fisica ancora meccanica; o addirittura al mondo
organico, vegetale. Musil no, lo sento elettronico. E' solo un'impressione?
Voglio pensarci un poco. C' è nessuno che collabora?
“la Repubblica”, 4 febbraio 1987
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