Il testo che segue è di Massimo
Aloisi (ma il nome anagrafico, quello che oggi più si ritrova nelle rare
presenze in rete, era Massimiliano).
Aloisi è stata figura importante
e complessa della ricerca scientifica in Italia, in un settore di studi a
cavallo tra medicina e biologia. Nato anatomista, divenuto professore di
Patologia generale, ottenne grandi risultati nella ricerca biologica e
biomedica, documentati da numerose pubblicazioni.
Fu nello stesso tempo un
marxista, un militante della sinistra e tentò – per quanto possibile – di
legare l’impegno scientifico e professionale con le scelte ideologiche e politiche. Dopo il 1945
contribuì – da comunista – all’avventura intellettale del “Politecnico” e alla
redazione di “Società”, ma più tardi si allontanò dall’impegno nel Pci in
seguito al caso Lysenko. Nonostante il sostegno di Stalin al biologo russo e la
trasformazione delle sue teorie in dogma da parte di molti stalinisti, incluso
il nostro Emilio Sereni, Aloisi prese nettamente le distanze da ipotesi che gli
apparivano poco fondate e per nulla verificate sperimentalmente.
Partecipe del “lavorìo” del
marxismo critico dopo l’intervento sovietico in Ungheria del 1956, scrisse tra
il 1966 e il 1968 su “La Sinistra”, una rivista che fu diretta da Lucio
Colletti, Silverio Corvisieri e Augusto Illuminati e che anticipava il
Sessantotto nella critica alla burocratizzazione del “socialismo reale” e dei
partiti comunisti ufficiali. Ma si riavvicinò al Pci di Berlinguer, soprattutto nel celebre convegno dell’Eliseo in cui il segretario comunista individuava le
vie per salvare l’Italia dal degrado, anche morale, e rinnovarla profondamente
(vi pronunciò il famoso discorso sull’austerità).
A quel periodo appartiene il
testo che qui riprendo, pubblicato da “Rinascita”, non un vero e proprio
articolo, ma una scaletta di appunti che mette insieme temi diversi. I
più importanti sono il rapporto tra biologia e società (era di moda la
“sociobiologia” che pretendeva di spiegare l’evoluzione civile e culturale col
fondamento biologico e genetico della condizione umana) e il ruolo della
ricerca scientifica (biologica e medica in particolare) nella trasformazione
dell’Italia.
Aloisi fu autore anche di alcuni scritti autobiografici di ottima
qualità letteraria pubblicati tra il 1987 e il 1999 (anno della sua morte) su
“Belfagor”, la rivista fondata da Luigi Russo, nella rubrica Minima
personalia. (S.L.L.)
Massimo Aloisi |
Cosa si pensa sia l'uomo dal
punto di vista biologico
Vi è una radice biologica, sia
pure spesso solo molto remota, in ogni azione umana, comprese quelle a netto
carattere sociale. Occorre analizzare questa radice anche nelle sue
determinanti molto remote, proprio per valutare il capovolgimento o comunque
l'estensione quantitativo-qualitativa operara dall'uomo storico (sociale), e
che si suppone in continuo lento progresso, del complesso dei suoi rapporti con
gli altri uomini e con la natura.
Ma l'uomo biologico non va mai
visto in questa limitatezza, come un esistente reale, in quanto tutta la sua
azione è propria, alla fine, del dominio del sociale e quindi storicizzata. Del
resto, primitivi segni di questa operazione sembra si trovino anche presso gli
animali al di fuori dei noti rapporti stereotipi e istintuali (per esempio nel
linguaggio). L'uomo biologico in sé è dunque un'astrazione (talora utile ad uno
studio analitico iniziale o di base); esso, come tale, si denuda (e non mai
tutto o integralmente) solo nei momenti non «umani» della vita, nelle
situazioni di grave catastrofe, nella privazione prolungata e senza speranza
del cibo, nell'accecamento passionale momentaneo, ecc.
Di qui l'impossibilità di una
antropologia di base e generale, se non accettando l'astrazione come metodo
provvisorio di analisi. Tuttavia è bene anche tener presente che l'animale uomo
vive sempre al fondo dell'uomo sociale, cioè dell'uomo reale, vive nella sua
economia, nella sua politica, nel suo bisogno di conoscere e di esprimersi,
ecc.
Come va oggi studiato l'uomo
Nello studio dell'uomo — nella
sua «presentazione» nella scuola — va assolutamente tenuto conto di quanto
sopra. Un campo sterminato di analisi si apre allo studio dei rapporti tra il
biologico e il sociale: così si può parlare di «uomo emergente», non solo in
quanto emerge, oggi in particolare, di fronte a tanti pericoli, l'importanza
centrale dell'uomo come oggetto di fondamentali bisogni ed aspirazioni, ma
emerge da sempre l'uomo dal «non ancora uomo». E questo «non ancora uomo» va
messo in evidenza al fondo dei nostri pedigrees,
anche se in genere non lo si ami accettare o scoprire. Occorre dunque rifarsi
all'istruzione di base per riprendere l'argomento dell'uomo emergente, nella
storia naturale e della specie e nella storia della società (e i loro rapporti
genetico-dialettici), così come nella storia individuale (psicologia).
Determinismo biologico e
determinismo sociale
Esistono accezioni in cui ha
senso parlare non solo di determinismo biologico, ma anche di determinismo
sociale (questo prevalentemente su base statistica).
Ma la società è fondata anche su
«valori» per cui una semplice trasposizione tra biologico e sociale è da
aborrire (o è troppo semplice, o è troppo scettica, in definitiva è molto
snob). Il darwinismo sociale è una forma di questa indebita trasposizione,
anche se al fondo delle motivazioni sociali e dei valori stessi vive anche una
spinta biologica. Ma — nell'altro corno del rapporto dialettico — lo stesso determinismo biologico non potrebbe
«generare» la libera meccanica sociale e le costellazioni dei valori se non racchiudesse
esso stesso il suo proprio superamento: ma si tratterebbe allora di una
biologia tutta da fare, tutta orientata a studiare, appunto, l'emergenza dello
svincolamento (la macchina costruita dall'uomo che a un certo momento gli
diviene «altra» e indipendente, in qualche misura).
Problemi dell'uomo nella sua
società
Studio del potere trasformante e
quindi evolutivo della società. Limiti della equazione: società nuova = uomo
nuovo. Ne deriva una necessaria caduta dell'ottimismo preconcetto, falsamente
marxistico.
Se non è la società che crea da
sola immediatamente o mediatamente l'uomo (il «complesso dei rapporti sociali»
è la parte fondamentale dell'uomo, ma forse non tutto l'uomo); si pone il
discorso se non sia giusto «preparare» l'uomo per la società nuova, prima che
questa lo realizzi concretamente e, appunto, lo socializzi, ne faccia un nuovo
«genere» (o una modulazione del genere). Comunque, vi è in tutto questo una
esigenza di rivalutazione della eticità, per quella sua parte che è più
permanente attraverso le società diverse (vi sono cambiamenti a breve raggio
storico e cambiamenti a grandi epoche storiche e vi è forse una eticità di
base, dell'uomo come genere).
Si è sentito spesso il
ricercatore e lo scienziato domandarsi se risponda a una esigenza etica quello
di occuparsi totalmente della ricerca e del problema scientifico — spesso, in
quanto tale, non certo coinvogliabile verso un bisogno sociale immediato —
specie quando tutto il resto del mondo grida per tutte le inadeguatezze
sociali, come nel nostro paese. Molti pensano che occorra congiungere o
innestare, in modo del tutto esterno, un'attività sociale, assistenziale — in
definitiva populistica — accanto a quella del ricercare, per giustificare
questa «ari¬dità del solo ricercare ». Ciò però appare una posizione ereditata dalla
Associazione S. Vincenzo (o Congregazione, non so come si chiami).
L'eticità del ricercare va
trovata nel modo stesso del ricercare, studiandone la mediazione con tutto il
resto del lavoro umano. L'eticità sta nel prendere partito sul valore del
ricercare, sulle conclusioni epistemologiche relative ai risultati
sperimentali, sta nel partecipare attivamente alla lotta ideologica che viene
orientata dalla scienza. In definitiva sta nel fare della scienza (della
ricerca in particolare) un fatto culturale nel pieno senso della parola, un
fatto filosofico (e quindi politico).
Cosa può fare la scienza in
generale per la trasformazione e la ricostruzione del paese e della società
In primo luogo bisogna che vi sia
e sussista una scienza (o le scienze); e qui occorre chiaramente dire che da un
pezzo a questa parte e persino nelle ultime battute nelle quali l'influenza dei
comunisti poteva farsi sentire maggiormente, ha prevalso come sempre
l'incapacità, l'arroganza del potere, la perniciosissima noncuranza dei particolari
nei confronti della cultura e dei suoi valori seri (per i quali anche i
particolari sono di notevole importanza).
Diviene perfettamente inutile
organizzare convegni se poi non si prende l'impegno di seguire una linea
politica che tenga conto delle competenze e che non si isoli per scelte
privilegiate, le quali possono semmai avere un certo valore politico, ma
inevitabilmente prima o poi si risolvono in una pessima politica. Il momento è
grave e non consente giochi che non siano immediatamente fruttiferi nei loro
settori specifici e tecnici. Perché ci si possa affidare, del resto, alla
operatività scientifica occorre per intanto procedere ad un censimento non
falsificato delle forze sane che residuano.
Non sarebbe comunque buona regola
finalizzare tutto. Lascerei i nuclei validi di ricerca ove molti giovani ben
preparati sono impegnati in programmi che possono anche sembrare lontani da una
prossima utilizzazione: essi costituiscono il naturale humus, necessario per ogni ricerca anche orientata all'applicazione.
Ma poi occorre rivedere tutti i programmi cosiddetti finalizzati del Cnr (e
altri) e farli sul serio finalizzati, pochi, ma reali e realistici.
Occorre a questo proposito fare
energiche operazioni di taglio e di vaglio e procedere a stabilire utili
collaborazioni interdisciplinari. Occorre rivedere l'inventario dei servizi a
carattere scientifico-tecnico oggi esistenti o non esistenti in Italia,
operanti o, come più spesso, non operanti: servizi dell'igiene, geologici, del
regime delle acque, metereologici, vulcanologici, merceologici, agronomici,
ecc. Occorre un riesame degli enti di ricerca. Sembra infatti che nel settore
biologico del Cnen non si faccia ormai più niente, ad eccezione di uno o due
nuclei di ricerca, e fuori dallo specifico programma dell'istituzione. Il Cnr
trova difficoltà crescenti non solo per il misero finanziamento, ma — si
delinea — anche per l'attuale inquadramento del personale nel parastato, che fa
prevedere la cessazione di ogni incentivo a produrre scienza e cioè per una
estrema burocratizzazione, per un odio viscerale contro l'università, per una
sua intrinseca incapacità di rinnovo, proprio per quella sua tendenza
centrifuga rispetto alla università.
Per quanto riguarda l'università,
è da paventare una integrale approvazione dei progetti di riforma quali si sono
letti finora. Due questioni sono preminenti: a) ordinamento dei collaboratori
nella ricerca e nella didattica; assurdità del docente unico nel modo come
viene concepito (o delle due fasce di docenti) senza tener conto della
«formazione» del docente; b) nel settore della facoltà di medicina è del tutto
deleteria la disparità di trattamento economico tra personale universitario
(tecnico e laureato) e personale ospedaliero (tecnico e laureato), per cui si
assiste ad un progressivo esodo di elementi qualificati dalla università verso
le organizzazioni ospedaliere o dagli istituti di ricerca biologica di base
verso gli istituti clinici, con quale danno dell'insegnamento (per gli studenti
di medicina dei primi anni che non possono più contare sui docenti medici
nemmeno nei settori a significato più strettamente medico) e con quale danno,
infine, della ricerca è facile capire.
Nell'organizzazione della ricerca
occorre favorire l'osmosi tra i vari settori dove essa si svolge, per esempio
quella extrauniversitaria con la ricerca universitaria, ove circolano i
giovani.
Medicina preventiva. E' un giusto indirizzo, ovviamente, ma non va
concepito lo studio e lo sviluppo della medicina preventiva “invece di”; bensì,
piuttosto, “oltre che” (per gli studenti).
Profilo professionale del biologo. Vedi l'indirizzo biomedico nel
corso di laurea in scienze biologiche; questo settore non si svolge in modo
congruo alle finalità che intende raggiungere; occorre riorganizzarlo con i
componenti della facoltà di medicina congiuntamente con quelli della facoltà di
scienze (laurea in scienze biomediche e relativi dottorati di ricerca).
Problema del maltusianesimo. Questioni poste dalla spinta
riproduttiva della specie umana. Progressione della senescenza e bisogni e
difficoltà sociali relative. I problemi di questo settore hanno naturalmente
un'importanza grandissima e una rilevanza storica di grande momento ed
attualità (ivi inclusi i problemi del terzo mondo e le gravi responsabilità del
resto del mondo, di tutto il resto del mondo). E' anche vero che alcuni di
questi problemi sfuggono o sono sfuggiti finora ad una analisi adeguata o sono
così generali o formidabili che occorre fronteggiarli con misure di correzione
o di adeguamento piuttosto che sperare, oggi, in un impatto al livello della
loro radice.
Problemi dell'inquinamento. Anche qui si riapre la questione del
controllo della natura. Limiti di questo controllo. Dialettica tra innovazione
produttiva e rovina ambientale. Anarchia qualitativa (del sistema
capitalistico) della produzione, anche se quella quantitativa è oggi più
controllabile e controllata. Vicendevoli rapporti tra responsabilità
socio-politica e responsabilità tecnica. Scandalo delle opportunità o
consuetudini politiche che cancellano la ricerca delle competenze.
“Rinascita” n.10, 11 marzo 1977
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