Recensione di un volume scritto negli anni 50 da un grande intellettuale marxista nato a Trinidad e vissuto soprattutto negli Usa e nel Regno Unito, l'articolo dà conto della nuova interpretazione del Moby Dick, dei suoi nessi con la condizione sociale e lo status di detenuto di James, estrapolando dal libro una previsione che - forse - si è già realizzata. C'è in questa lettura qualche esagerazione, ma la tematica mi pare interessante. (S.L.L.)
Cyril Lionel Robert James |
Scritto tra il `52 e il `53,
mentre Cyril Lionel Robert James si trovava rinchiuso a Ellis Island come «undesiderable alien» in attesa di
espulsione dagli Usa, il libro su Melville (Marinai,
rinnegati e reietti. La storia di Herman Melville e il mondo in cui viviamo,
con postafazioni di Bruno Cartosio e Gianni Mariani e una nota biografica di
Enzo Traverso, Ombre Corte), si inserisce a pieno titolo nella discussione
inaugurata qualche anno prima da F. O. Matthiessen, che in American Renaissance (1941) aveva rintracciato il tratto distintivo
dei grandi scrittori americani nella loro adesione alle idee di democrazia e di
libertà, dando così l'avvio a una febbrile attività interpretativa dalle non
troppo dissimulate intenzioni politiche.
Per C. L. R. James, scrittore
nero, militante panafricanista e teorico diventato marxista, a suo dire, grazie
alla contemporanea influenza di due libri, La
storia della rivoluzione russa di Trotzkij e Il tramonto dell'Occidente di Spengler, e quindi non facilmente
permeabile da suggestioni sull'immediata espansività del sogno americano, Moby Dick travalicava ampiamente, per la
sua grandezza, i limiti del romanzo moderno. E poiché proponeva la tragedia di
un intero ordine sociale e culturale - non quella di un singolo individuo -
poteva essere posto sullo stesso piano dell'Orestea
o del Re Lear.
Il viaggio sugli oceani del
Pequod è il viaggio della civiltà moderna «alla ricerca del suo destino». E'
questa dimensione propriamente tragica a fare del microcosmo del Pequod il
nostro stesso mondo, «the world we live
in», come recita il sottotitolo del libro. Per C. L. R. James, Melville
coglie in Moby Dick i primi segni
della degenerazione che avrebbe ribaltato la democrazia in totalitarismo,
depositandoli in una trama narrativa coniugata al futuro anteriore. In Achab
egli rintraccia l'apparizione del moderno dittatore dell'età delle masse, nella
ciurma moltitudinaria e meticcia dei marinai i rinnegati e i reietti, l'umanità
selvaggia in cui si allacciano i legami sociali della comunità a venire, nel
Pequod la metonimica cifra complessiva della fabbrica sociale fordista, in
Ismaele - il narratore, cui il critico di Trinidad è uno dei primi a prestare
la dovuta attenzione - l'alienato intellettuale contemporaneo, sospeso tra la
seduzione del potere e l'esistenza ordinaria, ma «indistruttibile» di un
equipaggio anonimo fatto di semplici cittadini del mondo.
Parallelamente alla Dialettica dell'illuminismo di Adorno e
Horkheimer (uscita qualche anno prima ad Amsterdam, nel 1947), il libro di C.
L. R. James legge il viaggio del Pequod come un'allegoria della civiltà
moderna. Il delirio di Achab espone nave ed equipaggio alla totale
autodistruzione in cui viene portata a compimento la doppia struttura di
dominio del sistema capitalistico. Il Pequod è un sistema di fabbrica, la cui
razionalità di scopo Melville, «metodico come un sociologo», restituisce in
pagine bellissime («una baleniera è stata la mia Università di Yale e la mia Harvard»,
Melville avrà modo di confessare, con parole non dissimili da quelle di chi,
nell'Italia degli anni '60, si troverà a riconoscere nella Fiat la propria
Università): pagine che raccontano come la meticolosità e l'orgoglio del lavoro
vengano compresse ed espropriate da un dispositivo di organizzazione che si
spersonalizza nella follia del suo comandante. E, allo stesso tempo, esso è
quanto Achab è disposto ostinatamente a sacrificare, in una caccia sin
dall'inizio destinata a ritorcersi contro di lui e la sua nave, in un'impresa
il cui senso finale è la pura riproduzione del suo potere personale su uomini e
cose. La verità della lotta contro la balena sono le bombe di Nagasaki e
Hiroshima; è Auschwitz, in cui la creazione demoniaca della borghesia moderna,
la civiltà della tecnica, sfugge al controllo e trascina i suoi evocatori nella
catastrofe di un naufragio generale, in cui la pretesa di dominio sulla natura
(Moby Dick) si rovescia contro coloro che le hanno dato l'avvio.
A differenza di Adorno e Horkheimer,
tuttavia - ed è questo il motivo per cui C. L. R. James elegge a motivo
centrale della sua interpretazione quella che a molti americanisti è sempre
parso essere un narrative minore - lo
scontro non è già quello di Achab contro balena (o di Achab e Starbuck), ma
quello tra Achab e la ciurma. Marinai,
rinnegati e reietti non esaurisce negativamente il proprio sforzo critico
nella denuncia del necessario collasso della civiltà occidentale, ma in esso si
sforza di recuperare i frammenti di una possibile redenzione futura. Lo sguardo
sul romanzo (sulla grande fabbrica fordista e sul sistema di dominio che la
percorre e la sostiene) è lo sguardo di un intellettuale nero detenuto a Ellis
Island. Che vi sperimenta - come ci viene raccontato nel tormentato settimo
capitolo del libro, tolto dalle edizioni successive e poi ripubblicato - non
soltanto la personale difficoltà della coerenza da tenere a fronte delle
autorità che lo stanno inquisendo e che da lui pretendono un'apologia del
sistema americano molto difficile, se non impossibile da pronunciarsi, ma
anche, e soprattutto, le autonome linee di comunicazione e di solidarietà tra i
migranti, le forme della loro cooperazione globale e sovversiva, la materiale
realtà di esistenze che sconfessano la «colossale idiozia» di
un'amministrazione, che nei detenuti dell'isola vede semplici «individui
isolati in cerca di carità e di una casa negli Stati Uniti. Perché l'America è
di certo migliore dei loro paesi d'origine, poveri e arretrati» e non comprende
la potenza della loro mobile soggettività.
I marinai, i rinnegati e i
reietti di cui si compone la ciurma del Pequod - e le cui biografie reali, si
potrebbe ricordare, compongono la trama della storia segreta dell'Atlantico
rivoluzionario recentemente ricostruita da Peter Linebaugh e Marcus Rediker (The Many-Headed Hydra. Sailors, Slaves, Commoners and the Hidden History of Revolutionary
Atlantic, Boston , 2000) -
appartengono al futuro. Questo è ciò che fonda, per C. L. R. James, la
loro contemporaneità. Il Pequod e Ellis Island raccontano una stessa storia.
Con uno scarto significativo, però. Se la comunità dei «vili marinai» di
Melville è tenuta insieme in termini di pura contiguità spaziale solo da una
chiglia e dalla mente geniale e folle del suo comandante, se non possiede
nemmeno la consapevolezza dell'unità che si realizza nella solidarietà e nel
lavoro di bordo e che potrebbe essere attivata contro di lui (è il motivo del
perché la ciurma non si ribella ad Achab), quella dei detenuti di Ellis Island
- che a differenza degli isolati dannati del Pequod, «sanno tutto», come C. L.
R. James si trova a constatare - discutono tra di loro di politica
internazionale e confrontano le proprie esperienze di fuga e di lavoro, si
passano articoli di giornale e se li traducono gli uni con gli altri, sono in
grado di scegliere dove vivere orientandosi tra i diversi dispositivi di legge
nazionali. Formano, dunque, una moltitudine consapevole di sé e capace di
orientarsi da sola sulle rotte globali di un mondo costruito come aperto dal
loro gesto di defezione e di libertà.
La «suprema ironia» di Ellis
Island (e forse la segreta morale che solo parlando di lì, da dentro quel
centro di detenzione, è dato trarre dall'opera di Melville) è - come scriverà
C. L. R. James - che mentre il Dipartimento di Giustizia degli USA, ponendo in
contraddizione con se stesso il dettato costituzionale americano, mette in atto
una spietata politica anti-immigrazione, i migranti - i marinai, i rinnegati e
i reietti che hanno rotto gli ormeggi con i propri paesi di provenienza -
«diventano sempre più consapevoli di essere cittadini del mondo», registrando
in quella consapevolezza il dato di fatto della propria forza e della propria
autonomia.
Nella lunga notte della guerra
fredda che segue gli esperimenti totalitari degli anni `30 e `40 e che contrae
il sogno americano nel delirio paranoico del senatore McCarthy, solo il gesto
di liberazione del prendere il mare e il sistema di rapporti paritario e franco
della comunità di fuga dei migranti può segnare uno scarto, per C. L. R. James,
nella parabola che fa tocquevillaneamente degenerare la moderna libertà
astratta in precondizione di dominio, la cooperazione sociale sorvegliata in
mera servitù.
il manifesto, 26 novembre 2003
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