Seppure nella sommarietà di un
breve articolo, ritengo che questo scritto di Francesco Indovina (di un paio di
anni fa) individui con esattezza alcune caratteristiche del nuovo capitalismo e
alcune delle conseguenze che esso comporta. Mi pare che, invece, sia reticente
sulle “nuove” guerre imperiali che potrebbe produrre (e sui rischi di “guerra
generale” che è insito in esse). E mi pare che coltivi qualche illusione sulle
possibilità di una politica che inverta il corso delle cose. Il viottolo di cui
parla – ammesso che ci sia – al momento non si vede. Me ne spiace, ma ho
qualche ragione per credere che sia ancora il tempo della “resistenza
culturale” e della testimonianza individuale e collettiva. Bisogna comunque
provarci, in ogni modo e tutte le volte che se ne intraveda l’occasione. (S.L.L.)
Banchiere a Zurigo |
Leggendo la stampa e ascoltando i
discorsi dei Grandi non pare ci sia una percezione precisa del crinale che il sistema
economico-sociale sta attraversando.
Si ciancia di globalizzazione,
per cui niente è possibile fare, se non il sogno di un governo mondiale o
almeno europeo; si parla di finanziarizzazione dell’economia, cosa che ormai ha
almeno quasi mezzo secolo, senza rendersi conto che è messa in crisi la democrazia
e l’autodeterminazione
dei popoli. Si legge che il
valore del Pil mondiale corrisponde solo ad un ottavo, circa, del valore dei
derivati finanziari in circolazione (economia di carta contro economia reale),
senza percepire che lo stesso concetto di produzione capitalistica sballa. Si
legge che la Cina possiede una parte enorme del debito Usa e anche di altri paesi
e non ci si domanda come mai non dedichi più risorse allo sviluppo del suo
enorme paese che ha ancora grandi sacche di miseria.
Insomma nessuno si fa le domande
che paiono sensate. Mi pare che ci troviamo, non solo in Italia ma soprattutto in
Italia, di fronte ad un bivio: da una parte una grande autostrada che riporta indietro,
dall’altra parte un viottolo stretto e accidentato che, tuttavia, porta più avanti.
Non si vuole riflettere sul fatto
che la dimensione della finanziarizzazione ha modificato la natura del
capitalismo, quello al quale lo stesso Marx riconosceva dei meriti di
progresso. Per sintetizzare: il processo capitalistico è passato dalla
proposizione denaro-merce-denaro (D-M-D) a quella, postmoderna,
denaro-denaro-denaro (D-D-D), un mutamento che investe pesantemente non solo la
produzione e la distribuzione della ricchezza, ma fondamentalmente il processo
politico e la stessa, tanto o poca che sia, democrazia.
È vero, infatti, che D-M-D aveva
insito lo sfruttamento del lavoro, ma insieme costituiva un processo all’interno
del quale si creava, dentro il suo stesso corpo, la forza antagonistica che
imponeva una diversa distribuzione della ricchezza prodotta, l’affermarsi di
diritti di cittadinanza, la speranza di una società diversa. Il capitale, in
questa accezione, è costitutivo di una certa società ed esso stesso rapporto
sociale.
Al contrario, quando prevale il meccanismo
D-D-D, si scioglie il rapporto tra capitale e società, tale meccanismo taglia
fuori ogni antagonismo specifico; si tratta infatti di un meccanismo che non
può essere intaccato da chi subisce gli effetti negativi di tali processi. I
popoli subiscono, e non sanno né possono individuare una controparte diretta
sul piano sociale ed economico. Tutto si sposta sul piano politico, ma gli stessi
referenti politici, apparentemente antagonisti tra di loro ma vittime di una
cultura omogenea, non riescono a trovare il bandolo della matassa.
La speculazione finanziaria da se
stessa, data la massa di risorse che muove, crea le occasioni per speculare. Contrastare
la speculazione significa solo offrirgli sempre più vitelli da azzannare. Se si
imbocca l’autostrada che il bivio ci offre siamo perduti. Il dominio della
ricchezza sarà senza limiti (anche se fragile), la lingua maestra sarà quella
dell’economia di chi possiede; una casta potente e intoccabile, anche sul piano
fiscale, banchetterà su un popolo miserabile. I diritti di cittadinanza un
lusso impossibile. Mentre l’antagonista diretto sarà impalpabile,
irraggiungibile e deteritorializzato. I peggiori scenari della pessimistica
fantascienza sociale si avverranno. Scoppi di rabbia, rivolte, sangue, lotte
tra i poveri, regimi di polizia, ma niente rivoluzione e niente riforme progressiste.
Tutte conseguenze dirette di un cambiamento nella natura del capitale.
Il viottolo stretto e accidentato
ci parla la lingua della politica. Ci dice, prima di tutto, che la speculazione
finanziaria va combattuta alla pari, ma meglio, del traffico di droga, questo
ammazza i figli quella opprime i popoli. Speculare non deve essere permesso; c’è
un mondo di cose e di servizi da fare, non permettiamo che la costruzione di
una economia di carta ci tolga il sangue e la volontà. C’è un sistema
produttivo da ristrutturare a salvaguardia della salute, dell’ambiente e per la
produzione delle cose di cui abbiamo bisogno. C’è una distribuzione equa della
ricchezza prodotta da imporre. C’è una dilatazione dei diritti di cittadinanza da
ampliare. C’è una piramide sociale da appiattire. C’è da castigare gli
speculatori e non da alimentarli. Se niente può essere come prima lo sia
davvero, le forze a livello nazionale e internazionale ci sono, anche se
disarticolate, ma unirle si può. È ormai chiaro che questo tipo di
organizzazione sociale ha fatto il suo tempo.
“il manifesto”, 29 settembre 2011
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